Nell’uomo la morte sopraggiunge, nel senso comune del termine, quando la volontà-di-vivere in un corpo fisico scompare e la volontà-di-astrarre ne prende il posto. È questo che chiamiamo morte.
Dagli scritti di Alice A. Bailey e del Maestro D. K. Nell’uomo la morte sopraggiunge, nel senso comune del termine, quando la volontà-di-vivere in un corpo fisico scompare e la volontà-di-astrarre ne prende il posto. È questo che chiamiamo morte. Quando la causa, il desiderio, ha prodotto il suo effetto, cioè la personalità, o la forma dell’uomo, questa perdura fino a che esiste la volontà di vivere. È trattenuta in manifestazione dalla vitalità mentale. Gli annali della medicina lo comprovano ripetutamente, poiché è dimostrato che finché persiste la determinazione di vivere, la durata della vita fisica è probabile, e che al contrario, se quella si spegne, o quando colui che entro-dimora distoglie l’attenzione dalla personalità, ne conseguono morte e disintegrazione di quell’immagine mentale che è il corpo. … … … L’attaccamento è intenso desiderio per l’esistenza senziente. È insito in ogni forma, si perpetua da sé, e lo conoscono anche i saggi. Quando la Vita, o Spirito, si ritrae, la forma occultamente muore. Quando il pensiero dell’ego, o Sé superiore, è rivolto al proprio mondo, non vi è energia diretta alla materia dei tre mondi esterni, e perciò la costruzione di forme e l’attaccamento ad esse vengono a cessare. Ciò conferma che «l’energia segue il pensiero», e concorda con l’insegnamento spirituale secondo cui il corpo del principio Cristo (il veicolo buddhico) comincia a coordinarsi solo quando gli impulsi inferiori svaniscono…. L’attaccamento o l’attrazione per la forma è per lo Spirito il grande impulso involutivo. La ripulsa della forma e la sua disintegrazione conseguente sono la grande spinta evolutiva. … … … La morte, quando arriva, ha due cause:
… … … Vi sarà evidente che questo Principio di Conflitto è strettamente connesso con la morte. Per morte intendo la liberazione dalle condizioni della forma fisica, emozionale o mentale, intendo la cessazione (temporanea o permanente) del contatto con la forma fisica, con l’annebbiamento astrale e l’illusione mentale; intendo il rigetto di Maya, nome di quell’effetto globale che inghiotte l’uomo immerso in qualsiasi genere di materialismo e perciò è sopraffatto (dal punto di vista dell’anima) dalla vita nei tre mondi. È il Principio di Conflitto, latente in ogni atomo di sostanza, che produce prima di tutto conflitto, poi rinuncia e infine emancipazione; che produce la guerra in una forma o in un altra, poi il rigetto e finalmente la liberazione. Come vedete bene, questo principio è connesso intimamente alla legge del Karma; è a questo principio che allude A. Besant quando, in un suo libro, parla del fatto che la sostanza di cui son fatte tutte le forme è già – dall’alba stessa del processo creatore – permeata di karma. C’è un significato profondamente occulto nel pensiero enunciato sovente, che la morte è la grande Liberatrice; significa che il Principio di Conflitto è riuscito a produrre le condizioni in cui l’aspetto spirito è liberato (temporaneamente o permanentemente) dalla prigione di qualche forma di vita, individuale o di gruppo. … … … È degno di nota che l’incapacità di esternare il “vero” o di “essere la verità” è la vera causa di morte di chi ancora non è discepolo o non ancora iniziato di primo grado. L’anima, vista la resistenza oppostale dal suo strumento, decide di porre termine all’esperimento di quell’incarnazione. La morte subentra, allora, provocata dall’attrito. … … … Notate, inoltre, che la morte si produce per diretto intervento dell’ego, anche se l’uomo ne fosse totalmente inconsapevole. Per la maggioranza il processo è automatico, poiché (quando l’anima distoglie l’attenzione) la reazione fisica inevitabile è o la morte fisica – quando si distaccano entrambi i flussi, della vita e della ragione – o la morte psichica – quando la corrente mentale si ritrae, e solo la vita resta attiva nel cuore, ma senza coscienza intellettiva. L’anima è impegnata in altre imprese, in altri livelli. … … … L’intento deve essere che ogni uomo muoia – poiché è mortale – quando l’anima lo vuole. Giunto in elevata fase di sviluppo, un giorno egli saprà ritrarsi in piena coscienza dal corpo fisico, a tempo debito e con volontà deliberata. Lo lascerà silenzioso e deserto, senz’anima; spento, ma sano e integro; il corpo si disferà allora, seguendo il decorso naturale, e i suoi atomi torneranno al grande «deposito d’attesa» finché non richiesti da altre anime in procinto di incarnarsi. Lo stesso processo si ripete nei mondi