I Sacrifici Umani in Israele – Parte I

Studi BibliciNella storia generale delle religioni si è spesso sostenuto che la vittima animale fosse il sostituto della vittima umana e che, nello sviluppo storico, il sacrificio umano abbia preceduto quello animale. Questa teoria non può più essere sostenuta ora. Se ci si attiene a ciò che è veramente un sacrificio, vale a dire l’uccisione di un essere umano non solo nel corso di una qualsiasi manifestazione religiosa o solamente in un luogo sacro, ma, in modo specifico come vittima offerta alla divinità, il sacrificio umano appare a malapena nelle religioni definite «primitive». Al contrario, la pratica si sviluppa presso quei popoli che hanno raggiunto un certo livello di cultura.

 I Sacrifici Umani in Israele – Parte I

De Vaux

I Sacrifici Umani in Israele

Traduzione dall’originale francese a cura della Redazione di Esonet

 

Prologo

Nella storia generale delle religioni si è spesso sostenuto che la vittima animale fosse il sostituto della vittima umana e che, nello sviluppo storico, il sacrificio umano abbia preceduto quello animale. Questa teoria non può più essere sostenuta ora.

Se ci si attiene a ciò che è veramente un sacrificio, vale a dire l’uccisione di un essere umano non solo nel corso di una qualsiasi manifestazione religiosa o solamente in un luogo sacro, ma, in modo specifico come vittima offerta alla divinità, il sacrificio umano appare a malapena nelle religioni definite «primitive». Al contrario, la pratica si sviluppa presso quei popoli che hanno raggiunto un certo livello di cultura. (1)

Questa conclusione generale è valida per la società semitica alla quale restringiamo le nostre ricerche: il sacrificio umano è attestato più chiaramente nelle società relativamente evolute e prospere dal punto di vista materialistico ma moralmente decadenti: la Fenicia e Cartagine. (2)

Vedremo dapprima qual è stata la pratica dei popoli vicini ad Israele, poi indagheremo se sacrifici umani sono stati offerti dagli Israeliti e se sono mai stati considerati legittimi.

Infine affronteremo il problema specifico dei sacrifici a «Moloch».

 

I Sacrifici dell’Antico Testamento
Sacrifici Umani al di fuori di Israele

I. L’Arabia preislamica (3)

È necessario innanzitutto tralasciare un testo che la storia delle religioni ha utilizzato a lungo con troppa indulgenza. Si tratta del racconto autobiografico attribuito a San Nil, presunto eremita sul Sinai nel IV – V secolo dopo Cristo. (4) Egli racconta che suo figlio fu preso prigioniero dai Saraceni. Costoro decisero di offrirlo in sacrificio alla Stella Mattutina (la dea al ‘Uzza), come avevano l’abitudine di fare con la bella gioventù che catturavano.

Tutto era pronto, l’altare, la legna, la spada, ma i barbari si svegliarono troppo tardi: la stella, la cui presenza era necessaria, era scomparsa e il giovane uomo fu salvato.

L’autore spiega inoltre che in mancanza di vittime umane, i Saraceni immolavano un cammello che divoravano crudo, senza lasciar nulla, prima che il sole sorgesse.

È su questo testo che Robertson Smith ha basato la sua teoria del sacrificio semitico (5).

Ebbene, tutto questo racconto è un romanzo che non ha alcun fondamento storico (6) e la sua descrizione del sacrificio è contraddetta da quasi tutto quello che conosciamo sui riti degli antichi Arabi (7) attraverso altre fonti.

Sull’esistenza del sacrificio umano in Arabia non si fa riferimento che in un solo testo epigrafico e la cui interpretazione è dubbia. In un’iscrizione lihyanite anteriore alla nostra era, tre personaggi consacrano uno schiavo che gli appartiene alla divinità. I primi editori spiegano che lo schiavo è stato immolato (8). Tale interpretazione non è assolutamente esclusa, ma è molto più probabile che si tratti semplicemente di uno schiavo dedito al servizio del tempio (9).

Le uniche testimonianze che si possono prendere in considerazione sono di carattere letterario.

Le enuncio in ordine cronologico.

Secondo Porfirio, nel III secolo, gli abitanti di Douma sacrificavano ogni anno un bambino che seppellivano sotto l’altare (10).

Secondo Isacco d’Antiochia, nel V secolo, gli Arabi del deserto della Siria, dopo aver conquistato Beth-Hur sull’Eufrate, immolarono numerosi ragazzi e ragazze alla dea Kaukabta (al –‘Uzza) (11).

Nel VI secolo, il Lakhmide Mundhir III si impadronì di Emèse e si dice che abbia offerto quattrocento religiose alla stessa dea. Dopo aver rapito, durante una razzia, il figlio del suo nemico, il Ghassanide Harith, sacrificò anche lui alla dea al –‘Uzza (12).

C’erano nei pressi di Kufa due stele chiamate Gharîyâni, «le due stele unte di sangue». Secondo la leggenda sarebbero state erette da Mundhir che le ungeva con il sangue delle vittime umane (13).

A La Mecca una tradizione leggendaria affermava che il nonno di Maometto avesse fatto voto di sacrificare uno dei suoi figli quando fosse nato il diciassettesimo. Dopo la nascita del diciassettesimo figlio, fu sorteggiato il nome della vittima e fu designato il padre di Maometto, il quale fu però riscattato da un’offerta di cento cammelli.

