Le “nozze chimiche” e l’evoluzione della coscienza [1]
“Nei giorni in cui Eva si trovava in Adamo la morte non c’era; la morte sopravvenne allorché Eva fu separata da lui. Se rientra in lui, se egli la prende in sé, la morte non ci sarà più.”
Vangelo gnostico di Filippo
“E un giorno passò per il bosco un uomo, udì gridare il corvo e andò dietro alla voce, e quando si fu avvicinato il corvo disse: – Sono una principessa di stirpe reale, e mi hanno stregata, ma tu puoi liberarmi. – Cosa devo fare? – egli domandò. Ella disse: – Vai avanti nel bosco e troverai una casa dove c’è una vecchia, che ti offrirà da mangiare e da bere, ma tu non prender nulla: se mangi o bevi qualcosa, cadi addormentato e non mi puoi liberare…. Per tre giorni verrò da te alle due di pomeriggio, in una carrozza che la prima volta sarà tirata da quattro cavalli bianchi, la seconda da quattro sauri e la terza da quattro cavalli neri; ma se tu dormi, invece di vegliare, io non sarò liberata”.
Grimm, Fiabe del focolare : “Il Corvo”
“Allora Gretel, con un urtone, la spinse dentro, chiuse lo sportello di ferro e tirò il cateneccio…. e la maledetta strega dovette miseramente bruciare. Gretel corse di filato da Hansel, aprì la stia e gridò: – Hansel, siamo liberi, la vecchia strega è morta! Allora Hansel saltò fuori come un uccello quando gli aprono la gabbia. Con che gioia si saltarono al collo, si baciarono e fecero capriole! E siccome non avevano più nulla da temere, entrarono nella casa della strega e dappertutto c’erano forzieri pieni di perle e di pietre preziose”.
Grimm, Fiabe del focolare : “Hansel e Gretel”
“Quando apparve la terza volta aveva l’abito di stelle che sfavillava ad ogni passo, ed il nastro dei capelli e la cintura erano stelle di pietre preziose. Il principe l’aspettava già da un pezzo e tra la folla si aprì un varco fino a lei.
Dimmi dunque chi sei! – le disse – mi pare di averti conosciuta già da molto tempo. – Non ti ricordi, – rispose la fanciulla, – quel che ho fatto quando mi lasciasti? – Gli si accostò e lo baciò sulla guancia sinistra: e subito fu come se gli cadesse una benda dagli occhi ed egli riconobbe la vera sposa”.
Grimm, Fiabe del focolare : “La vera sposa”
L’unione tra un uomo e una donna è un’occasione offerta ad entrambi per trasformarsi ed evolvere.
L’amore e l’istinto spingono gli esseri umani a ricercare una relazione con l’altro sesso ma, non appena questa relazione si instaura e diviene parte delle loro vite, l’uomo e la donna devono fare i conti con le disarmonie, le paure, le resistenze e le tensioni che il rapporto mette in luce, con la consapevolezza del proprio e dell’altrui sentire, indispensabile perché vi sia un autentico contatto, con la loro immagine interiore di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”, con i fantasmi legati alle loro esperienze precedenti.
Tutti questi stimoli sono insostituibili perché aiutano a scoprire, affrontare e trasformare la parte irrisolta e poco evoluta dell’anima legata all’amore e alla sessualità.
In assenza di ogni rapporto di scambio profondo con l’altro sesso questo “lato oscuro” dell’essere tende invece a restare inalterato ed occulto alla coscienza, dominato una inerzia che rende disperato ogni tentativo di modificarlo.
Tuttavia, se le difficoltà e i conflitti con l’altro sesso sono potenzialmente un dono, perché gli attriti rivelano le disarmonie, non è affatto detto che l’esito finale sia quello di una maggiore consapevolezza e, tanto meno, quello di una evoluzione.
È infatti possibile assumere i conflitti e le asperità del rapporto con i propri partners come “loro” difetti, attribuire alla sfortuna e a circostanze esterne avverse ogni insuccesso, indulgere nell’autocompatimento, o instaurare una sorta di stabilità precaria che poggia le sue basi su ruoli e comportamenti ripetitivi, che sono logoranti ma rassicuranti, perché dispensano chi vi ricorre dall’indagare su se stesso.
