Armonistica – parte 5

Scienza del SuonoAnalogie tra il lambdoma dei pitagorici, l’antico sistema oracolare cinese e il codice ereditario dei sistemi viventi

La sola analisi del lambdoma – che Kayser sviluppò anche in versione circolare e tridimensionale e che, come abbiamo visto, costituisce la base di partenza della disciplina armonicale – permette di individuare analogie fino ad oggi insospettate fra settori della conoscenza anche molto lontani fra loro. Un’analogia particolarmente sorprendente con il sistema oracolare dell’antica Cina, l’I King o Libro dei Mutamenti, venne posta in rilievo già da von Thimus. Molto più di recente, comunque, Martin Schöneberger ne ha mostrata un’altra non meno clamorosa con il codice genetico dei sistemi viventi.

Armonistica – parte 5

di Roberto Fondi

saggio tratto dal sito www.estovest.net previa autorizzazione dell’autore alla pubblicazione

Sommario: Introduzione – L’antica scuola pitagorica e le esperienze con il monocordo – Risultati delle ricerche moderne sulla fisiologia dell’udito – Johannes Kepler e l’armonistica dell’universo – Albert von Thimus e la riscoperta del “lambdoma” neopitagorico – Hans Kayser e l’armonistica dei regni naturali – L’armonistica applicata – Analogie tra il lambdoma dei pitagorici, l’antico sistema oracolare cinese e il codice ereditario dei sistemi viventiImplicazioni dell’armonistica sulla visione del mondo

Analogie tra il lambdoma dei pitagorici, l’antico sistema oracolare cinese e il codice ereditario dei sistemi viventi

La sola analisi del lambdoma – che Kayser sviluppò anche in versione circolare e tridimensionale e che, come abbiamo visto, costituisce la base di partenza della disciplina armonicale – permette di individuare analogie fino ad oggi insospettate fra settori della conoscenza anche molto lontani fra loro. Un’analogia particolarmente sorprendente con il sistema oracolare dell’antica Cina, l’I King o Libro dei Mutamenti [52], venne posta in rilievo già da von Thimus [53]. Molto più di recente, comunque, Martin Schöneberger [54] ne ha mostrata un’altra non meno clamorosa con il codice genetico dei sistemi viventi.

Attribuito al saggio Fu-Hi (o Fu-Shi), figura mitica dell’epoca della caccia, della pesca e dell’invenzione della cottura (e perciò anteriore a quella di ogni ricordo storico: probabilmente intorno al 2.500 a.C.), sembra che l’I King sia stato codificato nella forma attuale intorno al 1.100 a.C. dal re Wen, fondatore della dinastia Chou, durante i sette anni di prigionia inflittigli da Shin Chou, ultimo imperatore della dinastia Shang, timoroso della sua popolarità. Il libro fu oggetto di devotissima considerazione da parte sia di Confucio che di Lao Tse (l’autore del Tao-Te-King ), ed è appunto a Confucio che vengono generalmente attribuiti i “Commenti” e le “Immagini” relativi ai 64 esagrammi che ne formano la base. Questi consistono di linee orizzontali sovrapposte, le quali possono essere intere ( ) o spezzate ( ) ad indicare rispettivamente lo yang e lo yin, vale a dire i due principi cosmici complementari ed antagonisti, la cui armonizzazione riflette fedelmente la sostanza del Tao, l’Essere Supremo. A parte la funzione oracolare dei vari esagrammi, che esprimono combinazioni differenti di yang e di yin dal lato sia quantitativo che qualitativo, qui sarà sufficiente dirigere l’attenzione essenzialmente alla particolare connessione matematica del loro insieme.

