Il simbolismo degli Scacchi

Letture d'EsoterismoIl gioco degli scacchi è originario dell’India. L’Europa medioevale ha potuto conoscerlo grazie alla “mediazione” di Arabi e Persiani, come testimoniato tra l’altro dall’espressione «scacco matto» (in tedesco schachmatt) che deriva dal persiano shàch (re) e dall’arabo màt (è morto).

Il simbolismo degli Scacchi

E l’antico esoterismo delle due guerre sante

libera rivisitazione di Franco Cenni

Il gioco degli scacchi è originario dell’India. L’Europa medioevale ha potuto conoscerlo grazie alla “mediazione” di Arabi e Persiani, come testimoniato tra l’altro dall’espressione «scacco matto» (in tedesco schachmatt) che deriva dal persiano shàch (re) e dall’arabo màt (è morto).

Nel Rinascimento furono cambiate alcune regole del gioco: la Regina [1] e i due Alfieri [2] acquistarono maggiore mobilità; il gioco divenne più astratto e geometrico e si allontanò dal suo modello primario basato quasi unicamente sulla strategia, senza comunque perdere i fondamenti essenziali del suo simbolismo.

Nella posizione iniziale dei pezzi, rimane evidente l’antico modello strategico. Vi si riconoscono le due armate disposte in ordine di battaglia in uso presso gli eserciti dell’antico Oriente; le truppe leggere, rappresentate dai Pedoni, formano la prima linea, mentre il grosso dell’Armata è costituito dalle truppe pesanti: i carri da guerra, le Torri, la Cavalleria, i Cavalli, e gli elefanti da combattimento, gli Alfieri; il Re [3] e la Regina o, come già detto, il suo “Consigliere”, si tengono al centro dello schieramento.

La forma della scacchiera corrisponde al tipo “classico” del Vâstu-Mandala [4], il diagramma che costituisce anche il tracciato fondamentale di un Tempio, o di una città. Si può indicare questo diagramma come simbolo dell’esistenza, concepita come un “campo d’azione” delle potenze divine.

Il combattimento, rappresentato dallo sviluppo del gioco, nel suo significato universale ricorda il combattimento tra Devas ed Asuras, o se vogliamo, tra “Dei” e “Titani”, oppure tra “Angeli” [5] e “Demoni”. Tutti gli altri significati del gioco derivano da questo.

La scacchiera è il quadrato di 8, nonché lo svolgimento del cubo di 4, cioè le 4 facce sul piano orizzontale, i 4 elementi del Quaternario (terra, aria, acqua e fuoco).

Nel Quaternario, e pertanto nel binario (gli opposti) del Quaternario (ottonario), vale a dire nel dualismo del bianco e nero delle caselle della scacchiera, l’uomo gioca la sua partita. Le caselle della scacchiera rappresentano gli eventi della vita, percepite attraverso il dualismo umano: l’uomo percepisce dualisticamente non solo l’ambiente, ma sé stesso e la propria psiche. Il quadrato di 8 è il gioco della mente nella scacchiera dell’esistenza umana. L’alternarsi del bianco e del nero è l’oscillazione del pendolo, Spirito e Materia, Bene e Male, conscio ed inconscio, luce ed ombra.

La più antica descrizione del gioco degli scacchi giunta fino a noi si trova nelle “Praterie d’Oro” dello storico arabo Al Masudi, vissuto a Bagdad nel IX secolo. Al-Masudi attribuì l’invenzione – o se vogliamo la codificazione – del gioco ad un Re indù di nome “Balhit”, discendente di “Barahman”.

Emerge qui una possibile confusione tra la casta dei Bramani e la dinastia di Barahman; ma l’origine brahmanica del gioco degli scacchi è dimostrata dal carattere eminentemente sacerdotale del diagramma 8 x 8 quadrati (ashtâpada – il nobile ottuplice sentiero). Peraltro, il simbolismo guerriero del gioco si rivolge agli Kshatriyas, la casta dei principi e dei nobili, come è del resto indicato da Al Masudi, quando egli scrive che gli Indù consideravano il gioco degli scacchi (shatranj, dal sanscrito caturanga [6]) come una “scuola di governo e di difesa”. Re Balhit avrebbe scritto un libro su questo gioco, di cui «fece una sorta di allegoria dei corpi celesti, come i pianeti e i dodici segni zodiacali, dedicando una pedina ad ogni astro»