È purtroppo un dato di fatto che la maggior parte dei rapporti più longevi sopravvivano grazie a meccanismi di questo tipo: l’uomo e la donna sono ridotti ad attori che indossano sempre le stesse maschere, espropriati dal loro sentire più autentico, dal senso del mistero dell’esistenza, ridotti a ripetere meccanicamente sempre gli stessi gesti, a credere che il loro mondo interiore si esaurisca in quelle azioni e nei sentimenti ad esse legati. Il bisogno di rassicurazione e il timore dell’ignoto dell’uomo sono così forti che egli preferisce murarsi vivo in questi piccoli inferni privati piuttosto che affrontare l’incognita di scavare nel proprio cuore.
Attraverso l’analisi dei vari tipi di rapporto che si possono instaurare tra un uomo e una donna è possibile tracciare una mappa dell’evoluzione della coscienza. È ciò che ha provato a fare Neumann in “Storia delle origini della coscienza”, in “La grande Madre” e in “Psicologia del femminile” utilizzando gli strumenti della psicologia del profondo. [2]
Neumann sostiene inoltre che tale analisi può addirittura permettere di cogliere l’evoluzione di una civiltà nel suo complesso, nel senso che il tipo di rapporto matrimoniale prevalente e diffuso come modello nella coscienza collettiva è un indice sicuro del grado di evoluzione e integrazione degli uomini che vissero in quella civiltà.
Nella vastissima letteratura alchemica da lui consultata durante la redazione del “Misterium Coniunctionis” [3] e di “Psicologia e Alchimia”, anche Jung aveva individuato tre diversi “gradi” della congiunzione degli opposti perseguita dagli alchimisti, tre gradi che in seguito Neumann paragonerà alle varie tipologie del rapporto tra un uomo e una donna.
Questi tre gradi seguono, ciascuno, l’inizio delle tre opere degli alchimisti: l’opera al nero o Nigredo, l’opera al bianco o Albedo e quella al rosso o Rubedo.
Il primo grado di congiunzione, detto “unione mentale nel superamento del corpo”, consiste in una sorta di equilibrio psichico tra gli opposti, di una “equanimità”, come dice Jung, stabilita al di là delle condizioni corporee: l’alchimista intende conseguire uno stato nel quale “la ragione possa sottrarre il cuore e lo spirito all’influenza delle emozioni e tenere sotto la sua autorità la turbolenta sfera corporea.” [4] È la condizione alla quale tende, in ogni percorso spirituale, colui il quale sia dedito alla meditazione o all’ascesi.
Nel secondo grado si tratta invece di riunire la dimensione corporea con quella spirituale. Tale operazione è rappresentata con l’immagine delle nozze tra il fisso e il volatile, dell’animale dotato di ali con quello costretto a strisciare sulla terra, della parte nobile e immortale dell’uomo con l’Ombra terrestre e mortale, e consiste nel trasferire nella materia, nel corpo e nella viva realtà quell’unione degli opposti realizzata in precedenza unicamente come “unio mentalis”. [5] È il tentativo di portare nella vita di tutti i giorni le realizzazioni conseguite con la meditazione e con l’ascesi. Chi riesce a trasferire nelle azioni e nei gesti della quotidianità le proprie realizzazioni spirituali, è anche in grado di sanare gli squilibri e le deformità della sua anima.
La realizzazione del secondo grado viene infatti anche descritta come l’elaborazione di una medicina o di un elisir in grado di guarire tutti i mali, sia fisici che psichici.
L’ultimo, il terzo e più perfetto grado della congiunzione consiste infine nel cosiddetto “Unus Mundus”, nell’unire cioè il microcosmo della soggettività dell’individuo con la molteplicità dell’intero universo, riconoscendo che queste due sfere di esistenza dipendono l’una dall’altra e sono segretamente unite tra loro. Realizzare il terzo grado corrisponde in termini psichici, secondo Jung, a trovarsi in totale comunione con il Sé, quel princìpio sopraordinato e sovraindividuale che non conosce limitazioni di spazio o di tempo e che ignora il principio logico di non contraddizione (del “terzo escluso”), accogliendo e componendo in modo armonioso tutte le coppie di contrari. Chi raggiungesse questa fase in un percorso spirituale diventerebbe un Maestro, nel senso che lo Spirito parlerebbe e si esprimerebbe attraverso di lui e l’armonia del cosmo mostrerebbe il proprio ordito attraverso la semplicità e la bellezza delle sue azioni.
