Antologia dell’«Encyclopédie» di Diderot e D’Alembert
Vantaggio accordato ad un uomo su un altro. Gli unici privilegi legittimi sono quelli accordati dalla natura. Tutti gli altri possono essere considerati alla stregua di ingiustizie fatte a tutti gli uomini a favore di uno solo.
La nascita ha i suoi privilegi. Non v’è dignità sociale che non abbia i suoi: ciascuno ha il privilegio proprio della sua specie e della sua natura.
La nascita ha i suoi privilegi. Non v’è dignità sociale che non abbia i suoi: ciascuno ha il privilegio proprio della sua specie e della sua natura. Il sovrano può accordare un privilegio particolare per liberare qualcuno in una data circostanza dall’obbligo di obbedire alla legge. L’obbligazione imposta dalle leggi ha precisamente la medesima estensione del diritto del sovrano. Di conseguenza si può dire in generale che tutti coloro che dipendono dal diritto del sovrano si trovano con ciò ad essere sottomessi all’obbligazione imposta dalle leggi. Così solo un privilegio particolare del sovrano può esentare qualcuno dall’obbligo di obbedire alle leggi. Se il legislatore ha la potestà di abrogare interamente una legge, a più forte ragione potrà sospenderne l’effetto riguardo a determinate persone. È dunque questo un diritto specifico e incontestabile del sovrano. Ma voglio sottolineare che tale potestà è propria solo del sovrano. Mentre il giudice inferiore, per mitigare il rigore della lettera della legge, non ha altro mezzo, quando la legge lo consenta e anzi per obbedire meglio all’intenzione del legislatore, che ispirarsi ai princìpi dell’equità. Dunque il sovrano può favorire qualcuno per sua libera scelta con una dispensa o privilegio particolare, mentre il giudice si può valere di una personale interpretazione della legge dettata dall’equità. Il sovrano nel concedere le dispense dovrebbe essere indotto a molta saggezza e moderazione dal timore di indebolire l’autorità delle leggi concedendole corrivamente senza validissimi motivi e dal timore di provocare invidie e indignazioni fra i cittadini favorendo in maniera parziale certuni a scapito di altri parimenti degni. Quando il sovrano ritiene necessario sospendere la validità delle leggi, non deve mai motivare tale sospensione con sottili e ipocriti cavilli. Tutte le dispense accordate dal sovrano concernono sempre soltanto il diritto positivo, e mai assolutamente il diritto naturale, la cui validità non potrebbe essere sospesa neppure dallo stesso Dio. Certo, vi sono leggi naturali la cui osservanza è più importante di quella di altre e la cui violazione è quindi crimine più grave. Ma tutte le leggi naturali hanno la medesima essenza sgorgando tutte dall’unica e santa volontà di Dio, e sono dunque tutte parimenti immutabili. Ora, giacché tutte le leggi naturali sono fondate sulla natura dell’uomo e giacché la natura dell’uomo rimane sempre la stessa, mi pare che ne risulti che Dio non possa mai dispensare da alcuna di esse senza contraddirsi e senza infrangere la perfezione delle sue disposizioni. Privilegio significa una distinzione utile od onorevole di cui godono certi membri della società e di cui invece non godono gli altri. Si danno più tipi di privilegi. 1. Vi sono i privilegi che si possono dire «inerenti» alla persona, derivanti da diritti di nascita o di condizione, come il privilegio di cui gode un pari di Francia o un membro del parlamento di non poter essere giudicato in materia criminale che dall’assemblea dei suoi eguali. L’origine di questo genere di privilegi è tanto più rispettabile quanto più risale alla notte dei tempi e non si trova stabilita da nessun decreto. 2. Vi sono privilegi accordati dal principe e registrati presso gli organi amministrativi competenti. Questo secondo tipo di privilegi si suddivide a sua volta in due specie, a seconda dei differenti motivi che hanno indotto il principe ad accordarli. I privilegi della prima specie si possono chiamare «privilegi di dignità». Sono quelli accordati a privati cittadini che abbiano reso qualche importante servigio, o a titolo di premio o per indurre a persistere nelle missioni intraprese: per esempio, il privilegio della nobiltà accordato gratuitamente a un plebeo o l’esenzione da una tassa o da un qualsiasi obbligo pubblico. Fra i privilegi di questa specie si possono distinguere tutti quelli che hanno per scopo unicamente quello di rendere più onorevoli le funzioni e le persone beneficiate e quelli che, pur sempre sotto l’apparenza dell’utilità dei servizi, sono stati accordati in cambio di un aiuto finanziario in situazioni di speciale e particolare bisogno. I privilegi della seconda specie si possono chiamare «privilegi di necessità». Sono quelle esenzioni particolari che non vengono accordate alla dignità delle persone e delle funzioni, ma alla mera