La Via exoterica e le religioni totemiche

Letture d'EsoterismoNote sul fenomeno del Banchetto Totemico

Sottolineando il conflitto tra la tesi spirituale, interiore ed esoterica, e la sua antitesi esteriore, le religioni profane esteriori ed exoteriche, si è individuato con esattezza, a parer mio, il nodo dell’apparente conflitto che si pone tra il sacro ed il profano: due elementi che, come le due facce della stessa moneta, possono coesistere assieme solo se riconosciute per quello che realmente sono.

La Via exoterica e le religioni totemiche

di Athos A. Altomonte

Considerare i conflitti di religione partendo dai loro contesti exoterici e popolari, credo sia un falso obiettivo.

Sottolineando il conflitto tra la tesi spirituale, interiore ed esoterica, e la sua antitesi esteriore, le religioni profane esteriori ed exoteriche, si è individuato con esattezza, a parer mio, il nodo dell’apparente conflitto che si pone tra il sacro ed il profano: due elementi che, come le due facce della stessa moneta, possono coesistere assieme solo se riconosciute per quello che realmente sono.

La spiritualità è l’essenza interiore (la sostanza di “vita”) mentre il culto, ogni culto, è l’espressione esteriore e visibile agli occhi fisici (la forma “morta”).

La tesi spirituale è quella d’un innalzamento “interiore” dell’energia della coscienza umana (la vera iniziazione), mentre il fine dei culti exoterici e popolari (senza nessuna distinzione) è quello d’ingraziarsi il provvido aiuto della Divinità. La spiritualità iniziatica ci è stata trasmessa da Oriente con il culto del sole interiore (cultura = culto di Ur il sole interiore, che si pone nel chakra centrale della forma umana, “il plesso solare”). Sole interiore e spirituale che è la sorgente della “prima” illuminazione interiore. Cioè, la prima iniziazione che “svela” o “scinde” il velo di Iside (l’illusione astrale lunare-emotiva – Maya per gli orientali) rendendo visibile una prima realtà del “mondo”, quello d’una visione di coscienza limpida e non più offuscato da passione (anche mistica) e desiderio (anche l’aspirazione al bene è un desiderio anche se devozionale).

I culti, invece, sono il retaggio di tabù sorti con le culture totemiche, dove s’innalzavano offerte (oggi i fioretti) alla divinità per non incorrere nelle ire della Divinità, come ad es., ad esorcizzare la mancanza di animali da cacciare, ad esorcizzare il timore di elementi atmosferici avversi, ad esorcizzare infortuni-malattie, sfortune personali e collettive. La tribù, il Clan – come avvenne di seguito con il loro sviluppo nel popolo – avevano tutti una divinità “propria”, che veniva rappresentata totemicamente nelle forme più diverse. E molte di queste rappresentazioni hanno subito, anche se solo nella loro forma esteriore, l’evoluzione dell’immaginario collettivo legata alla formazione della coscienza di gruppo (di popolo), e questo fu l’inizio delle religioni esteriori, che si compì nell’evoluzione dei culti exoterici primitivi.

“L’uomo sogna e quando i suoi sogni sono condivisi da altri uomini questi diventano miti e leggende delle credenze popolari”.

È una realtà che i miti da cui sono sorti la maggior parte dei culti religiosi sono d’origine onirica, cioè, che si sono ingenerati da sogni o visioni di una coscienza alterata. Quindi, in materia di credo esteriori la prudenza è d’obbligo.

È possibile differenziare le due vie, quella iniziatica e spirituale da quella exoterica totemica (idolatra perché s’avvale di idoli, immagini e rappresentazioni esteriori), attraverso due delle loro maggiori caratteristiche.

La spiritualità è la causa di ogni percorso che porta “al di dentro” di sé, alla ricerca del proprio baricentro spirituale (baricentro egoico che fa perno sulla coscienza impersonale dell’Ego superiore), mentre i culti delle religioni exoteriche, ricercano le loro verità all’esterno. Attraverso fenomeni esteriori, magari che si possono vedere e toccare: ma così facendo, allontanano l’uomo dal centro della sua coscienza.

Mentre di elementi sulla via iniziatica Esonet è un paladino e messaggero d’idee, quindi, non aggiungo altro, sulla via exoterica, invece, è bene approfondire alcuni elementi che possono aiutare a comprendere l’origine dei suoi culti e delle sue forme.