La materia su cui si opera deve quindi subire una triplice morte separandosi dalla parte indegna di redenzione, detta dagli alchimisti “terra dannata”, per diventare immortale nel terzo grado della congiunzione. Solo a questo prezzo l’Adepto può trasformare il proprio corpo mortale in “corpo glorioso” e spiritualizzato, fatto di sostanza incorruttibile, una “quintessenza” generata dall’unione e dalla pacificazione dei quattro elementi.
Il superamento del lato caduco dell’essere richiede però che il richiamo esercitato dall’aspetto esteriore delle cose (che viene talvolta paragonato all’attrazione fisica tra l’uomo e la donna), venga riconosciuto per ciò che è: un illusorio caleidoscopio di impressioni fugaci, destinato a catturare l’attenzione di chi guarda.
Chi si lascia irretire unicamente dal profumo e dalla bellezza sensuale delle forme, bruciando al fuoco della passione, è destinato ad esaurire rapidamente la propria vitalità e a non superare il terribile confronto con le forze distruttrici della morte. [6]
Secondo gli alchimisti, per attingere ad una vera conoscenza occorre saper andare oltre le apparenze e più in profondità, fuori e dentro se stessi. Basilio Valentino, vissuto nel XVII secolo, dice a questo proposito : “Una vergine, prima di essere data in matrimonio, è dapprima magnificamente ornata di una varietà di vestiti tra i più preziosi per piacere al suo fidanzato e con il proprio aspetto accendere in lui più profondamente la brama dell’amore. Ma quando essa deve essere sposata al suo coniuge, seguendo l’uso dell’unione carnale, le si tolgono tutti i differenti vestiti e non se ne conserva nessuno, se non quello che le è stato dato dal suo Creatore al momento della nascita.” [7]
Nessuno dei tre gradi della congiunzione può tuttavia realizzarsi senza l’intervento di un terzo termine: il Mercurio dei Filosofi. Questo mediatore tra gli opposti viene spesso descritto, nell’unione sessuale tra i princìpi alchemici, come un duplice seme o mestruo, sia maschile che femminile, le cui due nature devono mescolarsi perché la procreazione divenga possibile. Nel matrimonio svolge il ruolo di Cupido o Paraninfo, che fa incontrare gli sposi destinati l’uno all’altra, oppure è la fonte d’acqua di vita nella quale il Sole e la Luna si immergono per celebrare le loro nozze mistiche.
Nel Theatrum chemicum, citato da Jung nel Misterium Coniunctionis, ci viene detto a proposito del secondo grado di congiunzione che “Sotto questo binario spirituale e corporeo è nascosta una terza cosa che è il legame del Matrimonio Sacro. Questa stessa cosa è l’intermediario che dura fino alla fine di tutti gli esseri e partecipa di volta in volta di entrambi i loro estremi, senza i quali ne esse ne essi potrebbero esistere , essendo divenuti da tre, una cosa sola.” [8]
Questo enigmatico mediatore viene spesso rappresentato sotto le sembianze di un serpente. Si tratta dello stesso serpente che nella tradizione giudaico- cristiana si avvolge attorno all’albero della conoscenza del bene e del male e offre ad Eva il frutto del Peccato Originale, dello stesso serpente che si avvolge sulla verga di Esculapio, dio delle guarigioni miracolose, del serpente che era sacro ad Apollo sotterraneo, dio del sole, del serpente in cui poteva tramutarsi il bastone magico di cui Mosè si servì per scatenare le piaghe dell’Egitto, del serpente malefico che, nella Genesi, Dio condannò a strisciare nella polvere, destinato ad avere la testa schiacciata sotto il tallone di una Vergine.
Le tre congiunzioni che caratterizzano l’Opus alchemicum possono anche essere intese sia come tre differenti tipi di “integrazione” tra la parte maschile e la parte femminile di un unico individuo, sia come vere e proprie forme di unione matrimoniale tra persone di sesso diverso.
Nei suoi libri Neumann distingue tra tre tipi culturali di “nozze spirituali” nel patrimonio storico, mitologico e religioso dell’umanità., che corrispondono a tre diverse fasi evolutive della coscienza umana.
