Il Simbolismo Cromatico

Arte ed EsoterismoIl Simbolismo – La Simbologia cromatica – Compensando il colore correggeremo l’errore – Analisi dell’opera L’isola dei morti di Arnold Bocklin

La storia è satura di significati simbolici dove il colore assume una particolare valenza espressiva; semplificazioni simboliche ma efficaci si trovano nelle attribuzioni di colori agli eventi: il nero può segnare un lutto, la morte, oppure, in diverse culture, anche il suo contrario, il rosso sventura, conflitti, interdizioni e quant’altro ognuno di noi può leggervi nella sua percezione, basterebbe sfogliare pagine di libri per trovare tutti i significati e le attribuzioni che ogni cultura ha voluto dare. Questa è un’operazione che ciascuno di noi può effettuare a suo piacimento e in qualsiasi momento. Ci concentreremo, invece, sulle traslazioni che ci sono proprie e che riguardano la sfera dei liberi pensatori.

Il Simbolismo Cromatico

di Rosario Consoli

Sommario: Il SimbolismoLa Simbologia cromaticaCompensando il colore correggeremo l’erroreAnalisi dell’opera L’isola dei morti di Arnold Bocklin

Come nella psicanalisi, proviamo a redigere di getto un elenco di parole evocate dal concetto di simbologia e cromatismo: troveremo, ovviamente, che ogni parola, aggettivo o verbo, ha un significato strettamente connesso alla parola precedente o successiva, non solo, ma se, quasi per gioco prendessimo a caso due o tre parole qualsiasi dall’elenco che avremo disordinatamente redatto, riusciremo sempre a comporre una frase di senso compiuto che trovi attinenza al tema che lo ha determinato.

Le trame invisibili che uniscono tutte le parole e le innumerevoli combinazioni che ne seguono ci danno l’idea di quanto infiniti siano i percorsi conoscitivi che possiamo seguire e quanto impossibile sia percorrerle tutte – tuttavia noi che siamo fautori del libero pensiero viviamo nell’ansia di percorrere ogni trama conoscitiva, consapevoli che esse portano tutte a verità parziali che a loro volta abbisognano di ulteriori connessioni. Sintesi, intuizione e simboli, preziosamente ci consentono un sistema comunicativo più immediato, ancorché molto complesso, dandoci strumenti di analisi sufficienti a tentare di cominciare là dove altri hanno finito, in una proiezione ardita in avanti e mantenendo fermo e costante il ricordo del punto primario d’origine.

È questo un esercizio difficile e complicato al quale non possiamo né vogliamo sottrarci, pur nella consapevolezza dell’inganno della linea circolare il cui punto di arrivo ci riporta inevitabilmente al punto di partenza. Ma in questo ciclo di percorsi infiniti e concentrici, nel tentativo di spezzare il cerchio riusciamo soltanto a dilatarne i confini creando altri cerchi, pure più ampi ma sempre finiti, sempre con lo stesso punto di origine, il centro. È già qualcosa nel cammino della conoscenza: tendendo all’infinito spostiamo in avanti il limite, e ogni piccolo passo in avanti nella ricerca interiore è un alito di vento innovativo in più per noi e per i fratelli del mondo profano.

Dopo questa breve digressione nella quale appare già il concetto di simbolo, tentiamo di sviluppare i contenuti prima accennati trovando o inventandoci una linea guida che abbia il senso della connessione e dell’esplicitazione fedele al tema: simbolo = intuizione = sintesi = compendio = insieme = risultante = cromatismo = bianco = luce = conoscenza.

Il Simbolismo

Il simbolo è immagine comunicativa, e l’immagine comunicativa, a sua volta, non è altro che la somma, il compendio e la sintesi di una molteplicità di conoscenze ed esperienze che trovano immediata esplicitazione nell’immagine simbolica medesima. Quest’ultima, a sua volta, nella sua apparenza paradossale, rappresenta un sistema di comunicazione molto evoluto e al tempo stesso di eguale scopo e valenza rispetto alla simbologia primitiva. La simbologia primitiva si muoveva attorno ad una piccola circonferenza, la simbologia massimamente evoluta si muove sempre in eguale circonferenza, con il medesimo centro, ma con un raggio molto più ampio, talché la risultante conoscitiva di entrambe, per quanto limitata la prima e molto più evoluta la seconda, porta sempre e comunque al medesimo punto di origine del percorso.