Inizialmente gli antichi saggi cinesi raddoppiarono le linee intere e spezzate in 4 combinazioni-base, dando così espressione ai classici “quattro elementi” fondamentali della natura:

Aria

Terra

Acqua

Fuoco

Poi vi aggiusero una terza riga, derivandone gli “otto segni” rappresentativi di tutto ciò che avviene in cielo ed in terra:

Cielo

Terra

Tuono

Acqua

Monte

Vento

Fuoco

Lago

Kkienn

Kkunn

Cenn

Kkann

Kenn

Sunn

Li

Tui

Sovrapponendo un secondo trigramma a ciascuno degli otto precedentemente ottenuti, si ebbero le 64 combinazioni della tavola oracolare dell’I King. Poiché dai cinesi questa tavola viene letta dal basso verso l’alto e da destra verso sinistra, per leggerla al modo nostro basterà ruotarla di 180°. Il risultato è esposto nella pagina seguente. Ciascuna di queste combinazioni ha un nome e un significato precisi, cominciando con Kkienn (il principio attivo), Kou (contatto), Ttung Jenn (amici, innamorati), ecc., fino a terminare con Scï (l’esercito), Fu (ritorno) e Kkunn (il principio passivo).

Dato che ciascun esagramma è composto da due trigrammi, conviene considerare questi ultimi come separati. In tal modo, infatti, si constaterà facilmente che nella prima riga i trigrammi superiori risultano tutti identici fra loro, a differenza di quelli inferiori che si presentano tutti diversi l’uno dall’altro; il primo esagramma, in ogni caso, consta di due trigrammi identici. Questa configurazione è strettamente analoga a quella della prima riga del lambdoma, dove i numeratori hanno tutti lo stesso valore e sono perciò uguali, mentre i denominatori hanno valori differenti e sono perciò diversi.

Data questa puntuale coincidenza, ci sentiremo indotti a cercare di definire meglio l’analogia fra la successione dei trigrammi inferiori ed i numeri da 1 a 8 del lambdoma: il che porterà subito a farci accorgere come la diagonale della tavola oracolare cinese corrisponda benissimo alla linea della nota fondamentale del lambdoma, consistendo la prima in esagrammi formati da coppie di trigrammi identici fra loro e, più precisamente, nella medesima successione di quella dei denominatori della prima riga. In ciascuna colonna, d’altra parte, i trigrammi-denominatori risulteranno costanti. Esiste perciò una perfetta analogia strutturale fra il sistema esagrammatico dell’I King e il lambdoma, l’unica differenza risiedendo nel fatto che il primo consiste di soli 64 elementi, mentre il secondo può essere esteso all’infinito.

Soltanto nuovi approfondimenti potranno stabilire fino a che punto l’analogia fra la tavola oracolare cinese e quella musicale pitagorica sia suscettibile di essere estesa; certo è che l’accostamento fatto da Schöneberger tra il sistema I King ed il campo di combinazioni previsto dal codice di trascrizione inerente al materiale ereditario di tutti gli organismi viventi, dai batteri all’uomo, costituisce un’ulteriore dimostrazione di quanto sia promettente questo genere di studi.

Già le cosiddette “leggi di Mendel” – ossia quelle regole che si manifestano nella trasmissione ereditaria di molti caratteri – risultano caratterizzate da rapporti numerici semplici suscettibili di essere fatti corrispondere ad intervalli o accordi musicali; ma ciò che veramente non può non lasciare sorpresi è la straordinaria corrispondenza numerica tra le possibili combinazioni esagrammatiche dell’I King e quelle delle basi che presiedono la costruzione degli amminoacidi per la sintesi proteica: 64 in entrambi i casi!

Com’è noto, negli organismi viventi la trasmissione delle informazioni per la costruzione di nuovi individui è affidata a serie doppie e spiralate di lunghe macromolecole di acido desossibonucleico o DNA, costituite da uno zucchero (il desossiribosio), da acido fosforico e da quattro differenti composti azotati (le basi puriniche e pirimidiniche). Questi quattro composti, convenzionalmente indicati con lettere maiuscole, sono l’adenina (A), la citosina (C), la guanina (G) e la timina (T) – che però, nella fase dello sdoppiamento e della duplicazione delle macromolecole di DNA (fase in cui diviene essenziale l’intervento di macromolecole di acido ribonucleico o RNA) è sostituita dall’uracile (U). In gruppi di tre, denominati codoni, le basi puriniche e pirimidiniche svolgono un ruolo-chiave nel processo riproduttivo, in quanto fungono da elementi codificatori per la costruzione di amminoacidi che, disposti in lunghe catene, formano l’impalcatura di proteine che sostanzia tutti gli organismi viventi.