Si noti che gli Indù contano otto pianeti: il sole, la luna, i cinque pianeti visibili ad occhio nudo e Râhu, l’“astro oscuro” delle eclissi [7]; ognuno di questi “pianeti” domina una delle otto direzioni dello spazio. «Gli Indiani – continua Al Masudi – attribuiscono un misterioso significato alla progressione geometrica effettuata sulle caselle della scacchiera; essi stabiliscono un rapporto fra la causa prima, che domina [8] tutte le sfere ed a cui tutto fa capo, e la somma del quadrato delle caselle della scacchiera…»

Qui Al Masudi probabilmente fonde il simbolismo ciclico implicito nell’ashtâpada con la famosa leggenda secondo la quale…«il Re che aveva commissionato la realizzazione del gioco, volle premiare l’inventore con un premio importante; allora lo invitò a chiedergli “qualsiasi cosa egli desiderasse”. Ed egli chiese con semplicità al Monarca di dargli un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, e così via raddoppiando fino alla 64.a, ottenendo così un totale di 18.446.774.073.709.551.617 chicchi»

Il simbolismo ciclico della scacchiera consiste nel fatto che essa esprime lo sviluppo dello spazio secondo il quaternario e l’ottonario delle direzioni principali ( 4 x 4 x 4 = 8 x 8 ), e che sintetizza, in maniera “cristallina”, i due grandi cicli complementari del sole e della luna: il duodenario dello Zodiaco e le 28 case lunari; d’altra parte, il numero 64, somma delle caselle della scacchiera, è un sottomultiplo del numero ciclico fondamentale 25.920, che misura la processione degli equinozi. Abbiamo visto che ciascuna fase di un ciclo, “fissata” nello schema di 8 x 8 quadrati, è dominata da un astro e simboleggia al contempo un aspetto divino personificato da un deva. In tal modo questo mandala rappresenta contemporaneamente il cosmo visibile, il mondo dello Spirito e la Divinità nei suoi molteplici aspetti.

Al Masudi afferma che gli Indiani spiegano “con dei calcoli” basati sulla scacchiera “il cammino del tempo ed i cicli, le influenze superiori che agiscono su questo mondo ed i legami che le collegano con l’anima umana…” Ecco come si conclude la leggenda «il Re, che aveva di buon grado accettato la richiesta, una volta che i suoi consiglieri lo ebbero informato che la semplice richiesta dei chicchi di grano corrispondeva alle riserve del regno per otto anni, e non potendo mancare alla parola data, non trovò soluzione migliore che quella di eliminare fisicamente il suo creditore».

Il simbolismo ciclico della scacchiera era noto ad Alfonso il Saggio, il celebre trovatore di Castiglia che, nel 1283, scrisse i suoi Libros de Acedrex (libri degli scacchi), opera che si ispira a fonti orientali.

Vi si descrive anche un’antichissima variante che porta il nome di “gioco delle quattro stagioni”, che richiede la partecipazione di quattro giocatori, con le pedine disposte agli angoli della scacchiera che avanzano in senso rotatorio analogo al movimento del sole. Le otto pedine devono essere di colore verde, rosso, nero e bianco, rispettivamente; esse corrispondono ai quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco ed ai quattro “umori” organici.

Il movimento dei quattro gruppi di pedine simboleggia la trasformazione ciclica [9]. Questo gioco, che richiama certi riti e certe danze “solari” degli Indiani d’America, mette in evidenza il principio fondamentale della scacchiera che può essere considerata come lo sviluppo di uno schema composto da quattro quadrati, alternativamente bianchi e neri, che costituisce di per sé un mandala di Shiva, l’«aspetto trasformatore di Dio». Il primo quaternario, di cui questo mandala è la “cristallizzazione spaziale”, esprime il principio del tempo. I quattro quadrati, disposti intorno ad un centro “immanifesto”, simboleggiano le fasi cardinali di ogni ciclo. L’alternanza delle caselle bianche e nere, in questo schema elementare della scacchiera [10], ne evidenzia il significato ciclico [11] e ne fa l’equivalente rettangolare del simbolo estremo-orientale dello yin-yang; essa è un’immagine del mondo visto sotto l’aspetto del suo dualismo intrinseco [12].