necessità di mettere le persone in questione al riparo delle vessazioni da parte del pubblico cui le loro stesse funzioni li esporrebbero. Sono di questo genere i privilegi accordati agli esattori delle imposte e agli ufficiali giudiziari. Le esazioni cui sono costretti dal loro ufficio risultano naturalmente spesso odiose a coloro che ne sono oggetto. Perciò, se costoro avessero la possibilità di gravare gli stessi esattori di una parte delle spese pubbliche locali, li sovraccaricherebbero o li indurrebbero a patteggiamenti pregiudizievoli per l’equità dell’amministrazione. Il governo si deve regolare diversamente nei riguardi dei detentori di differenti specie di privilegi. Così, se un caso di urgente necessità politica obbliga per la salvezza dello Stato a sospendere i privilegi, i primi da cui si dovrà derogare saranno quelli per loro natura meno degni di prestigio e rispetto. In generale, a parte i privilegi, del resto poco numerosi, inerenti alla persona o alla funzione o condizione sociale, si dovranno soltanto riconoscere i privilegi accordati personalmente dal principe e debitamente registrati presso gli organi amministrativi competenti. Anche questi ultimi privilegi, comunque, devono restare limitati ai beneficiari esplicitamente enunciati nel titolo costitutivo. Altrimenti, se si seguisse la massima favores ampliandi, si andrebbe al di là dell’intenzione del legislatore sovraccaricando eccessivamente il resto dei cittadini. Sarebbe certamente desiderabile che i bisogni dello Stato e le necessità generali o particolari dei pubblici affari non si risolvano nella consueta moltiplicazione dei privilegi; sarebbe assai opportuno rivedere e riesaminare periodicamente con grande attenzione le origini precise di tutti i privilegi, per conservare in vigore solo quelli che risultassero effettivamente utili al principe e alla società. È giustissimo che la nobiltà, che ha il dovere di servire lo Stato nelle forze armate e di allevare i suoi figli per prepararli a questo compito goda di distinzioni particolari; ed è giustissimo che magistrati degni di speciale considerazione per l’estensione e l’importanza delle loro funzioni o giudici che presiedono i tribunali di rango più elevato godano di privilegi d’onore, i quali devono al contempo costituire la giusta ricompensa per i loro servigi e procurare quella tranquillità dello spirito e quella pubblica considerazione di cui hanno bisogno per espletare serenamente e validamente le loro funzioni. È vero che le esenzioni di cui godono costoro ricadono come un aggravio ulteriore sulla maggioranza dei cittadini, ma è anche giusto che questi cittadini, le cui occupazioni non sono né così importanti né tanto difficili a svolgersi, contribuiscano a ricompensare i cittadini di rango più elevato. È anche giusto e decoroso che le persone che hanno l’onore di servire il re nel servizio domestico e che si prendono cura della sua persona e le cui funzioni esigono assiduità, educazione e tratti raffinati partecipino in qualche modo della dignità del loro signore e non vengano confusi con gli ordini inferiori del popolo. Ma mi sembra che si dovrebbero sempre distinguere, in tutti questi casi, le persone i cui servigi sono reali ed effettivamente utili allo Stato, al principe, e alla società dalla gran massa dei profittatori. Insomma, non si dovrebbe avvilire il prestigio dei favori di cui godono le persone davvero degne confondendole in un unico mucchio con una quantità di gente inutile sotto tutti gli aspetti e che non può vantare altro titolo di merito che uno straccio di pergamena acquistato quasi sempre con poca spesa e senza fatica. Un ricco borghese senza nascita, senza educazione, senza qualità, così dovizioso che se fosse equamente tassato potrebbe pagare da solo la metà dell’imposta di tutta una parrocchia, acquista sovente per un importo pari a un anno o due delle sue tasse, o anche per meno, un incarico in un qualunque ufficio amministrativo. Eccolo dunque preposto a un magazzino pubblico del sale o titolare di una carica perfettamente inutile e quasi ignota al suo stesso signore presso il re o presso il principe. Oppure eccolo occupare un piccolo impiego nella burocrazia statale senza produrre niente di utile per la società, ma garantendosi privilegi ed esenzioni. Agli occhi del pubblico questo borghese profittatore si trova così equiparato, godendo degli stessi privilegi, alla nobiltà e alla grande magistratura. Mentre, per contro, il presidente di tribunale di una provincia, cioè di una corte che non è considerata «superiore», si trova confuso con il popolo per essere assoggettato alle stesse imposte e agli stessi pubblici gravami. Da questi abusi nella concessione dei privilegi nascono due gravissimi inconvenienti: il primo, che la parte più povera dei cittadini è