Il primo tipo di “situazione archetipica” è quello in cui la realtà e il rapporto con l’altro vengono vissuti come relazione con un utero chiuso in se stesso, simultaneamente maschile e femminile, attivo e passivo, perché non è ben chiaro il confine che separa il soggetto da ciò che lo circonda e lo nutre. Il mondo, l’altro, vengono fantasticati come entità che devono accudire un uomo-bambino debole e bisognoso di protezione, che è solito attribuire ad entità esterne tutto ciò che accade dentro di lui. Questa fase culturale dell’umanità (e, corrispondentemente, questa fase iniziale nello sviluppo della coscienza di ogni individuo) è caratterizzata dal culto delle dee madri (rispettivamente, della propria madre biologica) ed è detta “ouroborica” dall’ouroboros, il serpente che si nutre della propria coda unendo e confondendo il proprio lato attivo e quello passivo.
Neumann sosteneva che sulla “Potnia Theron” o “Signora degli animali”, dea degli elementi, degli animali, delle piante e delle forze della Natura, che spesso si accompagna ad una coppia di animali gemelli, veniva proiettato inconsapevolmente il princìpio ordinatore degli opposti che si agitano nel mondo. Gli opposti sono appunto rappresentati dai due animali che la Dea può governare a suo piacimento. In questo stadio evolutivo l’uomo il rapporto maschile-femminile si basa unicamente sul contributo che il maschio può dare alle potenze femminili della fertilità, in quanto fecondatore ed egli viene “riconosciuto” dal femminile unicamente come “Divino Paredro”, uomo-fanciullo destinato a unirsi a una Dea Madre dalla quale non si emanciperà mai, oppure come vecchio debole e bisognoso di protezione. Tali uomini-fanciulli hanno quindi esistenza solo attraverso il loro potere fallico-riproduttivo e spesso, nei miti, vengono uccisi o castrati [9] dopo aver ottemperato al compito della fecondazione, il che li rende intercambiabili tra loro a scapito del loro senso di unicità, della presenza, dell’esserci qui ed ora, che è indispensabile per la formazione dell’Io. [10]
Questo tipo di rapporto con il polo femminile dell’esistenza è caratteristico di un maschio identificato con il proprio fallo e polarizzato narcisisticamente sull’amore degli altri per lui più che sul suo amore per gli altri, sul suo ruolo di amato più che di amante. Le nozze con la Grande Madre hanno inoltre sempre un sottofondo nefasto, perché, in questo tipo di rapporto, l’altra faccia dell’Amore nasconde la morte e la Castrazione. Il maschio riconosce tutto il potere ammaliatore della femmina, intesa come colei che risveglia la sessualità. Non si tratta tuttavia ancora di una sessualità cosciente, cioè riferita a se stessi e alle proprie scelte: l’attrazione verso la donna viene attribuita alle arti di seduzione femminili e vissuta come incantamento e perdita di coscienza. Un altro tratto caratteristico di questa fase è un senso di colpa sotterraneo nei confronti della Grande Madre che si manifesta nell’uomo con fantasie di smembramento, autocastrazione e inghiottimento (la Grande madre , assimilata alla terra, può sia inghiottire l’uomo che regredisce, reintegrandolo nel suo stato prenatale, che ingoiarlo come fa la terra con i cadaveri). L’uomo che si identifica unicamente con il proprio fallo deve temere, la regressione e l’annientamento della sua personalità. Egli infatti associa e lega al femminile solo il proprio lato animale e non cosciente e avverte con paura la natura emotiva e passionale del femminile, perché rischia di essere “posseduto” da questo aspetto di sé, non avendolo saputo sviluppare fino a rendersene consapevole. A questo livello di consapevolezza l’uomo si identifica altrimenti nel “fanciullo” accudito, coccolato e protetto, “piccolo amante” di una Grande Madre che può castrarlo in qualsiasi momento. Così, nell’inconscio maschile, accanto all’aspetto rassicurante delle Dee Madri, che accolgono e nutrono, ve n’è sempre uno terribile e distruttivo che ce le mostra nell’atto di racchiudere, catturare, dissolvere, divorare, smembrare e uccidere.[11]
L’incapacità di affrontare i propri “lati oscuri”, non integrati con il resto della personalità cosciente conduce a introiettare la figura della “Madre Terribile” la quale, annidata nell’inconscio, opera in modo occulto e si manifesta sotto la sua forma distruttiva come rifiuto di se stessi, impossibilità di scorgere vie di uscita dalla situazione in cui ci si trova, passività, depressione, tendenze suicide, svalutazione sistematica del presente e del passato, rifiuto del futuro e di qualsiasi prospettiva positiva.