Considerazione antropologica vuole che l’uomo primitivo e l’uomo massimamente evoluto, è lo stesso che ha fornito al G.A.D.U. l’aureo compasso con cui tracciare i confini della sua esistenza e dentro i quali inserire se stesso alla ricerca del tutto circoscritto. All’interno della sfera tutte le conoscenze sono possibili e tutte sono raggiungibili e ciò consente di starne all’interno godendo del tepore del grembo materno in cui consolanti certezze sono possibili. Ma noi siamo fatti per rompere il cerchio e l’inganno della sua finitezza che noi stessi abbiamo voluto concepire.

A tale proposito, mi si consenta l’“eresia” di volere auspicare un nuovo simbolo che segua il tracciato della circonferenza in una curva di raggio progressivo dal centro mobile tale da non riportarci al punto di partenza ma di proiettarci verso una concezione di infinito nella quale potremmo paurosamente perderci, ma senza la quale non potremo anelare alla conoscenza assoluta, forse inarrivabile, ma certo necessario anelito dell’essere che al coraggio sappia unire altrettanta umiltà. Ecco che in questo tentativo di percorso la parola non è più sufficiente ad esprimere l’immensità delle conoscenze di cui l’uomo è in parte portatore, ed alle quali al momento stesso aspira. Le molteplicità simboliche, quasi fossero sistemi compressi di un computer, nella loro estrema sintesi ci consentono di percorrere vie molto più complesse ed articolate in un linguaggio sicuramente molto ermetico ma altrettanto sicuramente più capace di esplorare i recessi più profondi del nostro essere. Il punto di rottura del cerchio segna l’inizio della curva evolvente quale simbolo del percorso di conoscenza trasparente.

Il Cromatismo – Il cromatismo, quale attributo del simbolo, ed esso stesso simbolo, si inserisce perfettamente nella metafisica del simbolismo poiché esso è portatore e causa efficiente della miriade di immagini di grandi significati siano essi evidenti che percepiti.*

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* Cromatismo (chrōmatism ó s), letteralmente scissione, separazione, scomposizione, non è altro che scomposizione di immagine secondo i colori (la valenza simbolica è forte).
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Il Colore, (Chrôma) – È la percezione visiva (ci avviciniamo già a ciò che è perché si vede e a ciò che si percepisce perché invisibile, tuttavia esistente, quindi che comunque è). Dunque si profilano già due modi di essere entrambi veritieri, non contraddittori ma complementari ed entrambi facenti parte di un unico: La Luce.

La Luce – Simbolo per eccellenza, perché scomposta contiene il perfetto cromatismo, quindi, tutti i colori nell’interezza dei loro toni chiari, scuri, sfumature, limpidezze e contrasti. Nella simbologia cromatica possiamo definire la luce come “l’unità del tutto”, quindi la luce come contenitore del tutto cromatico, massima espressione del visibile, fautrice del tutto cromatico, è contemporaneamente simbolo primario di conoscenza inscritta al cerchio ma soprattutto di conoscenza trascendente sulla linea infinita della spirale . Essa come tutti i massimi simboli può essere oggetto di speculazioni ideologiche secondo i limiti e i bisogni della natura umana, ma può essere, ed è, soprattutto, traccia preziosa da seguire nella ricerca della nostra parte oscura il cui simbolo “occultum lapidem”, (la pietra nera nascosta) frutto di profonda intuizione, non può che trovarsi nell’asse baricentrico della porta attraverso la quale si passa dal buio conoscitivo circoscritto della sfera, agli spazi infiniti cui la spirale ci conduce. La Luce è fumatrice ma anche fumatrice di ombre quindi la nostra percezione visiva binoculare ci porta ad indirizzare il fascio luminoso là dove vogliamo vedere, lasciando spesso in ombra ciò che dovremmo vedere. Un semplice prisma che scomponga la luce in molteplici colori, se non fa più gridare al miracolo, ci costringe comunque ad accettare tutte le componenti cromatiche come parti del tutto, come parti senza le quali il bianco non esiste e il tutto, anche se a sua volta parziale, nel cerchio finito, non ha più ragione di essere. Quindi ogni simbolo cromatico, che si inscriva a che circoscriva, segna un cambio di conoscenza e la luce, unità e creatrice del tutto cromatico, acquisisce il grande valore simbolico di conoscenza.