Come si è detto, la notevole scoperta di Schöneberger è che il numero di triplette possibili per la costruzione dei 20 amminoacidi presenti nelle proteine di tutti i sistemi biologici coincide con quello degli esagrammi dell’antica tavola oracolare cinese. Tuttavia, poiché nel codice genetico molti codoni portano al medesimo amminoacido e poiché, nella soluzione di Schöneberger, codoni con lo stesso significato risultavano sparpagliati nel diagramma in ordine completamente diverso da quello usato in biologia molecolare (Fig. 9), il genetista Giuseppe Sermonti [55] vi ha effettuato alcune semplici correzioni (sostituendovi A con U, G con A ed U con G) che ne hanno eliminato le incongruenze senza alterarne in alcun modo il significato di fondo.

Fig. 9 – Il vocabolario del codice genetico. Gli aminoacidi sono rappresentati nella loro forma abbreviata (ad es.: Phe = fenilalanina; Leu = leucina) all’interno del rettangolo centrale, mentre le tre basi componenti il codone per ciascun amminoacido sono indicate nei rettangoli a sinistra, in alto e a destra. Ad esempio: i codoni per l’asparagina (Asp) sono GAU e GAC; quelli per la serina (Ser) AGU e AGC. I codoni corrispondenti ai tre “non” del rettangolo centrale non codificano alcun aminoacido e funzionano soltanto come “segni di interpunzione”. Il codone per la metionina (Met) funziona anche come “lettera maiuscola di inizio” di una successione di aminoacidi.

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Adottata perciò la convenzione di equiparare nel modo che segue i quattro elementi naturali dell’ I King alle basi azotate che formano i codoni:

Kkienn

Li

Kkann

Kkunn

U

C

A

G

si nota subito come, per quanto riguarda il significato dei codoni, la linea superiore risulti più indicativa di quella inferiore; infatti l’uracile è simile alla citosina, mentre l’adenina è simile alla guanina. Le terne UUU e UUC hanno lo stesso valore genetico (potendo produrre entrambe l’amminoacido fenilalanina: Phe), come pure le terne UUA e UUG (amminoacido leucina: Leu). Nei legami molecolari, invece, diviene più importante la riga inferiore: nella doppia elica del DNA l’uracile si associa all’adenina, mentre la citosina si associa alla guanina.

Equiparando ora ciascun esagramma (diamo i due casi estremi) ad una tripletta o codone

Kkienn

Kkunn

UUU

GGG

si ottiene la tabella seguente:

la quale, sebbene interessi combinazioni ternarie di soli 4 elementi, rivela notevoli ed incontestabili analogie con il lambdoma pitagorico. Infatti, equiparando le 8 righe triple alle frazioni o rapporti del lambdoma (facendo cioè corrispondere le lettere superiori ai numeratori e le inferiori ai denominatori dei medesimi), potremo constatare: a) una costruzione delle triplette conforme ad una rigorosa combinatoria; b) l’identità, per ciascuna delle 8 righe triple, delle lettere superiori delle triplette (le lettere centrali risultano identiche solo per metà rigo); c) l’identità delle righe relative alle lettere inferiori delle triplette.

Pertanto, allo stesso modo in cui nel lambdoma un determinato rapporto fra quantità numerabili corrisponde ad un particolare accordo musicale, ovvero ad una distinta qualità di suono percepibile, così ad una terna di lettere o basi azotate del DNA-RNA corrisponde un’informazione precisa e piena di significato per la costruzione di un determinato amminoacido.

È quasi superfluo far notare come tutto questo si ponga in netto contrasto con l’idea secondo cui i sistemi viventi altro non sarebbero se non il risultato di una mera dialettica di “caso” e di “necessità”, come ancora oggi si sforzano di far credere, sulla scia del pensiero ottocentesco, i biologi sofisti darwiniani alla Jacques Monod [56] , alla Richard Dawkins [57] o alla Stephen Jay Gould [58].