Ogni tentativo di emanciparsi da questa situazione viene vissuto come grave tradimento nei confronti della Grande Madre (ormai divenuta parte dell’anima, una entità interiore che viene costantemente confusa e scambiata con entità esterne), accompagnato da un bisogno disperato di giustificarsi con la Dea irata.
L’uscita da questa fase di nozze della Grande Madre con l’uomo-fanciullo [12] passa attraverso l’identificazione dell’uomo con la figura mitica dell’Eroe Solare, colui che combatte contro il Drago Ouroborico Primordiale per conquistare il tesoro della propria individualità.
L’individuazione e la differenziazione richiedono, come prezzo, che si attraversi la prova consistente nell’affrontare e nell’uccidere metaforicamente gli archetipi del Padre e della Madre. Ciò con cui si viene a conflitto è, in realtà, l’opposizione interna al processo di evoluzione della coscienza. Vi è infatti nell’uomo una forte resistenza al cambiamento, una difficoltà quasi insuperabile a sottrarsi alla coazione a ripetere i vecchi schemi di rapporto. L’aggressività e il senso di sfida dell’Eroe avverte nei confronti della Grande Madre possono quindi essere controbilanciate dall’inerzia, dal complesso di colpa e, per chi non sa trovare una via di uscita da questo conflitto, dalla disperazione. Questa resistenza è il vero drago contro il quale l’eroe è chiamato a combattere.
Perché quella “equanimità tra gli opposti”, che era poi il fine della prima congiunzione alchemica, possa realizzarsi, queste figure femminili negative, veri e propri vampiri di energia, che sono poi l’Ombra, vanno riconosciute, affrontate e portate dentro se stessi. Questa impresa, nella dinamica del rapporto uomo – donna, equivale a portare a termine l’Opera al Nero.
Prima di procedere oltre e considerare il secondo tipo di “nozze spirituali”, è necessario riesaminare il cammino fin qui percorso dal punto di vista femminile. Le donne, infatti, nella loro evoluzione, devono seguire un percorso leggermente diverso da quello maschile.
Il punto di partenza della coscienza femminile è quello dell’identificazione con la madre, o meglio, con il “mondo delle madri”, un mondo che esclude da sé il maschile se non nelle forme innocue di giovinetto o vecchio malato ed offre solidarietà e protezione, “sorellanza”, a chi ne faccia parte.
Il maschile adulto e autonomo viene invece rimosso, quando ciò sia possibile, altrimenti viene vissuto come pericoloso, violento, ctonio e foriero di morte e distruzione. Un esempio di questo maschile ci è dato dal mito di Ade, dio degli Inferi, che rapisce la fanciulla Persefone alla madre Demetra, trascinandola con sé e celebrando le nozze nel mondo sotterraneo. [13]
Gli inferi rappresentano un mondo di desideri e passioni maschili che la fanciulla teme e non conosce. Essa si sente scelta e desiderata per delle caratteristiche femminili che non ha ancora assunto come proprie. Talvolta, invece, la “Puella” assume il ruolo di Artemide, che sa suscitare il desiderio maschile ma non sa associarvisi, e quindi deve fuggire di fronte a un maschio che, quando si avvicina troppo, viene trasformato in animale, cioè riconosciuto e vissuto solo per il suo aspetto materiale e bestiale (cosi come, nel mito, Artemide trasformò in cervo Atteone, che l’aveva vista nuda mentre si bagnava presso un fontanile). A questo livello di consapevolezza la donna matura vive invece il ruolo della Grande Madre e nutre, accoglie, racchiude e protegge ma, nel contempo, controlla e crea dipendenza in chi le è soggetto, facendo leva sulle debolezze del maschile, che tende sotterraneamente a svalutare, opponendosi (almeno apparentemente) al percorso di liberazione dell’anima degli uomini che rientrano nella sua sfera di azione . A questo stadio di coscienza possono essere infine ricondotte quelle unioni fondate sui soli aspetti formali ed esteriori, nelle quali ognuno ricava identità e ruolo dalla maschera che l’altro gli consente di indossare (ci occuperemo di questo tipo di relazioni e della loro natura “proiettiva” nell’ultimo capitolo di questo libro).