Se il mondo sensibile, nel suo dispiegamento integrale, risulta in qualche modo dalla moltiplicazione delle qualità inerenti allo spazio e di quelle del tempo, dal canto suo, il Vâstu-Mandala deriva dalla divisione del tempo secondo lo spazio. A questo proposito, ricordiamo che la genesi del Vâstu-Mandala a parte dal ciclo celeste indefinito, ciclo diviso dagli assi cardinali e poi “cristallizzato” in una forma rettangolare. Il mandala è dunque il riflesso inverso della sintesi principale dello spazio e del tempo, ed è in ciò che risiede la sua portata ontologica.

D’altronde il mondo è “intessuto” delle tre qualità fondamentali o gunas, e il mandala rappresenta questa “tessitura” in modo schematico, conformemente alle direzioni cardinali dello spazio.

L’analogia tra il Vâstu-Mandala e la tessitura è evidenziata dall’alternanza dei colori, che ricorda un tessuto il cui ordito e la cui trama sono alternativamente apparenti o nascosti. L’alternanza del bianco e del nero corrisponde ai due aspetti, in linea di principio complementari, ma in pratica opposti (come il mascolino e femminino). Del mandala: questo è da una parte un Purusha-mandala, cioè, un simbolo dello Spirito universale (per l’orientale Purusha) in quanto sintesi immutabile e trascendente del cosmo. D’altra parte, esso è un simbolo dell’esistenza (per l’orientale Vâstu), considerata come il supporto passivo delle manifestazioni divine (Come in alto in basso).

La qualità geometrica del simbolo esprime lo Spirito, mentre la sua estensione esprime l’esistenza.

Allo stesso modo, la sua immutabilità ideale è “spirito”, la sua fissazione limitativa è “esistenza o materia; nella polarità considerata, quest’ultima non è la materia prima, vergine e generosa, ma la materia secunda tenebrosa e caotica, radice del dualismo esistenziale.

Ricordiamo a questo proposito, il mito secondo cui il Vâstu-Mandala rappresenterebbe un asura, personificazione dell’esistenza bruta; i devas hanno sconfitto questo demone, stabilendo le loro “dimore” sul corpo disteso della loro vittima; essi gli imprimono così la loro “forma”, ma è lui che li manifesta [13].

Questo doppio senso che caratterizza il Vâstu-Purusha-Mandala, e che si ritrova in modo più o meno esplicito in ogni simbolo, verrà, per così dire, “attualizzato dal combattimento” che il gioco degli scacchi rappresenta. Questo combattimento, si diceva, è essenzialmente il conflitto tra devas e asŭras, che si disputano la scacchiera del mondo. È qui che il simbolismo del bianco e del nero, già contenuto nell’alternanza delle caselle della scacchiera, acquista tutto il suo valore.

Le due guerre sante

Da un punto di vista relativo, la battaglia rappresentata sulla scacchiera raffigura sia quella di due veri e propri eserciti terreni, ciascuno dei quali combatte a difesa di un principio [14], ossia quella dello spirito o delle tenebre nell’uomo. Per cui, l’armata bianca è quella della Luce, mentre l’armata nera è quella delle tenebre. Sono queste le due guerre sante: la “piccola guerra santa” e la “grande guerra santa”, secondo l’espressione del Profeta. È da notare l’affinità tra il simbolismo del gioco degli scacchi ed il tema della Bhagawad-Gitâ, libro anch’esso rivolto agli Kshatriyas.

Se si traspone il significato dei vari pezzi del gioco nell’ordine spirituale, il re sarà il cuore o lo spirito, e le altre figure saranno le diverse facoltà dell’anima. Le loro mosse corrispondono a differenti modalità di realizzazione delle possibilità cosmiche rappresentate dalla scacchiera, in cui troviamo il movimento assiale delle torri (o carri da guerra), il movimento diagonale degli alfieri (o elefanti), che si spostano su case di uno stesso colore, ed il complesso movimento ad “L” dei cavalli (o cavalieri). Il movimento assiale, che “taglia” attraverso i diversi “colori”, è logico e virile, dunque mascolino. Mentre il movimento diagonale corrisponde ad una continuità “esistenziale” è dunque femminino. Il salto dei cavalli corrisponde all’intuizione.