La Simbologia cromatica

La storia è satura di significati simbolici dove il colore assume una particolare valenza espressiva; semplificazioni simboliche ma efficaci si trovano nelle attribuzioni di colori agli eventi: il nero può segnare un lutto, la morte, oppure, in diverse culture, anche il suo contrario, il rosso sventura, conflitti, interdizioni e quant’altro ognuno di noi può leggervi nella sua percezione, basterebbe sfogliare pagine di libri per trovare tutti i significati e le attribuzioni che ogni cultura ha voluto dare. Questa è un’operazione che ciascuno di noi può effettuare a suo piacimento e in qualsiasi momento. Ci concentreremo, invece, sulle traslazioni che ci sono proprie e che riguardano la sfera dei liberi pensatori.

Se la luce è colore e simbolo primario del tutto cromatico, e se tutto ciò è altrettanto simbolo primario di conoscenza, ogni colore dell’immagine scomposta è, evidentemente, una porzione di conoscenza, ognuno di noi, quindi, è componente cromatica simbolica e detentore di una porzione di conoscenza e nel contempo ricercatore del tutto conoscitivo. Ognuno di noi, è portatore di diversità rispetto all’altro da cui attingere e a cui donare altrettanto. La complementarità dei Fratelli è essenziale nella ricerca del tutto cosi come nella costruzione del tempio. l’insieme armonico è l’essenza della nostra appartenenza, e la nostra appartenenza non può che ambire alla luce. E la luce è un bene essenziale con cui nutrire lo spirito e la mente. Nella simbologia dei segni si ripete il disegno in cui la connessione di tre punti cromatici forma un piano perfetto, ma se noi abbiamo l’ambizione di rompere il cerchio per guardare ad una dimensione al di fuori di esso, abbiamo bisogno oltre alle tre luci del piano perfetto, anche di una quarta luce che, dal piano, determini lo spazio, dunque passare dalla perfetta dimensione piana alla dimensione tridimensionale. Ma la quarta luce, “complemento di agente” dello spazio, nella connessione con le tre luci formatrici del piano perfetto, non fa altro che moltiplicare il triangolo in ulteriori tre piani triangolari fino ad ottenere una forma perfetta tridimensionale: la piramide. Essa non è certo la perfetta conoscenza ma è il simbolo che ci proietta nel trascendente poiché il suo vertice punta verso l’infinito. Non solo, ma il suo vertice, frutto della stretta unione di quattro piani perfetti (triangoli), è qualcosa di più che un’indicazione sulla strada da seguire fuori dallo spazio circoscritto.

Il vertice della piramide, in realtà segnando l’arrivo al traguardo del massimo scibile umano, inscritto alla sfera, nasconde ben altro e più grande messaggio: la proiezione al di là del vertice poiché dal vertice, apparente punto di arrivo, dipartono linee divergenti all’infinito formanti altrettanti lati opposti alla piramide stessa che, divaricandosi infinitamente tendono all’estrema luce. Sta a noi nell’ulteriore esplorazione oltre il vertice, o nel percorso altrettanto infinito della spirale, fermare il cammino se e quando la mente dovesse vacillare. Partendo dal singolo colore quale porzione di conoscenza di ognuno di noi, e unendoci agli altri colori, altrettante porzioni di conoscenza, possiamo ambire al bianco del massimo conoscitivo (ancora parvenza di luce), arrivando al vertice, e da lì, con tutto il cromatismo acquisito, proiettarci verso la vera luce, abbagliante e grandemente inquietante.