Tra le opere freudiane, troviamo una tesi che riteniamo utile alle ricerche e che vorremmo sottoporre all’attenzione dello studioso. Questa tesi è sottoscritta da Theodr Reik ne “Il Rituale” prefazione della sua opera sui “Problemi di psicologia religiosa”.

L’autore ad un certo punto del suo ragionamento afferma che: se trattiamo psicoanaliticamente il materiale preistorico ed etnologico sull’argomento, giungiamo ad un risultato tanto inatteso quanto preciso: Dio Padre un tempo camminava sulla terra in forma corporea ed esercitava la sua sovranità quale capo della primordiale orda umana, finché i suoi “figli” non si unirono per trucidarlo . Emerge il fatto che questo delitto liberatorio, e le reazioni che ne seguirono, ebbero il risultato di far nascere i primi legami sociali, le fondamentali limitazioni di ordine morale, e la più antica forma di religione, il totemismo. Però anche le religioni successive hanno il medesimo contenuto e, da un lato, esse si preoccupano di cancellare le tracce di quel delitto o di espiarlo, proponendo altre soluzioni al conflitto tra il padre e i figli, mentre d’altro canto, non possono evitare di ricorrere ancora una volta, all’eliminazione della figura paterna. A questo proposito rileveremo che anche nei miti si ravvisa un’eco di questo avvenimento mostruoso, che getta la sua ombra sull’intero corso dell’evoluzione umana.

Quanto è stato detto da Reik è da porsi in collegamento ai simboli dell’emotività dell’uomo e della donna nei riguardi delle figure dei genitori: per assonanza con generare (da genitus part. pass. di gignere generare), attraverso l’attività procreativa degli organi sessuali, i genitali, attività che ricopre un posto di primo piano nelle graduatorie della “morale” exoterica.

Certi complessi e allegorie si dipartono da loro per delle cause che potremmo semplificare nei seguenti termini. Il padre è sempre visto, nella fase infantile della mente emotiva, come un ostacolo da rimuovere ed un’immagine da distruggere perché s’oppone od ostacola il figlio nel raggiungimento della figura materna. Il padre può essere d’ostacolo a diverse immagini (oniriche) materne. La più diffusa e la meno percepita è quella della madre come simbolo di “cibo” di cui nutrirsi, per l’imprinting ricevuto nella fase inconscia dell’infanzia. Il nutrirsi di lei divorandola giorno dopo giorno, sviluppa con la madre un legame di dipendenza morbosa che resta comunemente insuperato e censurato per tutta la vita.

È necessario considerare come in ogni comune filosofia, religione ed etica morale, vi sia la prevalenza d’una prospettiva profondamente fallica e maschile che ha escluso, censurandolo, la presenza dell’immaginario femminino del matriarcato e rimuovendo ogni elemento che formava le sue religioni sessuali. Questa prospettiva tutta al maschile non è sottovalutabile, soprattutto perché nella fase più adulta della mente (ma non per questo matura od evoluta), la figura paterna è l’ostacolo che si pone tra il giovane uomo e la figura materna. La madre oltre che “cibo” (fase orale), è ora vissuta anche come intenso simbolo che eccita precocemente la forma di sessualità. Infatti, il “succhiare” ed il “leccare” rimarrà un’attività erotica primaria nella sessualità adulta in entrambe i sessi.

Nel maschio, il desiderio della propria madre, d’ingerirla e di possederla, fa nascere il desiderio di “distruggere o uccidere” l’ostacolo. Sentimento che da un carattere succube sarà represso e censurato in odio, diversamente, da un carattere dinamico questo sentimento si trasformerà in un rapporto competitivo, anche violento.

Il tabù che vieta quell’approccio, tanto istintivo quanto profondamente desiderato, pone le basi di quel complesso edipico che, poi, sia nella fase onirica quanto in quella di veglia influenzerà la sfera emotiva e sessuale dell’adulto.

L’atteggiamento psicologico che sorge da questo primo conflitto emotivo, dove le raffigurazioni di un Dio antropomorfo, in cui l’uomo si riconosce, idealizzandovi la propria immagine e proiettandovi i propri attributi, sono tutte rappresentazioni della figura di Padre. Queste figure temute e venerate sono, però, anche uccise per poi nutrirsene e rendersi simili a loro (v. sacrificio totemico).