sempre gravata di pesi superiori alle sue forze, mentre essa costituisce la parte della società più veramente utile allo Stato, coltivando la terra e procurando il sostentamento agli ordini superiori; il secondo, che i privilegi distolgono le persone dotate di valide qualità e di solida educazione dall’entrare nelle magistrature o nelle professioni che esigono lavoro e applicazione e fanno loro preferire quei piccoli incarichi e quei piccoli impieghi più favoriti nei quali per fare carriera e per imporsi al pubblico ci vogliono soltanto l’avidità, l’intrigo e la boria. Da queste riflessioni bisogna concludere ciò che è già stato osservato, che cioè sia i tribunali ordinari, incaricati dell’amministrazione di quel settore della giustizia che riguarda le imposte e i privilegi, sia quelli che per la loro condizione sono obbligati a vegliare sulla ripartizione particolare delle imposte e degli altri gravami pubblici non possono fare nulla di più conveniente e di più utile che usare il massimo di circospezione nell’estendere i privilegi, e anzi per quanto dipende da loro devono ridurli ai termini precisi ai quali sono stati accordati, in attesa che circostanze più felici consentano a coloro che sono incaricati di questa parte del ministero di ridurli solo a quelli strettamente e davvero utili. Questi funzionari, d’altra parte, conoscono spesso perfettamente il valore di questa massima. Ma la necessità di provvedere a recuperi o rimborsi immediati blocca sul nascere le loro aspirazioni riformatrici; e i bisogni pubblici, i vuoti di denaro che si presentano improvvisi e continui, li obbligano sovente non solo a rimandare ogni provvedimento risanatore, ma addirittura a renderne l’esecuzione ancora più difficile per il futuro. Da questo stato di cose è anche derivato che la nobiltà, la quale per se stessa è o dovrebbe essere la ricompensa più onorevole concessa dal sovrano in riconoscimento di importanti servigi o di qualità eccezionali, è stata prodigata a migliaia di famiglie i cui capi se la sono procurata con la sola spesa di somme, magari modeste, per comprare gli incarichi che comportavano il conferimento di un titolo nobiliare e la cui utilità per il pubblico era nulla, sia per mancanza di una funzione effettiva sia per mancanza di capacità. Questo articolo diverrebbe un volume, se gli elencassimo tutti questi titoli nobiliari, i caratteri particolari del loro conferimento e gli abusi di tutti questi privilegi. Così siamo stati costretti a limitarci agli aspetti più generali, più noti e meno contestati della questione. Privilegio esclusivo. Si chiama così il diritto che il principe accorda a una compagnia o a un individuo di esercitare un certo commercio o di fabbricare e vendere un certo tipo di merce a esclusione di tutti gli altri. Quando, con lo sviluppo delle scienze speculative della natura, le tecniche, che ne sono la naturale conseguenza, sortirono dall’oblio e dal disprezzo sotto cui le avevano sepolte i disordini dell’assetto sociale, venne giustamente spontaneo ricompensare i primi inventori o riscopritori per la tenacia e le capacità che li avevano condotti a realizzare imprese utili alla società e a loro stessi. La mancanza o la scarsezza di conoscenze tecniche e di capacità imprenditoriali obbligarono poi i magistrati ad affidare la fabbricazione e la vendita dei prodotti utili e soprattutto dei prodotti di prima necessità solamente a persone capaci di soddisfare i desideri degli acquirenti. Così nacquero i privilegi esclusivi. Sebbene vi sia un’enorme differenza tra l’attività di una fabbrica importante e quella di un solo artigiano che lavora a un comune telaio, tra l’attività di una compagnia di commercio e quella di uno smercio in bottega; e sebbene tutti avvertano la sproporzione che c’è fra imprese così differenti per la loro estensione, bisogna tuttavia convenire che la differenza, per quanto grande, è solo quantitativa, e che, benché vi siano dei punti in cui i diversi tipi di commercio e di industria si allontanano gli uni dagli altri, ve ne sono anche di quelli in cui si incontrano, e hanno almeno in comune il fatto di contribuire tutti al bene generale dello Stato. Da questa osservazione consegue che per certi aspetti si possono radunare sotto lo stesso punto di vista per prescrivere loro delle regole, o piuttosto perché il governo ne prescriva a se stesso sulla maniera di proteggerli e di renderli più utili. Originariamente si accordano a compagnie in grado di anticipare le spese e di sopportare i rischi privilegi esclusivi per certi commerci con l’estero che esigevano un impianto al quale semplici privati da soli non potevano provvedere. Si possono anche considerare privilegi esclusivi i titoli di maestro artigiano obbligatori per esercitare anche i mestieri più ordinari e che si acquistavano