Ciò che più affascina l’uomo di casta nobile e guerriera, è la relazione tra volontà e destino.

Il gioco degli scacchi illustra proprio questa relazione, in quanto i suoi concatenamenti rimangono sempre intelleggibili, senza essere limitati nella loro varietà. Alfonso il Saggio, nel suo libro sul gioco degli scacchi, racconta che un Re dell’India volle sapere se il mondo obbedisce all’intelligenza o al caso. Interpellò due suoi saggi consiglieri, che fornirono risposte contrastanti e, per provare le rispettive tesi, uno di loro prese come esempio il gioco degli scacchi, in cui “l’intelligenza prevale sul caso”, mentre l’altro portò dei dadi “emblema della fatalità” [15]. Al Masudi scrive che Re “Balhit”, colui che avrebbe codificato il gioco degli scacchi, preferì quest’ultimo al nerd, un gioco d’azzardo, poiché nel primo “l’intelligenza trionfa sempre sull’ignoranza”.

Ad ogni fase del gioco, il giocatore è libero di scegliere fra varie possibilità; ma ogni mossa comporterà una serie di conseguenze ineluttabili. La necessità delimiterà vieppiù la libera scelta, facendo sì che il termine del gioco non rappresenti il frutto del caso, bensì il risultato dell’applicazione e del rispetto di leggi rigorose. È qui che si rivela non soltanto la relazione fra volontà e destino, ma anche fra libertà e conoscenza. Prescindendo da eventuali errori dell’avversario, il giocatore manterrà la propria libertà d’azione, nella misura in cui le sue decisioni coincideranno con la natura stessa del gioco. Ossia con le possibilità che questo implica. In altri termini, la libertà d’azione va in questo caso di pari passo con la preveggenza e con la conoscenza delle possibilità; l’impulso cieco, invece, per quanto possa apparire libero e spontaneo in un primo momento, a conti fatti si rivela come una non-libertà.

L’Ars regia sta nel governare il mondo , esteriore o interiore, in conformità con le leggi che gli sono proprie.

Quest’arte presuppone la sapienza, che è conoscenza delle possibilità; ora, tutte le possibilità sono contenute in sintesi nello Spirito Universale e Divino. La vera sapienza consiste nell’identificazione più o meno perfetta con lo Spirito (per l’orientale Purusha), simboleggiato dalla qualità “geometrica” [16] della scacchiera, “sigillo” dell’unità essenziale delle possibilità cosmiche.

Lo Spirito è la Verità: nella Verità l’uomo è libero, fuori di essa è schiavo del destino.

Questo è l’insegnamento del gioco degli scacchi. Lo Kshatriya che ad esso si dedica, non vi trova solo un passatempo, un modo di sublimare la sua passione guerriera e la sua sete di avventura, ma anche, in commisurazione alla sua capacità intellettuale, un supporto speculativo, una via che dall’azione porta verso la contemplazione. Ognuno, a questo punto, potrà trovare qualcosa di “familiare” del proprio percorso esistenziale con una o più parti di questa simbologia, nella quale potrà riconoscersi.

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Note

1. Nel gioco degli scacchi in Oriente questo pezzo non è una Regina, ma un “Consigliere” o un “Ministro” del Re. Il nome di Regina sarebbe dovuto ad una confusione nella traduzione di un termine persiano. Ad ogni modo, l’attribuzione di un ruolo della mitologia indù di alto rilievo alla “Dama” del Re, corrisponde bene alla mentalità cavalleresca. (torna al testo)

2. Questo pezzo in origine era un elefante (in arabo: al-fil) che trasportava in battaglia una torre fortificata. Anche qui le varie traduzioni prendono direzioni ed interpretazioni diverse… Fou (giullare, in francese), Laufer (corridore, esploratore, in tedesco), Bishop (vescovo, in inglese), Alfil (in spagnolo, vista anche l’influenza moresca in Spagna). (torna al testo)