Questo concetto totemistico ed antropofagico, di nutrirsi realmente con il simbolo o con l’oggetto del desiderio, della venerazione, della spinta amorosa, del timore e della paura (il tabù nelle sue diverse nature, da quello sessuale a quello religioso), scaturisce dal ricordo del legame materno, mentre l’uccisione è la rimozione tra sé stessi ed il desiderio dell’autorità paterna.

Questa dualità Padre-Madre, dall’immaginario inconscio umano, è proiettata in ogni credo religioso che, con le sue cerimonie, incrementa ancora nell’uomo quella fase infantile detta orale (infanzia psicologica non ha nulla a che vedere con l’infanzia fisiologica). In questa fase d’emotività egocentrica, non sapendo applicare l’introflessione speculativa o spirituale, perseguendo (andando verso) un modello amato o desiderato, l’uomo cerca d’interiorizzarlo assumendolo fisicamente , fagocitandolo. Possedendolo al proprio interno, crede così di assumerne le qualità che destano l’ammirazione o l’adorazione del visionario.

Note sul fenomeno del Banchetto Totemico

Per approfondire queste brevi note, riporteremo alcuni stralci dal saggio Totem e Tabù (1913) da: Opere 1886-1905 vol. II, di Sigmund Freud.

W. Robertson Smith (“Lectures on the religion of the Semites”, London 1894), fisico, filologo, critico della Bibbia e archeologo, spirito universale, acuto, spregiudicato, nella sua opera sulla religione dei Semiti, ha espresso l’opinione che una strana cerimonia, il cosiddetto banchetto totemico, facesse fin dalle origini parte integrante del sistema totemico. Egli aveva a disposizione come fondamento della sua ipotesi, solo una descrizione del rito tramandata dal V sec. a. C. , ma seppe tuttavia renderla verosimile con l’analisi del sacrificio presso gli antichi Semiti. Poiché il sacrificio presuppone una divinità, si trattava di risalire da una fase relativamente evoluta del rituale religioso a quella più primitiva, il totemismo.

Tenterò adesso di riportare, dall’eccellente lavoro di Robertson Smith, i passi più interessanti relativi all’origine ed al significato del rito del sacrificio, trascurando i particolari, spesso pieni di fascino, e l’ulteriore sviluppo di questo rito.

Alcune sopravvivenze linguistiche dimostrano con certezza che in origine la parte del sacrificio destinata al dio era considerata come suo reale nutrimento. Con la progressiva smaterializzazione della natura divina, questa concezione parve sconveniente; si tentò di evitarla tributando alla divinità solo la parte liquida del banchetto. In seguito, l’uso del fuoco, che dissolveva in fumo la carne della vittima, ha reso possibile una manipolazione del cibo umano più degna dell’essenza divina. Come bevanda, in origine veniva offerto il sangue degli animali sacrificati, in seguito sostituito dal vino. Il vino era considerato dagli antichi come il «sangue della vigna».

La forza etica del banchetto sacrificale pubblico si basava su antichissime concezioni del significato dell’atto del mangiare e del bere in comune. Mangiare e bere insieme era nello stesso tempo un simbolo e un rinvigorimento della comunanza sociale e degli obblighi reciproci; il banchetto nel sacrificio esprimeva direttamente il fatto della commensalità del dio e dei suoi adoratori e questa commensalità implicava tutti gli altri rapporti che si supponeva esistessero tra quello e questi.

La regola che impone ad ogni convitato che partecipa al banchetto sacrificale di consumare la carne dell’animale sacrificato (il totem, n.d.a.), ha lo stesso significato della prescrizione per cui un membro della tribù che si sia macchiato di una colpa dev’essere giustiziato dall’intera tribù. In altri termini, l’animale sacrificato era trattato come un membro della tribù: la comunità che offriva il sacrificio, il suo dio e l’animale erano dello stesso sangue, membri di un unico clan.

Malgrado il timore (il tabù, n.d.a.) che proteggeva la vita dell’animale sacro come fosse un membro della tribù, di tanto in tanto s’imponeva la necessità di sacrificarlo solennemente in presenza di tutta la comunità e di distribuire la sua carne ed il suo sangue ai membri della tribù.

La ragione che ispirava queste azioni ci rivela il significato più profondo del sacrificio. Sappiamo che in epoche più tarde, ogni pasto in comune, il condividere la stessa sostanza che poi penetra nei corpi, creava tra i commensali un legame sacro, ma in epoche più antiche questo significato veniva attribuito all’assunzione comune della carne di una vittima sacra.