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52 I King (Il libro dei mutamenti). Tr. it. di Bruno Veneziani e A.G. Ferrara della versione tedesca di Richard Wilhelm. Astrolabio, Roma 1950. (torna al testo)

53 Albert Freiherr von Thimus, Op. cit., 1868, p. 79. Più specificamente, si veda in proposito: Rudolf Haase, Lambdoma, I Ging und genetischer Code, in “Grenzgebiete der Wissenschaft”, 28 (1), 1979, pp. 18-31 (tr. it. di Elemire Zolla: Lambdoma, I King, codice genetico, in “Coscienza Religiosa”, 1, 1980, pp. 78-87). (torna al testo)

54 Martin Schöneberger, Verborgener Schlüssel zum Leben. Weltformel I Ging im genetischen Code, Frankfurt 1977. (torna al testo)

55 Vedi la sua nota in appendice al citato articolo di Haase, pp. 88-89. (torna al testo)

56 Jacques Monod, Le hasard et la nécessité (tr. it. di Anna Busi: Il caso e la necessità , Mondadori, Milano 1970). (torna al testo)

57 Richard Dawkins, The Blind Watchmaker, Longman, London 1986 (tr. it. di Libero Sosio: L’orologiaio cieco, Rizzoli, Milano 1988). (torna al testo)

58 Stephen Jay Gould, Wonderful Life: The Burgess Shale and the Nature of History, Norton & Co., New York/London 1989 (tr. it. di Libero Sosio: La vita meravigliosa, Feltrinelli, Milano 1990). (torna al testo)

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Implicazioni dell’armonistica sulla visione del mondo

Da quanto abbiamo scritto, riteniamo sia lecito concludere che nell’ambito scientifico l’armonistica, ben lungi dal poter essere considerata semplicemente come un’ipotesi o una teoria, assume invece il ruolo di una disciplina interessata a relazioni che attendono soltanto di essere cercate, individuate, studiate comparativamente e – al limite – applicate nelle più svariate direzioni. D’altra parte, poiché queste relazioni, presenti in ogni manifestazione naturale, sono esprimibili in maniera biunivoca, e cioè in termini sia quantitativi sul piano fisico che qualitativi sul piano psichico, ne segue che l’armonistica implica una visione del mondo in cui la natura e l’uomo sono elementi non più indipendenti e contrapposti alla maniera cartesiana, bensì integrati e complementari alla maniera goethiana.

Questa conclusione potrà sembrare illecita a quanti si ostinano a pensare che le percezioni di accordi o disaccordi esistano unicamente nel nostro ambito soggettivo, e che in natura non siano registrabili oggettivamente nient’altro che relazioni quantitative del tutto neutre o indifferenti a tale ambito. Si tratta del medesimo pregiudizio contro cui doveva scontrarsi Goethe [59] ogni volta che gli veniva obiettato che i colori esistevano soltanto nelle nostre percezioni, consistendo essi “in realtà” – dopo quanto era emerso dalle ricerche di Newton – in grandezze fisiche descrivibili quantitativamente come mere differenze di lunghezza d’onda (così oggi si direbbe) della luce o radiazione elettromagnetica solare.

Anche sulla base di quanto ci ha insegnato la rivoluzione quantistica nell’ambito della fisica [60], questo smembramento della realtà in aspetti quantitativi ritenuti “oggettivi” (perciò degni di essere presi in considerazione) e qualitativi ritenuti “soggettivi” (perciò non degni di essere presi in considerazione) è da ritenere anacronistico ed ingiustificato. Dato che anche gli aspetti quantitativi della realtà possono essere scoperti soltanto tramite l’attività della nostra mente, perché dovremmo escludere aprioristicamente da questa attività i colori, i suoni, i sapori, gli odori e le altre “qualità” che pure rientrano a pieno titolo nell’ambito delle nostre percezioni della medesima realtà? Giustamente, pertanto, nella sua opera Der Mensch und die naturwissenschaftliche Erkenntnis (“L’uomo e la conoscenza scientifico-naturalistica”), il fisico svizzero Walter Heitler ha insistito nel proporre che tutto quanto nell’uomo ha a che vedere con la conoscenza venga integrato, e che non sia ammesso soltanto – come fin dal tempo di Cartesio è stato stabilito – ciò che è suscettibile di essere formulato in termini matematico-quantitativi [61].