Il secondo tipo di “nozze spirituali” viene collegato da Neumann a quello stadio della coscienza che egli chiamava “La liberazione della Prigioniera” o “La conquista del Tesoro” e consiste nella scoperta e nella liberazione della propria anima. Corrisponde alla congiunzione nella quale l’alchimista deve unire fisso e volatile, spirito e materia. Si tratta di trasferire nella materia, nel corpo, nella viva realtà, quella unione degli opposti realizzata in precedenza solo come “unio mentalis”. La fase fallica è stata superata e la donna è divenuta una controparte del maschile con la quale è possibile un rapporto personale. La “promessa sposa” deve tuttavia essere conquistata superando una prova, dimostrando forza, amore, intelligenza, coraggio, spirito, dedizione, a seconda delle caratteristiche positive con le quali l’uomo ora si identifica e per le quali la donna lo “riconosce”. Nei miti e nelle fiabe che rispecchiano questo stadio di evoluzione della coscienza, la donna compare talvolta accanto all’Eroe, nella lotta contro le forze avverse, come Aiutante magico o come Sorella Minore. Le nozze conducono di solito l’Eroe a diventare re, mago, possessore di oggetti o animali magici o di tesori, e adombrano l’unione con un’Anima “sottratta” al potere della Madre Terribile e agli oggetti delle proiezioni psichiche.
Superato lo stato della eterna fanciulla-vergine, dell’eterna Kore, la donna soggiace tuttavia al pericolo di subire la fascinazione dell’uomo inteso come Princìpio astratto Celeste e Spirituale e di negare i propri valori femminili per affermare i princìpi maschili. Ritroviamo spesso questa fenomenologia tra le donne che annullano se stesse nell’amore e nella devozione per un uomo o per una causa, tra le donne che restano fedeli alla memoria del padre, tra le suffragette e le suore, tra le attiviste di partito, etc. Questo pericolo, che conduce la donna (e l’anima maschile) a immolarsi a un princìpio astratto, svuotando di significato la propria vita, può essere sventato solo con l’uccisione simbolica del padre “esterno” e con l’introiezione consapevole della figura maschile.
Sia per l’uomo che per la donna, quando la figura maschile e paterna comincia ad emergere all’attenzione della coscienza, essa appare come un satellite, una mera emanazione del potere della Grande Madre, capace solo di eseguirne gli ordini e di renderne esplicita tutta la collera e la violenza. [14]
Successivamente, se la figura paterna acquisisce forza, forma e autonomia, essa prende a incarnare sia l’adesione alle leggi, ai codici morali e alle norme che la società si è data, sia il principio celeste, ideale e spirituale, il quale sembra opporsi alla materia.
Secondo Neumann esistono due diverse forme in cui il potere patriarcale tende ad essere vissuto come castrante per l’anima: la “Prigionia” e la “Possessione”.
Nella “Prigionia” l’Io resta totalmente dipendente dal padre in quanto rappresentante delle norme collettive, dell’Etica, della morale tradizionale e delle convenzioni. Lo sviluppo della personalità è in tal modo inibito e si limita a una pappagallesca ripetizione dei modelli ereditati dall’ambiente in cui si è nati.
La “Possessione”, invece, è caratterizzata da una spinta luciferica verso l’alto, ci si identifica esclusivamente con quelle caratteristiche intellettive e spirituali che costellano l’archetipo del Padre. L’Io conosce allora l’annullamento mediante lo Spirito ed è posseduto da una inflazione ascetica della “parte celeste dell’uomo”, che gli fa perdere ogni contatto con la sua parte terrena.
“L’uccisione mitica del padre” [15] consiste, in entrambi i casi, nel riconoscere questo archetipo come una parte di se stessi, non proiettandolo più su figure esterne. Se il conflitto ha luogo ma non vi è introiezione si ha poi “l’eterno figlio ribelle”, immobile sulla soglia di una trasformazione che non avviene mai. Le prove che l’uomo deve superare per conquistare un rapporto reale col femminile (e viceversa) consistono in ultima analisi nell’integrazione tra la parte Ombra e quella luminosa, nella consapevolezza che il Drago contro cui si combatte per liberare l’anima prigioniera è una parte di sé.
Questa integrazione, questo assorbire l’Ombra nei confini del proprio essere, corrisponde all’Opera al bianco degli alchimisti.
Il terzo ed ultimo tipo di “nozze spirituali”, legato all’Opera al Rosso, è quello in cui l’uomo deve saper ricondurre il microcosmo della sua soggettività al Macrocosmo, all’Universo, riconoscendo il legame segreto tra le due sfere di esistenza.