Il sacro mistero della morte sacrificale si spiega col fatto che solo così si può stabilire il legame che unisce i partecipanti tra di loro e Dio.

Questo legame non è altro che la vita stessa dell’animale sacrificato, questa vita che si trova nella sua carne, nel suo sangue, e nel banchetto sacrificale si comunica a tutti coloro che vi prendono parte. Questa concezione è alla base di tutti i legami di sangue che gli uomini stabiliscono gli uni con gli altri, anche in epoche abbastanza recenti.

Ma cosa significa il lutto in seguito alla morte dell’animale totem e che introduce questa festa gioiosa? Se si gioisce per l’uccisione del totem, un’azione normalmente proibita, perché allora lo si compiange? Sappiamo che i membri del clan si santificano mangiando il totem, e rafforzano l’identità tra di loro e con lui. Lo stato d’animo gioioso e ciò che ne deriva potrebbe essere spiegato col fatto che gli uomini hanno assorbito la vita sacra di cui la sostanza del totem era l’incarnazione o, meglio, il veicolo.

La psicoanalisi ci ha rivelato che, in realtà, l’animale totem costituisce la sostituzione del padre, e questo ci spiega la contraddizione che prima avevamo notato: da un lato, il divieto di uccidere; dall’altro, la festa, preceduta da un’esplosione di dolore, che fa seguito alla sua morte. L’atteggiamento affettivo ambivalente che, ancora oggi, caratterizza nei bambini il complesso del padre e talvolta si protrae fin nell’età adulta, nello stesso modo si estenderebbe all’animale totem che sostituisce il padre.

Ricollegando la concezione del totem suggerita dalla psicanalisi con il banchetto totemico e con l’ipotesi darwiniana sullo stato primitivo della società umana, si può acquisire una più profonda comprensione e cogliere l’intuizione di un’ipotesi che può sembrare fantastica, ma presenta il vantaggio di realizzare un’inaspettata unità tra una serie di fenomeni isolati.

L’origine del totemismo religioso è la sottomissione ad un padre violento, geloso, che tiene per sé tutte le femmine e scaccia i suoi figli man mano che crescono: ecco tutto ciò che essa suppone. Questo stato primitivo della società non è stato mai oggetto di analisi. L’organizzazione più primitiva di cui siamo a conoscenza, e che ancora attualmente esiste in certe tribù, consiste in una comunità di uomini che godono di uguali diritti e sono sottomessi alle limitazioni del sistema totemico, ivi compresa l’eredità in linea materna.

Questa organizzazione potrebbe essere derivata da quella supposta dall’ipotesi darwiniana? Ed in che modo vi si sarebbe giunti?

Basandoci sulla festa del banchetto totemico possiamo rispondere così a questo interrogativo: un giorno, i fratelli scacciati si sono riuniti, hanno ucciso e mangiato il padre, ponendo fine all’orda paterna. Una volta riuniti, si sono fatti audaci e sono stati in grado di realizzare ciò che ciascuno di loro, isolatamente, sarebbe stato incapace di fare. È possibile che un nuovo processo della civilizzazione, l’invenzione di una nuova arma, abbia dato loro la coscienza della loro superiorità. Che essi abbiano mangiato il cadavere del padre non ci stupisce, dato che si tratta di primitivi cannibali. Il violento progenitore costituiva certamente il modello invidiato e temuto di ciascuno dei membri di questa associazione fraterna. Essi realizzavano, con l’atto del pasto la loro identificazione con lui, ciascuno si appropriava di parte della sua forza.

Il banchetto totemico, che è forse la prima festa dell’umanità, sarebbe la riproduzione e come la commemorazione di quest’azione memorabile e criminale che ha costituito il punto di partenza per tante cose: organizzazioni sociali, limitazioni morali, religioni.

Per trovare attendibili queste conseguenze, a prescindere dalle loro premesse, è sufficiente riconoscere che il gruppo dei fratelli ribelli fosse animato, nei confronti del padre, dai sentimenti contraddittori che, come sappiamo, costituiscono l’ambivalente contenuto del complesso del padre nei nostri bambini e nelle nevrosi. Essi odiavano il padre, che, con tanta violenza, si opponeva ai loro desideri e alle loro esigenze sessuali, e tuttavia l’amavano e l’ammiravano.