Non è privo di significato il fatto che il supporto fisico per eccellenza delle nostre capacità conoscitive – il cervello – risulti formato da due emisferi aventi proprietà e funzioni per molti versi opposte. Poiché è ormai generalmente ammesso che è soprattutto l’emisfero sinistro a presiedere alle funzioni analitico-razionali, mentre quello destro presiede essenzialmente alle funzioni sintetico-intuitive [62], qualora venissero escluse le qualità percettive, la conoscenza si ridurrebbe ad un’opera di mera e fredda giustapposizione e classificazione di grandezze numeriche più o meno eterogenee ed indipendenti fra loro. Una tale esclusione, comunque, è inaccettabile, perché ogni scienziato sa bene quanto siano importanti le intuizioni, le pulsioni emozionali, le influenze di carattere storico-sociale e le motivazioni estetiche nella genesi stessa dei paradigmi, delle ipotesi e delle teorie, in assenza dei quali diviene del tutto privo di senso parlare di scienza. È unicamente sulla base di paradigmi, ipotesi e teorie nuovi, infatti, che possono venire imbastiti programmi di ricerca e di sperimentazione suscettibili di far progredire la conoscenza, sbloccando così il cammino di quest’ultima da rallentamenti o impedimenti dovuti ad un eccessivo consolidarsi, fino ad un loro fossilizzarsi in dogmi, di paradigmi ormai giunti al limite delle loro possibilità esplicative [63]. L’inclusione dell’elemento sintetico-intuitivo-qualitativo, dunque, ben lungi dal rappresentare un pericolo per il rigore di quello analitico-razionale-quantitativo, contribuisce in realtà ad integrare costantemente le diverse espressioni di quest’ultimo in un tutto unitario e coerente.

Ora, abbiamo visto che attraverso le corrispondenze con l’udito messe in evidenza dall’armonistica emergono sorprendenti analogie, o leggi di invarianza, tra discipline relative ai differenti regni naturali (astronomia, fisica, mineralogia, botanica, zoologia, ecc.), le quali non potrebbero essere notate rimanendo confinati all’interno dei campi visivi delle discipline stesse. Alla luce di questo fatto, diviene perciò possibile paragonare la natura ad un tessuto, nel quale le singole discipline scientifiche corrispondono ai fili dell’ordito (lungo i quali ciascuna disciplina, più o meno indipendentemente dalle altre, sviluppa la propria ricerca in senso analitico-causale) e l’armonistica alla trama che connette quei fili (evidenziando così le regole che li uniscono in un disegno sintetico-sincronico più ampio ed elevato). Solo la stretta combinazione delle due direzioni di visuale, rappresentate dai fili orizzontali dell’ordito e da quelli verticali della trama, può fornire un quadro completo del tessuto naturale.

Poiché la visione del mondo fornita dalle sole conoscenze di tipo analitico-causale è parziale ed unilaterale, e poiché questo fatto viene sempre più condiviso da scienziati la cui autorità rimane al di fuori di ogni discussione, è ovvio come anche le costruzioni filosofiche che si basano su tale visione – genericamente definibili come “scientiste” – non possano non rimanere viziate da quegli errori di prospettiva e da quel riduzionismo di fondo che ne sanciscono in partenza i limiti. Al contrario, l’armonistica implica il riconoscimento di un grande piano o disegno che, “olisticamente”, collega tutti i campi e si esprime nelle semplici leggi numerico-musicali della cui esistenza Kepler e Kayser hanno dato per primi la dimostrazione. Pertanto, al fine di giungere nuovamente ad una visione del mondo unificante e densa di significato, a noi non resta che seguire il loro esempio, sottoponendo alla prospettiva armonicale il materiale numerico abbondantemente offertoci dalle singole discipline naturalistiche.