Il bene dell’umiltà, in tale percorso, sarà prezioso contrappeso poiché il nostro vizio è il nostro limite. Come faremo, quindi, noi, esseri dai colori incerti e talvolta sbiaditi, a cercare il trascendente se le nostre ricerche danno sempre risposte parziali? In che modo possiamo pretendere di trovare non la risposta definitiva al tutto ma, almeno, la strada che ad esso conduce?

Dobbiamo necessariamente partire dalla sintesi del tutto per trovare la via che conduce al compendio di tutto, e la sintesi di tutto non può essere che il nero della pietra nascosta, poiché essa non può essere che di colore nero perché nascosta, in ombra, opposta al bianco della luce e nel contempo dalla stessa luce svelato il suo colore. Quindi noi percorreremo nella conoscenza tutti i colori e i toni che stanno nel nostro sapere e nel sapere di altri facendone un tutt’uno che non sarà lo splendore abbagliante della luce ma certamente un colore che ad essa sempre più si avvicina. Conosceremo il rosso dei conflitti e delle interdizioni, il bianco dell’assoluto, il nero della sintesi, il blu della profondità dei nostri pensieri, il verde del domani che ci aspetta, tutti i colori dell’iride di cui siamo in parte possessori. e ogni fratello ha un suo colore e un suo tono del medesimo. Quindi, se il tuo colore, fratello, sarà troppo sbiadito, io lo compenserò con colore più acceso e, insieme, nella costruzione del tempio, sbozzeremo pietre l’una complementare all’altra affinché la costruzione risulti in perfetta planarità e verticalità. E tu, fratello, farai altrettanto con me e con gli altri fratelli i cui colori dovessero essere altrettanto impropri, così come tutti gli altri fratelli faranno a loro volta altrettanto, facendo così in modo che la risultante dei lavori del tempio sia sempre nella direzione della luce.

Compensando il colore correggeremo l’errore

Perché, se la luce è conoscenza, la molteplicità cromatica è parte essenziale di essa. Quindi noi siamo parte essenziale della luce, e solo la nostra comunione può ambire alla maggiore conoscenza. Ciò che ci sta davanti è un mondo colorato nei toni del quale troviamo la nostra dimensione di provvisorietà esistenziale fatta di toni accesi, caldi, freddi, saturi o sfumati che adottiamo quali simboli attraverso i quali lanciamo segnali della complessità del nostro essere, nei nostri molteplici linguaggi espressivi siano essi visivi, auditivi, trascendenti, ermetici o quant’altro, il colore è sempre presente poiché il colore, vestendo il simbolo, crea una nuova realtà simbolica.

Le arti per esempio, abbisognano di colore e di tutta la complessità cromatica per potersi adeguatamente esprimere; la musica stessa adotta simboli cromatici nella definizione della nota: la “croma”, scomposizione di toni e simbolo di essi. Le note sono colori talché in molte opere il raggiungimento del fine massimo porta ad una idea di luce, compendio di tutte le espressioni cromatiche e ne fa un tutt’uno emozionante che satura lo spirito. Chiudere gli occhi nell’ascolto di una sinfonia beethoveniana e vederne i colori con gli occhi della mente è un tutt’uno con l’opera stessa. Ancor più nelle arti visive il cromatismo eccelle in tutte le sue sfumature di significato. Uomini che hanno vissuto ossessionati dalla ricerca del colore e delle loro combinazioni, non sono dissimili da coloro che con eguale caparbietà hanno cercato e cercano sempre maggiore conoscenza, entrambi spinti in avanti nel tentativo di placare una sete senza fine. Un dipinto di Leonardo da Vinci piuttosto che del Caravaggio, oltre a rappresentare situazioni della vita dando notizia dei sentimenti che agitano i personaggi, fa molto di più di questo: descrivendo visivamente un momento dà risposte stimolando domande. Ciò perché un artista se tale è, è anche consapevole che la sua opera sarà sempre incompiuta e a sua volta cercherà altre risposte anche dal fruitore dell’opera.