Dopo averlo eliminato, dopo aver placato il loro odio e realizzato la loro identificazione con lui, essi dovettero dar sfogo agli impulsi affettuosi che erano stati sopraffatti. Lo fecero sotto forma di pentimento; provavano un senso di colpa che in questo caso coincide con il rimorso sentito collettivamente. Il morto divenne più potente del vivo; tutte cose che anche oggi ritroviamo nelle vicende umane. Ciò che prima il padre aveva impedito con la sua presenza, i figli ora se lo proibivano da soli, nella situazione psichica nota in psicoanalisi come «ubbidienza postuma». Essi rinnegarono la loro azione, proibendo l’uccisione del totem, sostituto del padre, e rinunciarono a goderne i frutti rifiutando di aver rapporti sessuali con le donne che ora erano libere. Così il rimorso filiale ha generato i due tabù fondamentali del totemismo, che coincidono perciò con i due desideri rimossi del complesso di Edipo. Chi contravveniva a questi tabù si rendeva colpevole dei due soli crimini che interessassero la società primitiva (i tabù di omicidio e incesto poteva destabilizzare la solidarietà e la collaborazione tra i membri del medesimo gruppo).

Non c’era più un uomo superiore a tutti gli altri che potesse assumersi la parte che era stata del padre. Cosicché i fratelli, se volevano vivere insieme, avevano una sola possibilità: dopo aver probabilmente superato gravi discordie, istituirono il divieto dell’incesto, per cui tutti loro rinunciarono alle donne tanto desiderate, che avevano appunto costituito il motivo dell’uccisione del padre. Così essi salvarono l’organizzazione che li aveva resi forti e che era probabilmente basata su sentimenti e pratiche omosessuali acquisiti al tempo del loro esilio. Fu forse questa situazione a far sorgere le istituzioni del matriarcato, descritto dal Bachofen, rimasto in vigore fino all’organizzazione della famiglia patriarcale.

Il sistema totemico era una specie di contratto concluso col padre, per cui questi prometteva tutto ciò che l’immaginazione infantile poteva desiderare da lui, protezione, cura e benevolenza, in cambio dell’impegno di rispettare la sua vita, cioè di non ripetere su di lui l’atto che aveva ucciso il vero padre. Nel totemismo c’era anche un tentativo di giustificazione. «Se il padre ci avesse trattati come noi trattiamo il totem, non saremmo mai stati tentati di ucciderlo». Così il totemismo serviva a spianare le cose e a far dimenticare l’episodio da cui aveva tratto origine. Sono apparsi allora dei caratteri che si ritroveranno in ogni religione. La religione totemica è sorta dal senso di colpa dei figli come un tentativo per acquietare questo sentimento e per ottenere la riconciliazione col padre ucciso con un’ubbidienza postuma. Tutte le religioni successive sono altrettanti tentativi per risolvere lo stesso problema, e differiscono tra di loro solo a seconda dello stato di civilizzazione in cui sono sorte e della strada seguita per trovare questa soluzione: ma tutte rappresentano delle reazioni contro il grande avvenimento da cui è iniziata la civilizzazione e che da allora non ha cessato di tormentare l’umanità…

Passerà ancora molto tempo prima che questo divieto, scavalcando i limiti del clan, assuma la semplice e breve forma del comandamento «non uccidere». L’orda paterna è stata sostituita dal clan fraterno, fondato sui vincoli di sangue.

La società moderna si poggia su un senso di colpa comune, su un crimine di cui tutti sono stati complici, mentre la religione, invece, si basa sul pentimento. Allora, avremo due elementi che si sommano: la morale ed il bisogno di espiazione generati entrambi dal senso di colpa.