Nel “piano” o “disegno” di cui si parla, l’uomo è coinvolto in prima persona come elemento partecipante essenziale. È questa, se si vuole, un’ulteriore formulazione del cosiddetto “principio antropico” introdotto in astrofisica [64], circa il valore del quale è particolarmente significativo quanto scrive Freeman Dyson in un brano che riteniamo utile riportare qui per esteso:

“Ritengo che la nostra coscienza non sia solamente un epifenomeno passivo, un portato degli eventi chimici che hanno sede nel cervello, ma che sia un agente attivo che induce i complessi molecolari a scegliere tra uno stato quantico e l’altro. In altre parole, la mente è già una caratteristica intrinseca di ciascun elettrone, e il processo della coscienza umana differisce unicamente in grado, ma non in qualità, dal processo di scelta tra stati quantici che noi chiamiamo ‘caso’ quando viene effettuato dagli elettroni.

Jacques Monod ha un termine per definire coloro che la pensano come me e a cui riserva il più profondo disprezzo. Ci chiama ‘animisti’, persone che credono negli spiriti. ‘L’animismo – egli dice – instaura un patto tra uomo e natura, una profonda alleanza, all’esterno della quale pare stendersi soltanto una spaventosa solitudine. Dobbiamo spezzare questo legame perché il postulato dell’obiettività ci impone di farlo?’ E risponde affermativamente: ‘L’antico patto si è infranto; l’uomo finalmente sa di essere solo nella sorda immensità dell’universo, da cui è emerso soltanto per caso’. Io invece rispondo negativamente. Io credo nel patto. È vero che ci siamo affacciati nell’universo per caso, ma l’idea stessa di ‘caso’ non è altro che il paravento della nostra ignoranza. Non mi sento un estraneo, nell’universo. Quanto più l’esamino e studio i particolari della sua architettura, tanto più numerose sono le prove che l’universo, in un certo senso, doveva già sapere che saremmo arrivati.

Nelle leggi della fisica nucleare vi sono alcuni esempi molto singolari di coincidenze numeriche che paiono essersi accordate tra loro per rendere l’universo abitabile. (…) Nell’astronomia vi sono altre coincidenze numeriche che operano a nostro favore. (…) Dall’esistenza di queste coincidenze fisiche e astronomiche ricavo la conclusione che l’universo è un luogo straordinariamente ospitale, come possibile habitat di creature viventi. E poiché sono uno scienziato, abituato ai modi di pensiero e al linguaggio del ventesimo secolo, e non a quello del diciottesimo, non affermo che l’architettura dell’universo dimostra l’esistenza di Dio. Affermo soltanto che l’architettura dell’universo è coerente con l’ipotesi che la mente abbia un ruolo essenziale nel suo funzionamento.

In precedenza avevamo trovato due livelli a cui la mente si manifesta nella descrizione della natura. Al livello della fisica subatomica, l’osservatore è inestricabilmente coinvolto nella definizione degli oggetti della sua osservazione. Al livello della diretta esperienza umana, siamo consapevoli della nostra mente, e ci pare giusto credere che gli altri esseri umani e gli animali abbiano una mente non del tutto diversa dalla nostra. Adesso abbiamo trovato un terzo livello che va aggiunto ai due precedenti. La particolare armonia fra la struttura dell’universo e le esigenze della vita e dell’intelligenza è una terza manifestazione dell’importanza della mente nello schema della realtà. Come scienziati, non ci possiamo spingere oltre. Abbiamo la prova che la mente è importante a tre livelli diversi. Non abbiamo alcuna prova a sostegno di ipotesi unificanti più profonde, tali da collegare insieme questi tre livelli. Come individui, alcuni di noi sono forse disposti a spingersi avanti. Alcuni di noi possono accarezzare l’ipotesi che esiste una mente universale, un’anima mundi che sta dietro le manifestazioni della mente da noi osservate. Se prendiamo in seria considerazione questa ipotesi, noi siamo, secondo la definizione di Monod, animisti. L’esistenza dell’anima del mondo è un problema che rientra nella sfera della religione e non in quella della scienza” [65].