Le luci e i colori, quindi, divengono simboli in una ricerca comunicativa continua tra l’artista ed il suo estimatore in una reciproca stimolazione conoscitiva. Ciò non è altro che altrettanta reciproca ricerca di luce/conoscenza dove l’artista ha ragione di essere per impellente necessità comunicativa, non fosse altro che con se stesso, ricercando sempre nuove combinazioni cromatiche in grado di sintetizzare sempre più nuove conoscenze acquisite alle quali non è estraneo il fruitore dell’opera. Chiunque, artista, ricercatore, poeta o scrittore che sia, nella composizione più perfetta riesce sempre a porre nuovi interrogativi. Ed è l’interrogativo irrisolto che spinge l’essere pensante a volere rompere il cerchio e, in questo tentativo, riuscendo solo a dilatarne i confini, riesce comunque ad amplificare il raggio di luce moltiplicando gli aspetti cromatici, in una ricchezza conoscitiva sempre maggiore. Tuttavia la forza della luce fa si che la proiezione fuori dal cerchio talvolta sia resa possibile dal simbolo cromatico la cui complessità fa intravedere il trascendente a cui aspiriamo e di cui cogliamo l’essenza. E se siamo in grado di concepire un’idea è segno che l’idea è realizzabile, quindi ciò conferisce a noi, esseri pensanti, quel diritto a sapere e conoscere, la cui negazione sarebbe veramente diabolica, perché negatrice dell’evidente e del trascendente. In tale contesto si impone una rivalutazione del portatore di luce, “Lucifero”, del quale sarebbe opportuno esprimere legittimi dubbi sulla sua natura diabolica. Fuori da ogni contesto convenzionale e convenzionato, se assumiamo il concetto di luce come simbolo cromatico primario della conoscenza del tutto, non possiamo non attribuirne un significato anche ai concetti apparentemente contrapposti dell’essere biologico e dell’essere creato. L’essere umano, nel momento della prima luce, ovvero nel primo istante della coscienza di sé, è molto presumibile che non si sia chiesto “chi sono, ma…dove mi trovo?”. La prima necessità antropologica consiste nel dare a se stesso una collocazione nello spazio circostante.

La prima sensazione visiva cosciente è quella di distinguere i colori che lo circondano e cominciare a confrontarsi con ciò che essi rappresentano nel riflesso prima condizionato e poi simbolico. Il rosso cangiante del fuoco: magia, paura, prudenza; il colore acceso dei frutti: sapore, alimento; il verde dei prati: conforto, frescura, morbidezza; il nero della notte: mistero, rifugio, freddo; il bianco della luce: calore, certezza, vita; l’azzurro del cielo: profondità, immensità, aspirazione. Il colore, quindi diventa simbolo dell’essere, dei suoi sentimenti, delle sue sensazioni.

I simboli prendono la forma del circostante dominante cui l’uomo è assoggettato, così come i colori intervengono sul simbolo quasi a volergli dare vita avvicinandolo sempre più all’uomo e alle sue umane percezioni. Gli idoli adorati vengono permeati di colori come ad accogliere in sé il complesso cromatico, quasi a condividere con l’uomo tutto ciò che lo circonda traducendo il trascendente ad una forma a lui più vicina, più comprensibile e più confortante. Il simbolo diviene oggetto di preghiera, di istanze e, a volte, di rivalsa. In questa polivalenza interviene il colore a dargli appropriata connotazione. Nel corso della storia esso muta col mutare degli eventi ed il pervenire a sempre maggiori conoscenze. In tal senso la domanda esistenziale si pone come prima nella sua necessità essenziale ma solo seconda rispetto ad ogni istanza urgente di sopravvivenza.