3. Il Re è lo spirito, la scintilla divina. C’è ma non si può afferrare, cioè non se ne è consapevoli, non si è in contatto con esso. Questa «figura» si muove in tutte le direzioni in quanto ha in sé tutti i movimenti dei pezzi della scacchiera, in esso c’è l’archetipo del funzionamento di tutti. Non comunica direttamente col corpo, sebbene su di esso abbia influssi diretti; solo l’anima, in particolari condizioni, può entrare in rapporto con lui. Il Re non può essere mangiato (catturato), poiché lo Spirito, in effetti, è intoccabile, non può essere distrutto, e se si allontana dal corpo, ritorna allo Spirito Universale di cui fa parte. E quindi, dargli «scacco matto», non vuol dire solamente perdere la partita, ma anche e soprattutto, alienare per sempre l’occasione di porsi in contatto cosciente con lui. (torna al testo)

4. Vâstu è un termine che deriva dalla tradizione vedica e sta a significare soprattutto “armonia delle energie”. (torna al testo)

5. I Devas sono analoghi agli Angeli delle tradizioni monoteiste. (torna al testo)

6. La parola caturanga indica“I quattro membri”, che sono l’esercito indù tradizionale, composto da quattro angas: elefanti, cavalli, carri, soldati. (torna al testo)

7. La cosmologia indù tiene sempre conto del Principio di inversione e di eccezione, che discende dal carattere “ambiguo” della manifestazione: la natura degli astri è luminosa, ma siccome gli astri non sono la Luce stessa, bisogna che vi sia anche un astro oscuro. (torna al testo)

8. Alcuni testi buddisti descrivono l’universo come una tavola di 8 x 8 riquadri, fissati per mezzo di corde d’oro; questi riquadri corrispondono ai 64 kalpas del buddismo. Nel Râmâyana, la città inespugnabile degli dei, Ayodhya, è descritta come un quadrato avente otto comparti su ciascun lato. Facciamo anche riferimento alla tradizione cinese nella quale vi sono 64 segni derivanti dagli 8 trigrammi commentati nell’I-King. Questi 64 segni sono generalmente disposti in maniera tale che corrispondono alle otto regioni dello spazio. Pure qui, dunque, ritroviamo l’idea di una divisione quaternaria e ottonaria dello spazio, che riassume tutti gli aspetti dell’universo. (torna al testo)

9. Questa variante del gioco degli scacchi viene descritta nel Bhawishya Purana . Alfonso il Saggio parla anche di un “grande gioco degli scacchi” che veniva giocato su una tavola di 12 x 12, dove i pezzi rappresentavano gli animali della mitologia, gioco che egli attribuisce ai Sapienti dell’India. (torna al testo)

10. La scacchiera cinese, anch’essa originaria dell’India, non ha l’alternanza del bianco e del nero. Bisogna supporre che questo elemento abbia origine dalla Persia. (torna al testo)

11. Essa è anche simbolo dell’analogia inversa. In via generale, l’alternanza del bianco e del nero corrisponde al ritmo ciclico del giorno e della notte, della vita e della morte, della manifestazione e del suo riassorbimento nel non-manifesto. (torna al testo)

12. Per questa ragione, il tipo del Vâstu-Mandala a caselle dispari non è potuto servire come scacchiera: il “campo di battaglia” che questa rappresenta non può avere un centro manifesto, perché tale centro dovrebbe situarsi simbolicamente al di fuori delle opposizioni. (torna al testo)

13. Il mandala di 8 x 8 quadrati è anche detto Mandŭka, “la rana”, per allusione alla Grande Rana (maha-Mandŭka) che sostiene tutto l’universo ed è il simbolo della materia indifferenziata e oscura. (torna al testo)

14. In una guerra santa, come quelle tristemente famose e attuali, è possibile che ciascuno dei due avversari possa legittimamente considerarsi il protagonista della lotta della Luce contro le tenebre. È questa un’altra conseguenza del duplice senso di ogni simbolo: quello che per l’uno è espressione dello Spirito, può essere l’immagine della “materia tenebrosa” agli occhi dell’altro. (torna al testo)

15. Il mandala della scacchiera da una parte e il dado dall’altra, rappresentano due simboli diversi e complementari del cosmo. (torna al testo)

16. Bisogna sempre tener presente che il Verbo è la “forma delle forme”, vale a dire il Principio Uno dell’universo. (torna al testo)

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Bibliografia

Titus Burckhardt, Il Gioco degli Scacchi

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