Del brano sopra riportato, ci siamo permessi di mettere in corsivo tre punti fondamentali. Per quanto concerne i primi due punti, siamo in piena sintonia con il pensiero di Dyson. Non riteniamo di poter concordare con lui, invece, sul terzo punto, in quanto crediamo che sia proprio l’armonistica a rappresentare la disciplina unificante i “tre livelli” della coscienza di cui parla il celebre fisico inglese.

Presentandosi come un ambito sensoriale del tutto nuovo rispetto a quelli della vista e dal tatto, sui quali fino ad oggi sono state generalmente imbastite le nostre conoscenze, è ovvio che l’udito abbia reso possibili anche nuovi risultati, conducendo in modo naturale all’armonistica. Il fondamento di quest’ultima, in effetti, risiede appunto nella proprietà dell’udito di formare accordi, cioè di costituire con due determinate note un’unità di ordine superiore, ovvero un suono nuovo, differente da entrambe ma riconoscibile in ogni situazione. Se, per esempio, formiamo una terza maggiore, essa è identica – come tipo di esperienza psichica o conoscitiva – a tutte le altre terze maggiori che si possono formare.

La spontanea e spiccata capacità di misurare da parte dell’udito può essere dimostrata direttamente al monocordo. Se si colloca il ponticello a metà corda, i due tratti di questa daranno entrambi lo stesso suono, corrispondente al rapporto di 1/2 (Do’) del lambdoma. Se si sposta il ponticello anche di poco, ce ne accorgiamo immediatamente e diciamo che la tonica è scordata. Per raccordarla dobbiamo di nuovo spostare all’indietro il ponticello, sempre controllando ad orecchio fino a quando non la sentiremo perfettamente accordata: nel qual caso, potremo constatare che il ponticello è tornato esattamente a metà lunghezza della corda. Questo esperimento, pur essendo in sé molto semplice, non manca mai di costituire motivo di perplessità, in quanto rivela che la precisione di misura da parte dell’orecchio – approssimata all’uno per mille – è davvero sorprendente.

Come magistralmente è stato mostrato da Kayser, ogni accordo consiste di un rapporto numerico semplice, o Tonzahl, avente però per noi un determinato significato o valore, o Tonwert; ed è appunto la complementarità dei Tonzahlen-Tonwerten a rendere possibile la trasposizione diretta di ogni manifestazione naturale nella sfera del nostro universo percettivo. D’altra parte, alla base della formazione degli accordi c’è un ulteriore dato di fatto, che generalmente non viene tenuto nella dovuta considerazione: tanto l’esatta capacità di misurare i suoni, quanto la fusione di questi ultimi in accordi o tonalità di ordine superiore, non hanno luogo nella parte conscia, bensì in quella inconscia della psiche.

Come con l’indagine naturalistica viene stabilita una corrispondenza fra le manifestazioni naturali e la facoltà della psiche di percepirle coscientemente in termini quantitativi o basati su numeri, così con l’indagine armonicale viene stabilita una corrispondenza tra le manifestazioni naturali e la facoltà della psiche di percepirle a livello inconscio in termini qualitativi o basati su accordi. Ambedue i metodi conoscitivi, insomma, partono dalla medesima premessa teorica di una corrispondenza di fondo tra le leggi della natura e le leggi della psiche; per cui la natura e la psiche si rivelano quali sponde complementari della realtà, mentre l’armonistica mostra di costituire il più diretto ponte di connessione tra di esse.