Robertson Smith ci ha mostrato che nella primitiva forma del sacrificio torna il banchetto totemico. Il significato dell’atto è lo stesso: la santificazione mediante la partecipazione al pasto comune; resta anche il senso di colpa, che può essere placato dalla solidarietà di tutti i partecipanti. L’elemento nuovo è rappresentato dalla divinità del clan che, invisibile, assiste al sacrificio e prende parte al banchetto, proprio come un compagno di tribù, e con la quale ci si identifica partecipando tutti allo stesso atto. Come mai Dio si ritrova in questa situazione che in origine gli era estranea? Si potrebbe rispondere che l’idea di Dio, non si sa come, era sorta nel frattempo, si era impadronita di tutta la vita religiosa e che il banchetto totemico, come tutto ciò che volle sussistere accanto a lui, abbia dovuto adattarsi al nuovo sistema. Ma dall’esame psicoanalitico dell’individuo scaturisce con particolare evidenza che ciascuno conforma il proprio dio ad immagine del padre, che l’atteggiamento di ciascuno nei confronti del dio dipende dal suo atteggiamento nei confronti del proprio padre carnale, varia e si trasforma come questo atteggiamento, e che in fondo Dio non è altro che un padre di un ordine più elevato. Anche in questo caso, come nel totemismo, la psicoanalisi ci consiglia di prestare fede al credente, quando egli parla del suo dio come di suo padre, così come gli abbiamo prestato fede quando parlava del totem come di un suo antenato.

Nessuno più poteva o doveva arrivare all’onnipotenza del padre, cui tutti aspiravano. Così, il risentimento nei confronti del padre, che aveva portato alla sua uccisione, col tempo svanì per cedere il posto all’amore e ad un ideale di assoluta sottomissione a questo stesso padre primitivo, che si era combattuto e di una illimitata potenza. A causa dei profondi cambiamenti sopravvenuti nello stato di civilizzazione, non poté più mantenersi la primitiva uguaglianza democratica di tutti i membri del clan; apparve allora la tendenza a ravvisare l’antico ideale paterno, elevando al rango di dèi individui che, per certe loro qualità, erano superiori agli altri. Che un uomo possa diventare un Dio o che Dio possa morire, sono cose che a noi appaiono assurde, ma che l’antichità classica considerava ancora come assolutamente possibili e naturali. L’elevazione del padre ucciso al rango di Dio, da cui la tribù faceva discendere le sue origini, era tuttavia un mezzo di espiazione più considerevole di quanto non lo fosse stato il patto concluso col totem. Non saprei dire dove possano essere collocate, in questa evoluzione, le divinità materne, che forse hanno ovunque preceduto gli Dèi-padri. Ma certamente il cambiamento di atteggiamento nei confronti del padre non è rimasto limitato al campo religioso, ma si è ugualmente ripercosso nell’organizzazione sociale che aveva anch’essa, in precedenza subìto gli effetti della sua eliminazione

L’importanza che ovunque il sacrificio ha acquisito sta appunto nel fatto che, con lo stesso atto con cui il padre era stato umiliato, gli si offre ora soddisfazione per questa umiliazione, pur perpetuandone il ricordo. In seguito, l’animale perde il suo carattere sacro, e cessano i rapporti tra il sacrificio e la festa totemica.

Il sacrificio diviene un semplice omaggio reso alla divinità, un’autoprivazione in favore di Dio.

Dio si trova ormai talmente al di sopra degli uomini, che ora si può comunicare con lui solo per mezzo del sacerdote. A capo dell’organizzazione sociale si trovano allora dei re rivestiti di un carattere divino e che estendono allo stato il sistema patriarcale. Bisogna dire che il padre, ristabilito nei suoi diritti, si vendica ora crudelmente ed esercita un’autorità dispotica. I figli sottomessi approfittano delle nuove condizioni per liberarsi ancora maggiormente della responsabilità per il crimine commesso. Ormai non sono più loro, in effetti, i responsabili del sacrificio. È il Dio stesso che lo esige e lo ordina. Appartengono a questa fase alcuni miti in cui è Dio che uccide l’animale che gli è sacro e che in fondo viene ad essere egli stesso. È l’estrema negazione del grande crimine che ha segnato le origini della società ed il sorgere del senso di responsabilità.

Questo modo di concepire il sacrificio presenta ancora un altro significato, che si coglie facilmente: la soddisfazione che gli uomini provarono abbandonando il culto del totem per quello della divinità, cioè, un surrogato inferiore del padre per uno superiore. La traduzione apertamente allegorica della scena, coincide a questo punto con la sua interpretazione psicoanalitica. Quella ci dice: Dio ha superato la parte animale del suo essere.

Sarebbe tuttavia un errore credere che le tendenze ostili nei confronti del padre siano ormai completamente spente. Anzi, nelle prime fasi delle due nuove formazioni sostitutive del padre, cioè degli dèi e dei re, ritroviamo più che mai le manifestazioni di questa ambivalenza che resta caratteristica della religione.

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