Questo è l’uomo biologico a cui consegue l’uomo creato e creatore di forme dalle quali ottenere risposte facendosi creare e poi destinare ad una vita successiva eterna, massima aspirazione esistenziale. Quindi l’uomo biologico e l’uomo creato non sono in opposizione ma, come tutti i colori, anche se apparentemente contrapposti, fanno sempre parte del tutto cromatico. Che a sua volta non può che portare alla luce, simbolo e unità del tutto. È nella luce che l’uomo pensante (Albert Einstein tra tutti) scopre proprietà insospettate e meravigliose che tramutano essa da simbolo a realtà efficiente, confermando come la simbologia per intuizione trascendente, avesse già percorso la strada del concepire il pensiero come possibilità che esso sia sempre attuabile. Ma poteva il grande Einstein avere la luce delle intuizioni, senza aver prima avuto grande sensibilità di conoscenza simbolica? E non sono le stesse conoscenze scientifiche, la cui sintesi arricchita dal bisogno trascendente porta all’intuizione? E l’intuizione non si muove forse sulla strada della ricerca? E non è la ricerca il bisogno essenziale dell’uomo di pervenire alla conoscenza? E quanto la ricerca scientifica è vicina alla ricerca interiore? Quindi torniamo al tutto cromatico come fautore del bianco assoluto ed alla luce quale prodotto di compendio cromatico e di energia.

La nuova e rivoluzionaria componente della luce è l’energia, non sappiamo ancora se E = mc² rompe il cerchio o se solo ne dilata enormemente i confini, certamente apre enormi orizzonti alla scienza e altrettanto sicuramente dà corpo ad una parte di ciò che per noi prima faceva parte del trascendente, spostandone l’orizzonte conoscitivo e dilatando la prospettiva fino a desiderare nuova conoscenza e nuove intuizioni. Continueremo a guardare le stelle con la nuova consapevolezza di guardare qualcosa che non è più poiché la realtà attuale di esse ci arriverà tra decine, centinaia o migliaia di anni luce. Tenteremo forse di cavalcare un fotone (piuttosto che il vecchio romantico raggio di luce) sperando di vincere il tempo conquistando un’idea di eternità? Potremo ambire all’inconoscibile noi portatori di dubbi ed eresie o, forse, alla fine del nostro cammino il grande architetto dell’universo ci verrà incontro, come nell’affresco michelangiolesco, porgendoci con l’indice la scintilla della massima conoscenza e indicando il traguardo del nostro percorso? Lo sapremo solo nel momento estremo!

L’isola dei morti di Arnold Bocklin
1880 Berlino – Neue Nationalgalerie

Tardo romantico, visse sporadicamente a Firenze per poi stabilirsi nella città ove morì nel 1901. Fu sepolto in San Domenico di Fiesole. L’opera fu compiuta in 4 diverse versioni, segno di una ricerca simbolico-cromatica mai appagata. Pare abbia tratto ispirazione dal cimitero degli inglesi dove, effettivamente, si riscontrano forti tratti di similitudine simbolica.

BocklinAutoritratto

L’isola dei morti
 

Come un enorme scoglio dalle pareti paurosamente verticali affondato nelle profondità di un mare calmo e da esso emergente, quasi a trovare origine al centro della terra, l’isola dei morti si staglia su un orizzonte che, unico si annuncia procelloso. Tutto il resto è calma assoluta, nemmeno le onde si infrangono contro di esso, né il remo del barcaiolo crea alcun vortice. Tutto è inaccessibile meno il portale d’ingresso sempre spalancato. La barca si avvicina all’approdo quasi per energia propria, come sapesse dove esattamente deve andare, dotata di memoria propria indotta dall’incessante, eterno addivenire tra il mondo dei vivi e l’estremo traguardo. Il barcaiolo è semplicemente un’ombra, simbolo efficace ma quasi elemento inutile nel percorso.

Suggestiona l‘immagine che induce una sensazione di pace assoluta. Il bianco dell’essere di luce è accecante. Esso è soltanto una figura scaturita dall’apparente assenza cromatica, creata dal pennello che non l’ha dipinto e da una matita che non ha tracciato alcuna forma se non quella necessaria a delimitarne i contorni. Dolce e rassicurante varcherà la soglia, l’essere di luce non ha timore, esso è già il frutto di rinascita avendo già varcato la soglia della sfera , esso è già nell’infinito della spirale, la morte corporea ha segnato la rottura del cerchio. La morte perde quasi ogni connotato terrifico e, se non fosse per il vizio di temere l’inganno perpetrato dallo stesso essere umano, assumerebbe quasi una suggestione invitante. L’essere di luce è alto, sottile, etereo, piegato leggermente in avanti quasi in commiserazione sofferta e che nulla fa se non stare là dove non è stato dipinto a rappresentarci la speranza del dopo e l’estrema aspirazione alla stessa luce che lo compone. L’essere di luce è solo forma acromatica ma essenziale nel dare un senso all’insieme simbolico: è l’anima liberata dal corpo che conduce all’estrema dimora le proprie spoglie?

