Teologia degli antichi sacerdoti Catari – Parte 5

Storia NascostaLa Morale Catara

La dottrina catara aveva un prolungamento nella morale. Il loro motto era: “La fè sens obras morta es” [la fede senza le opere è morta]. La loro vita escludeva ogni compromesso fra bene e male; e siccome il male aveva il volto del mondo nel quale vivevano, la perfezione morale si identificava, per loro, con il “rifiuto”.

Teologia degli antichi sacerdoti Catari – Parte 5

di Luigi G. Navigatore
a cura di Athos A. Altomonte

La Morale Catara

La dottrina catara aveva un prolungamento nella morale. Il loro motto era: “La fè sens obras morta es” [la fede senza le opere è morta]. La loro vita escludeva ogni compromesso fra bene e male; e siccome il male aveva il volto del mondo nel quale vivevano, la perfezione morale si identificava, per loro, con il “rifiuto”.

In primis, il rifiuto della procreazione. Procreare era la peggiore delle cattive azioni, dal momento che consisteva nel rinchiudere un’anima nella prigione della materia. Elevando al rango di sacramento il matrimonio, il cui scopo è la procreazione, la Chiesa cattolica commetteva quindi un vero e proprio sacrilegio. Ma i Catari pensavano anche che gli uomini erano condannati a seguire le leggi della natura e potevano liberarsene esclusivamente con una ascesa di cui “solo una minoranza era capace”.

Quindi i sacerdoti praticavano la castità integrale, ma non la imponevano ai loro fedeli; dicevano solamente: «Se non potete fare a meno del piacere carnale, perlomeno non lo santificate con il matrimonio ed evitate di procreare».

Il loro “disprezzo della carne” li portava così, paradossalmente, a incoraggiare la libertà sessuale, tollerando l’unione libera e auspicando la contraccezione. Ma tale libertà non era sinonimo di rilassatezza morale.

Anche se i catari sconsigliavano di dare la vita, raccomandavano in compenso di rispettarla in ogni modo. Sono del resto uguali le ragioni che dettavano loro questo duplice atteggiamento: non bisognava imprigionare un’anima in un corpo, ma ogni corpo ospitava, o almeno poteva ospitare un’anima.

Rinunciare al mondo materiale, intrinsecamente cattivo, significava anche per i sacerdoti non possedere beni terreni e, non volendo vivere a carico della società, non pretendevano alcuna decima e non chiedevano nemmeno l’elemosina: lavoravano con le loro mani per far sopravvivere la loro comunità. Erano tessitori, calzolai, muratori ed imagier (scalpellini di figure in bassorilievo). Ma in ciò non intendevano affatto imporre la povertà ai semplici fedeli: ammettevano che questi traessero profitto da un’attività e condannavano soltanto i privilegi fondati dall’appartenenza ad una casta. In pratica, quindi, il catarismo incoraggiava così la borghesia e attaccava gli aspetti più rigidi del feudalesimo.

Fermiamoci su quanto sinora scritto e traiamone alcune considerazioni. Finora è stata data una sintesi di ciò che i professori della scrittura ci hanno tramandato in merito nel corso dei secoli. Dimenticando o sottacendo che la gerarchia ecclesiale scatenò contro i Catari una guerra fratricida. Una Crociata per la quale nessun ravvedimento è mai stato proferito. Una carneficina non di satanassi, ma di «buoni uomini e buone donne» che, come tali, operavano su questa terra.

È dunque scomodo aver messo al rogo e passato a fil di spada tanti «buoni uomini e buone donne» appartenenti alla nazione di Francia, scudo e primo paladino della Chiesa Cattolica. Il vero “rifiuto” dei sacerdoti catari è stata la scelta di predicare nello spirito del IV Vangelo Giovanneo che, di fatto, li rendeva indipendenti dai Pastori di Verità della Chiesa cattolica. Che avevano ben altre e più temporali beghe da sbrogliare, e pertanto poco attenti a ciò che i sacerdoti abilitati predicavano. Quando e se predicavano.

Costoro hanno avallato, per ignoranza o per tracotanza di un inesistente diritto di supremazia dell’alto clero nella Chiesa, ipotesi obnubilanti ed ondulatorie; un andirivieni continuo tra buono e cattivo, tra Bene e Male, che traccia alla fin fine un quadro soltanto delineato nei contorni, nella cornice, senza mai entrare nel vivo e nella centralità del credo Cataro. Tracciare un quadro solo nel contorno, significa passare nell’oblio la storia.

Se si preferisce, tracciare un quadro ambivalente di un persona significa non esporla nella sua ben delineata e determinata fisionomia e qualificarla come non meglio qualificabile.