Chi è giunto a questo livello di consapevolezza è in totale comunione con il Sé e contempla e vive in modo armonioso tutte le coppie di contrari.
In questa fase il femminile viene vissuto dall’uomo come potere salvifico e trasformatore, guida nel suo cammino interiore (Sophia, Maria Vergine, Iside, Athena, Tara, la Regina e la Soror Mistica degli alchimisti). La donna sperimenta invece il maschile come una forza attiva volta alla realizzazione di obbiettivi elevati, una forza che, superato ogni attaccamento, si manifesta come pura azione spirituale che viene resa fertile e consapevole dall’incontro con le energie femminili esaltandone, a sua volta, il valore e la funzione. Quest’ultimo tipo di nozze corrisponde ai riti di morte e resurrezione degli iniziati ai misteri, durante i quali il princìpio femminile veniva sperimentato come fonte di luce e redenzione e il “princìpio materno” veniva recuperato in chiave positiva ed evolutiva. Si può citare, a questo proposito, la preghiera che Apuleio rivolge ad Iside dopo aver abbandonato le spoglie di asino ed essere stato iniziato ai misteri della Dea [16]: “Tu si sei santa, ti sei in ogni tempo salvatrice dell’umana specie, tu nella tua generosità porgi sempre aiuto ai mortali, tu offri ai miseri in travaglio il dolce affetto che può avere una madre. Né giorno né notte, né attimo alcuno, per breve che sia, passa senza che tu lo colmi dei tuoi benefici; tu per mare e per terra proteggi gli uomini, allontani le tempeste della vita e porgi con la tua destra la salvezza, tu sempre con la tua mano sciogli le fila che il destino aggroviglia in nodi inestricabili, tu calmi le bufere della fortuna e poni un freno alle funeste rivoluzioni delle stelle, te onorano gli dei del cielo e rispettano quelli dell’Inferno, tu fai ruotare la terra, dai luce al sole, governi l’Universo, calchi col tuo piede il Tartaro. A te obbediscono le stelle, per te ritornano le stagioni, di te si rallegrano i Numi, a te servono gli elementi. Al tuo cenno spirano i venti, offrono il nutrimento le nubi, gemogliano i semi, crescono i germogli. La tua maestà temono gli uccelli vaganti per il cielo, le fiere erranti per i monti, i mostri che nuotano nel mare.”
Questo aspetto Isiaco è presente come possibilità in ogni donna, ma non può risvegliarsi se non a contatto con una natura maschile egualmente evoluta.
D’altra parte, per riuscire a vivere armoniosamente l’unione con un archetipo così potente, per riuscire a “vedere” come ogni donna reale porti con se queste caratteristiche luminose, l’uomo deve averne colto l’eco dentro di sé, nella sua anima, negli stati di meditazione profonda.
L’aspetto superiore del femminile non può infatti essere conosciuto, ma solo ri-conosciuto.
In tutti e tre i tipi di “nozze spirituali” prese in esame, il femminile, positivo o negativo che sia, ha comunque, nei confronti del maschile, un ruolo trasformatore, rappresenta una spinta all’evoluzione della coscienza, anche quando il ruolo incarnato è quello della Grande Madre Divoratrice che sembra opporsi all’Eroe. Anche in questo caso, infatti, essa stimola l’Eroe a cambiare, a crescere e non soccombere e, nei suoi aspetti terribili, sottolinea proprio quegli aspetti della coscienza il cui sviluppo è carente.
Ci si può infine chiedere in che misura i processi descritti, che riguardano per lo più la dimensione del mito e della fiaba, si manifestino negli uomini e nelle donne reali. A questo proposito lasciamo la parola ad Erich Neumann, che nelle pagine conclusive della “Grande Madre” scrive: “Come l’umanità stessa, anche l’archetipo del femminile si sviluppa in essa; all’inizio è la dea primordiale, che riposa in se stessa, nella materialità del suo carattere elementare, che non conosce nulla se non il segreto del suo utero; alla fine è Tara [17], nella mano sinistra il loto sbocciante dello sviluppo psichico, la mano destra rivolta al mondo nel gesto del donare. Con gli occhi socchiusi, nella sua meditazione, essa è intenta sia al mondo esterno sia al mondo interiore: un’immagine eterna femminile dello spirito redentore. Entrambe formano insieme l’unità dell’Archetipo del femminile, che riempie i