soggettivi: molti però hanno già imparato ad abbandonare il corpo astrale senza «sperdersi nella nebbia» – modo simbolico di descrivere la morte a quel livello. L’uomo si ritrae quindi nel piano mentale, e la sua carcassa astrale accresce la nebbia e la sua densità. … … … La morte, per quanto riguarda l’uomo, è un processo sempre più predisposto e previsto dall’anima, che si ritrae di sua propria volontà. Ciò vale, in diversa misura, per chiunque non sia di così povera intelligenza che l’anima altro non faccia, in pratica, che adombrarlo dall’alto. Per chiunque muoia, progredito o no che sia, le fasi ulteriori della dissoluzione, dopo la dipartita spontanea dell’anima (conscia per quest’ultima, e sempre più tale anche per la persona morente), sono regolate da questo potere letale, insito nella stessa vita del pianeta. … … … La buona volontà, che è intento e movente di bene, quando sarà coltivata guarirà le malattie dell’apparato respiratorio, gola e polmoni, darà stabilità alle cellule cerebrali e curerà la pazzia e l’ossessione, instaurando ritmo ed equilibrio. L’uomo sarà allora longevo, poiché la morte interviene solo quando l’anima riconosce di aver compiuta la sua missione e di meritarsi il pralaya. Essa si presenterà quindi a grandi intervalli di tempo, governata dalla volontà. L’uomo cesserà di respirare quando avrà terminata l’opera, e invierà gli atomi del corpo in pralaya. Questa condizione è il sonno del fisico, la fine della manifestazione, ma il suo significato occulto non è ancora capito. … … … Vi rammento che queste considerazioni riguardano le attività e le reazioni dell’anima quando volutamente richiama il frammento di sé che si è incarnato, a conclusione di un ciclo di vita. La durata di esso può essere lungo o breve, dipende dal proposito; può essere di pochi anni o di un secolo. Prima dei sette anni di età, ciò che più conta è la vitalità dell’elementale fisico; l’anima è allora focalizzata nel corpo eterico, ma non ne usa ancora appieno i centri; si limita a un lieve controllo pulsante, a un blando impulso, sufficienti però a preservare la coscienza, a dar vita ai vari processi fisiologici, a dimostrare il carattere e le disposizioni. Queste doti divengono sempre più marcate sino a stabilizzarsi, a ventun anni, in quella che chiamiamo la personalità. Nel caso dei discepoli, la presa dell’anima incarnata, e la sua età o esperienza sono già pronosticabili, gli elementali fisico, astrale e mentale sono sotto controllo, e l’anima, l’uomo spirituale entrostante, già precisa le tendenze e le scelte. … … … Nella famiglia umana la morte sopravviene quando l’anima ritira il suo filo della coscienza e quello della vita; però questo processo di morte si rapporta completamente ai tre mondi. L’anima ha il suo posto sui livelli superiori del piano mentale, come ben sapete. Quanto alle forme di espressione delle quali parlavo prima – cicli, civiltà, culture, razze, regni di natura e così via – la loro distruzione è provocata da sorgenti ancora più in alto dei tre mondi in cui esse si manifestano. Questa distruzione avviene sotto la direzione di Shamballa, che evoca la volontà della Gerarchia o di qualche Ashram particolare o di qualche membro della Gerarchia, al fine di produrre nei tre mondi un risultato predeterminato in linea con il proposito di Dio. Si potrebbe dire (con una certa misura di correttezza esoterica) che la distruzione prodotta in ubbidienza alla quarta parola della regola XIV è la distruzione di qualche aspetto del Piano che ha giocato il suo ruolo nei tre mondi, secondo il proposito e l’intento divini. Questa distruzione non è esternamente così conclusiva come lo è la morte di un uomo sul piano fisico, sebbene questa essenzialmente non è quel rapido processo che generalmente si suppone essa sia. La forma fisica può morire e scomparire, ma sopravviene un processo interiore di morte dei corpi sottili e il processo della morte non è completo finché non si sono disintegrati anche i corpi astrale e mentale e l’uomo è libero nel corpo causale o corpo dell’anima. La stessa cosa avviene, in scala più grande, per la morte o distruzione di fasi del Piano divino, avviate dalla Gerarchia in conformità al Proposito divino. C’è sovrapposizione fra il processo di costruzione e quello di distruzione. Le civiltà che muoiono sono presenti nelle loro forme finali mentre emergono le civiltà nuove; i cicli vanno e vengono, sovrapponendosi; la stessa cosa si riscontra nell’emergere e nello scomparire dei raggi e delle razze. In ultima analisi e dal punto di vista dell’essere umano comune, la morte è semplicemente la scomparsa dal piano fisico – il piano delle apparenze. |