Riassumiamo brevemente questo quadro costruito nel maniero: sono Dualisti (una bestemmia perchè sottintende due divinità anziché Una e Trina) perchè seguaci di Mani; non facile da dimostrare perchè, a differenza dei Manichei, non ebbero unità di miti e di dottrine.

Allora forse seguaci della setta Pauliciana; può essere, ma ci troviamo di fronte ad idee di indubbia derivazione manichea e che, in almeno un punto, se ne distacca alquanto.

Andiamo quindi al pope Bogomilio; le affinità tra pauliciani e bogomili sono notevoli ma gli specialisti non trovano un diretto rapporto di affiliazione tra bogomili e pauliciani. Ecco allora la soluzione: i Catari sono Manichei e affiliazione quasi diretta dei Bogomili.

Rifiutano (su questo termine è stata operata una traslazione di significato che verrà chiarita in seguito) la santificata unione del matrimonio, facendoli quasi anticipare di un migliaio d’anni la professione dell’amore libero dei figli dei fiori del ‘68; senza però farli trascendere nel ridicolo di una predicazione del libero amore; erano pur sempre uomini e donne di incontestabile rettitudine di vita.

Sono “buoni uomini e buone donne” che predicano andando verso la gente di ogni ceto e censo senza chiedere nulla. Vivono del proprio lavoro e tanto basta: forse seducente ma fuori dalla visione “abilitata” del sacerdozio. Ed allora nel contesto generale il tutto suona in questo modo: i Catari (parliamo dei sacerdoti) sono persone semplici che sobriamente hanno assimilato dottrine esotiche, lontane dal credo nostrano, ma di sicuro fascino per tutti perchè più semplicemente fruibili, e ne sono rimasti abbacinati.

Oltremodo scaltri poiché in quel tempo ed in quei luoghi per sopravvivere, fintanto che sono sopravvissuti, ed espandere al contempo il loro credo a molte genti, hanno anche scomodato il IV Vangelo canonico per indorare la loro pillola teologica.

Armati soltanto di antica saggezza contadina e poca cultura, si sono messi a predicare come i tanti guru delle altrettante sette dei nostri giorni o dei giorni del sempre.

Il loro è un teologare e predicare in forma ancillare; non può sostituire quel dialogare con Dio (ispirazione) che abilita il sacerdote e sopratutto il teologo, abilitati in quanto unica è la Verità e di essa è garante il sensus fidei della Chiesa, supportato dal Magistero, e non la razionalità umana o, al pari, la irrazionalità.

Raniero Sacconi, che fu per diciassette anni “vescovo” cataro e poi abiurò, così descrive la modalità di diffusione del catarismo tra la gente ad opera degli eretici: «Gli eretici accortamente si studiano come potersi introdurre nella familiarità dei nobili e gran signori, e li tentano in questo modo; offrono ai signori e alle signore da comperare gradite merci, quali anelli e cose simili. Smerciatene alcune, se il compratore al venditore domanda: ne avete altre, questi risponde: ne ho di più preziose di queste, pur queste vi venderei se mi faceste sicuro di non palesarmi ai chierici. Datagli sicurezza, soggiunge, ho una gemma così lucente che per essa l’uomo conosce Iddio, ne tengo un’altra che così arde che accende l’amor divino nel cuor di quello che la possiede, e così delle altre gemme segue a parlar in metafora».

Dopo recita qualche verso tratto dal vangelo, il primo di San Luca, il XIII di San Giovanni. Se si avvede che il compratore lo ascolta senza disgusto, passa a recitargli il capitolo XXIII di San Matteo: “super cathedram Mojsi sederunt Scribae et Pharisei”, e il X di San Marco, nei quali è, appunto, dipinto il carattere degli Scribi e Farisei.

Interrogato di cui parlino quelle scritture, risponde che parlano dei chierici e dei religiosi. Quindi si apre la strada a far il parallelo «tra lo stato della chiesa romana e lo stato delle lor sètte così proseguendo…», ecc.

Patrus Vallecernensis nella sua Historya Albigensium (Storia degli Albigesi) ci tramanda il rito dei Catari del meridione di Francia. Così lo descrive:

«Nella cerimonia sacrilega il vescovo diceva: “Amico, se vuoi essere dei nostri, è necessario che tu rinunci a tutta la fede nella Chiesa di Roma”. Rispondeva: “Rinuncio”.

“Dunque ricevi lo Spirito Santo dai buoni uomini”. Allora gli soffiava sette volte in bocca, poi gli diceva: “Rinunci alla croce che il sacerdote ti fece sul petto, nel battesimo, sulle spalle, sulla testa con l’olio?” Rispondeva: “Rinuncio”.

“Credi che quell’acqua sia stata necessaria alla tua salvezza?”. “Non credo”. “Rinunci allora a quello che il sacerdote ti ha dato con il battesimo?”. Rispondeva: “Rinuncio”.

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