Inquieta solo l’idea della morte suggerita dall’insieme simbolico e dall’asperità della rupe inaccessibile ma facilmente violabile dall’ingresso scuro e privo di ostacoli. Un volto di pietra sembra osservare, severo, i tumuli delle salme ivi riposte la cui perenne immobilità soggiace al giudizio senza appello. I colori rappresentano esattamente ciò che devono rappresentare: la pietra rossa ed aspra, la barriera dei massi a difendere il nulla dal nulla, le colate bianche di granito che sembrano affondare a cascata nel mare mentre da esso risalgono, i portali a delimitare un accesso perennemente aperto, il verde scuro degli immobili cipressi, un mare dal colore plumbeo delle nubi. Immortalità ed inamovibilità perenne si traggono dall’immagine i cui colori sono simboli immediati e nemmeno tanto oscuri rappresentando esattamente ciò che si vede. Il sole è assente, tuttavia le luci sono nette e contrastate, le ombre da esse create tali da creare il nero fitto del buio cui il mistero è connaturato.

L’autore dell’opera ci sta comunicando, con un semplice contrasto cromatico, un insieme di sensazioni e conoscenze difficilmente spiegabili con pagine sature di parole pur sapientemente esposte. Osservando lo scorcio di destra, in alto, si scorge un volto visibile solo per un effetto cromatico e di ombre che ne esaltano il rilievo; sta in alto e lo sguardo, che soltanto si intuisce, sembra rivolto al portale di ingresso, forse a giudicare o forse a custodire. Il richiamo mitologico al dio Pan sembra evidente ma sembra altrettanto oscuro il suo significato: Pan è il dio della natura, etimologicamente è il tutto e come tale è il massimo compendio del male e del bene, quindi unico, al di sopra di tutti gli dei (singoli componenti cromatici), al di sopra dello stesso Zeus, dio degli dei, ma non unità del tutto. Egli, essere pervertito e vizioso, fornicatore estremo, molestatore di ninfe e giovinetti, onanista irrefrenabile, infido e crapulone, è il richiamo belluino della natura e di tutte le sue estreme manifestazioni. ma come tale è il migliore conoscitore dei vizi umani e delle profondità più oscure e sordide dell’animo …egli è ottimo indagatore e inquisitore e nulla gli sfugge della vera natura di chiunque varchi il portale oscuro dell’isola. Così Pan acquista la prerogativa giudicante, forte della sua natura bivalente di tutto il bene e di tutto il male. Quindi sta lì, inamovibile e severo, duro come la roccia che lo compone. È mirabile l’opera così composta: il volto di pietra non ha occhi ma guarda, il suo sguardo non esiste tuttavia osserva attentamente.

Ma l’essere di luce è presente, sempre, a rammentare che l’anima oltrepassa i confini dell’isola e da essa ne esce seguendo il percorso della spirale nella linea della conoscenza trascendente. L’intera opera è simbolo efficiente per chi sa leggerne i significati. La percezione di ciò che non è esplicitamente rappresentato è il messaggio più forte che un autore possa dare al suo fruitore. La luce, come sempre, comunica la complessità del pensiero sintetizzando assieme all’insieme cromatico, la conoscenza da condividere con quella da ricercare. La meravigliosa simbologia cromatica dell’opera ci ha fatto vedere al di là del dipinto. E la stessa forma comunicativa, altrettanto fortemente simbolica, ci consegna il messaggio dell’autore in tutta la sua trepidazione, nell’ansia di una conoscenza mai appagata, e nel desiderio di condividere il tumulto del suo animo parlando il linguaggio universale simbolico e nella miriade di risposte possibili e parziali all’unica domanda sempre inevasa.

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