e si acquistano ancora nelle città solo dopo avere fornito in un periodo di apprendistato prove di conoscenza del mestiere e di abilità. Si imposero a questi differenti corpi regolamenti che stabilivano rigide condizioni di ammissione e che escludevano quanti non potevano o non volevano sottomettersi ad esse. I mestieri più umili e più facili furono inglobati nel sistema generale, e nessuno che non fosse maestro fornaio o maestro calzolaio poté più vendere pane o scarpe. Il governo considerò ben presto come privilegi i regolamenti che accordavano questi diritti esclusivi e ne trasse partito per sovvenire in caso di necessità ai bisogni dello Stato. Così, alle successioni di un re all’altro si fecero pagare a queste corporazioni diritti di conferma del privilegio; si imposero tasse alle corporazioni, tasse che per essere pagate obbligarono le corporazioni ad accendere dei mutui e quindi a legarsi ancora di più al governo. Il governo, per garantirsi la riscossione delle imposte, incoraggiò le corporazioni a far valere i loro diritti esclusivi, a non ammettere nuovi membri se non dietro pagamento di una quota di ammissione e di spese di entrata, a maggiorare il prezzo dei servizi e delle merci prodotte. Così, ciò che in origine era stato stabilito per schiette considerazioni di utilità divenne un abuso. Uomini che senza tanti impacci e spese avrebbero potuto guadagnarsi la vita esercitando dappertutto indifferentemente un mestiere che potevano apprendere facilmente non ebbero più la libertà di farlo. E siccome le corporazioni delle arti e mestieri sono istituite nelle città, dove di solito i giovani non riuscivano a entrare in queste corporazioni, furono costretti ad arruolarsi nell’esercito o, peggio ancora, a ingrossare la folla straordinaria dei servitori, che costituiscono la categoria più inutile e più costosa per lo Stato. Il pubblico per parte sua fece le spese tanto dell’aumento del prezzo delle merci, quanto di quello della mano d’opera: si fu costretti a pagare tre lire e dieci un paio di scarpe fatte da un maestro artigiano, che si sarebbero pagate molto meno comprandole da un operaio che ci avrebbe messo solo il cuoio e il suo lavoro. Estendendosi le conoscenze, l’industria e i bisogni, tutti questi inconvenienti si sono fatti sentire, e si è cercato di porvi rimedio, per quanto la situazione degli affari pubblici lo ha consentito. I privilegi esclusivi per le compagnie commerciali sono stati ristretti alle imprese di maggior importanza nazionale e che esigevano impianti troppo costosi anche per parecchi privati riuniti in associazione, mentre le loro finalità interessavano troppo da vicino la politica del governo per essere affidate indifferentemente al primo venuto. Press’a poco gli stessi criteri sono stati adottati per le nuove manifatture. Sono state respinte le domande, assai frequenti, che presentavano progetti pretenziosi per sedicenti novità, ma che non avevano in realtà nessuna originalità o riguardavano prodotti che potevano essere forniti altrimenti. La protezione statale è stata accordata solo a quelle imprese che la meritavano per la loro singolarità e utilità. Sarebbe molto desiderabile che questi saggi criteri venissero estesi anche alle attività di minore importanza: che tutti gli uomini dotati di capacità, di ingegno e di industriosità potessero fare libero uso delle loro qualità senza essere assoggettati a formalità e spese che non contribuiscono in nessun modo al bene pubblico. Se un operaio tenta, senza esserne ancora del tutto capace, di fare un pezzo di tela o di panno, e lo fa male (cosa che avverrebbe anche se fosse maestro), lo venderà a minor prezzo, ma riuscirà a venderlo e non avrà così perso del tutto la materia prima impiegata e il suo tempo, e imparerà a fare meglio attraverso i primi tentativi e i primi insuccessi. Quante più persone lavoreranno tanto più l’emulazione o piuttosto la voglia di successo faranno emergere l’ingegno e il talento. La concorrenza migliorerà i prodotti e diminuirà il prezzo della mano d’opera, le città e le province si riempiranno allora di operai e di mercanti, e i mercanti riuniranno i prodotti, ne faranno la cernita, gradueranno il prezzo secondo la qualità, li venderanno nei luoghi più convenienti, verseranno anticipi agli operai e li aiuteranno nei loro bisogni. Da questo gusto del lavoro e dalle piccole manifatture disperse nascerebbero un aumento della circolazione del denaro e delle attività produttive e uno sfruttamento costante delle capacità, delle forze e del tempo. I privilegi esclusivi di ogni tipo sarebbero ridotti alle sole imprese che, per la natura della loro produzione e per le loro dimensioni, fossero al di sopra delle risorse dei privati e soprattutto riguardassero oggetti di lusso e di non assoluta necessità. […] |