In conclusione, nella disciplina fondata da Pitagora, Kepler e Kayser possono essere individuate almeno quattro caratteristiche fondamentali:

– ricorrendo metodicamente all’analogia e mettendo in evidenza che le leggi degli accordi musicali sussistono nei più diversi regni della natura, essa conduce ad una rappresentazione unitaria del mondo, in grado di comprendere perfino le arti;

rilevando isomorfismi nei più svariati campi di indagine e collegando fra loro scienze eterogenee, essa realizza l’ideale della “teoria generale dei sistemi” quale venne formulato per la prima volta da Ludwig von Bertalanffy [66], potendo perciò essere definita a pieno diritto una “scienza delle regole”;

– poiché le varie forme o strutture naturali sono definibili sulla base delle leggi armonicali, essa introduce direttamente ad una “matematica delle forme”, la quale rappresenta la più logica attualizzazione del messaggio goethiano e la più efficace alternativa al cieco meccanicismo darwiniano;

infine, essa si presenta suscettibile di fornire nuovi e preziosi apporti alla simbologia ed alla dottrina delle idee tradizionali [67].

L’unico grave ostacolo allo sviluppo dell’armonistica può forse essere indicato in un’educazione all’“acròasis” eccessivamente scarsa. Mentre siamo abituati a fare calcoli fin dall’infanzia e per tutto il resto della vita la pratica dei numeri ci è familiare (a tal punto che accettiamo senza esitazione i risultati di qualsiasi indagine fatta su basi matematiche perfino quando non ne capiamo niente), ciò non si verifica affatto nei confronti dell’ascolto e della musica. I bambini sanno cantare già da piccoli e spesso imparano presto anche a suonare uno strumento; ma quasi mai approfondiscono lo studio della scienza musicale accompagnandolo con la pratica esecutiva quel tanto da consentirne di afferrare le implicazioni in senso armonistico. Dovrebbe perciò essere soprattutto la Scuola, a fornire un’adeguata propedeutica educativo-musicale aperta in tal senso.

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59 Rudolf Steiner, Goethes Weltanschauung, Rudolf Steiner Verlag, Dornach 1963 (tr. it. a cura di Enzo Erra: La concezione goethiana del mondo, Tilopa, Roma 1991). (torna al testo)

60 “Le leggi della fisica subatomica non possono neppure venire formulate, senza fare riferimento all’osservatore”, rimarca il fisico inglese Freeman Dyson in Disturbing the Universe, Harper & Row, New York 1979 (tr. it. di Riccardo Valla: Turbare l’universo, Boringhieri, Torino 1981, p. 288). (torna al testo)

61 Walter Heitler, Der Mensch und die naturwissenschaftliche Erkenntnis, Vieweg & Sohn, Braunschweig 1962 (tr. it. di Antonio Sparzani: Causalità e teleologia nelle scienze della natura, Boringhieri, Torino 1967). (torna al testo)

62 Cfr.: Richard M. Restak, The Brain, Educational Broadcasting Corporation, New York 1984 (tr. it. di Libero Sosio: Il cervello , Mondadori, Milano 1986). (torna al testo)

63 Cfr.: Thomas S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, The University of Chicago Press, Chicago 1962 (tr. it. di Adriano Carugo: La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969). (torna al testo)

64 Cfr.: J.D. Barrow & F.J. Tipler, The Anthropic Cosmological Principle, Oxford University Press, Oxford 1986. (torna al testo)

65 Freeman Dyson, Op. cit., pp. 288-291. (torna al testo)

66 Ludwig von Bertalanffy, General System Theory, Braziller, New York 1968 (tr. it. di Enrico Bellone: Teoria generale dei sistemi. Istituto Librario Internazionale, Milano 1971). (torna al testo)

67 Cfr.: Julius Schwabe, Op. cit., 1951; Jules Combarieu, La musique et la magie (tr. it. a cura di Maurizio Papini: La musica e la magia, Mondadori, Milano 1982). Si veda anche la raccolta di scritti di Marius Schneider, tradotti dal tedesco e dal francese da Aldo Audisio, Agostino Sanfratello e Bernardo Trevisano, pubblicata con il titolo di Il significato della musica, Rusconi, Milano 1970. (torna al testo)

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