Sempre a La Mecca, agli albori dell’Islam, una donna aveva fatto voto di sacrificare il figlio che aspettava. Le fu consigliato di offrire al suo posto cento cammelli, ma il governatore di Medina dichiarò il voto privo di validità (14).

Non si ha alcuna traccia di sacrifici umani in tutta l’Arabia del Sud. Per quanto riguarda l’Arabia del Nord, abbiamo citato tutti gli esempi degni di essere presi in considerazione: sono rari e le attestazioni tardive. Sono localizzati nelle regioni di confine ( i Lakhmides di Hira, gli Arabi del deserto della Siria) e nei luoghi di sosta delle vie commerciali (Douma e La Mecca).

Inoltre bisogna tener presente che per Mundhir e gli Arabi del deserto della Siria (e nella storia dello pseudo-Nil) si tratta di prigionieri di guerra. Riguardo ai due casi a La Mecca, si può solo concludere che l’idea del sacrificio umano non era sconosciuta agli albori dell’Islam ma la pratica era condannata.

Vedremo che presso i Cananei, in cui il sacrificio umano è più accertato, esso è legato ad un culto della fertilità.

Sembra quindi che esso sia stato praticato inizialmente presso le civiltà agricole e che sia penetrato solo in seguito e tardivamente in Arabia, dove è circoscritto alle regioni e ai centri maggiormente a contatto con l’esterno (15).

2. La Mesopotamia

L. Woolley ha scoperto ad Ur sedici tombe «reali», in cui il defunto era stato seppellito con un corteo, a volte numeroso, di guardie, servitori e donne.

Alcuni studiosi hanno suggerito l’ipotesi di un rito, i cui partecipanti, dopo aver rappresentato il matrimonio sacro del dio, erano dati in sacrificio per propiziare la fertilità (16).

Tale ipotesi è stata confutata efficacemente da Woolley, ma lui stesso vi ravvisa dei sacrifici umani offerti al defunto re divinizzato (17). Si potrebbe obiettare che una delle tombe è quella della regina Shubad, la quale non fu sicuramente divinizzata. Inoltre non è stato provato che tutte le altre tombe siano state tombe reali.

L’interpretazione più verosimile è che il defunto abbia voluto mantenere, o che abbia voluto mettere, al suo servizio nell’oltretomba il personale che aveva avuto mentre era in vita (18).

D’altra parte non ci sono prove sicure che il sacrificio umano sia mai stato praticato in Mesopotamia. Eppure si è voluto trovare un esempio storico: Assurbanipal affermò di aver ucciso gli assassini del nonno Sennachérib «come suo sacrificio funerario» (19).

Malgrado certe resistenze (20), l’espressione deve essere presa in senso figurato: la condanna degli assassini, compiuta nello stesso luogo in cui era stato commesso il crimine, è comparata ad un’offerta funeraria presentata al defunto (21).

È stato anche addotto come pretesto ciò che impropriamente viene definito «sacrificio di sostituzione».

La malattia era considerata come il risultato della vendetta degli dei o della cattiveria dei demoni. Per allontanarla si prendeva un animale che rappresentava il puhu , il vicario, o il dinânu , il sostituto del malato, e l’animale era immolato da un sacerdote esorcista, con l’accompagnamento di formule magiche.

Ecco un esempio:

«L’agnello è il sostituto dell’uomo,

egli ha donato l’agnello in cambio della sua vita,

egli ha donato la testa dell’agnello in cambio della testa dell’uomo,

egli ha donato il collo dell’agnello in cambio del collo dell’uomo,

egli ha donato il petto dell’agnello in cambio del petto dell’uomo» (22).

L’animale è consegnato come vittima al demone affinché costui si allontani dall’uomo: si tratta di un atto di magia, non di un sacrificio (23).

In ogni caso non può essere considerata come la forma attenuata di un sacrificio umano in cui una vittima animale prenderebbe il posto di una vittima umana, poiché è all’offerta che l’animale è sostituito (24).

Non si può assolutamente vedere un sacrificio, ancor meno l’equivalente di un sacrificio umano, in un rito che è menzionato in alcuni trattati di vassallaggio.

Nel trattato che Assurnirari VI d’Assiria impone a Mati’ilu d’Arpad (25), viene portato e squartato un montone:

«Questa testa non è la testa del montone, è la testa di Mati’ilu, dei suoi figli, dei suoi grandi, del popolo del suo paese. Se il suddetto viene meno a questo trattato, nello stesso modo in cui la testa di questo montone viene mozzata…, così sia mozzata la testa del suddetto. Questa coscia non è la coscia del montone, è la coscia del suddetto, ecc.».

Non si tratta di un sacrificio (26), il testo lo afferma esplicitamente in alcuni versi prima: «Questo montone non viene portato in sacrificio…., ma per la conclusione del trattato».

Si tratta di un rituale magico destinato a prevenire la violazione del trattato (27).

Tale interpretazione diviene evidente se la si compara al trattato che Bar-Ga’aya di KTK impose allo stesso Mati’ilu e del quale sono state ritrovate tre recensioni frammentarie in aramaico (28).

Secondo una delle quali, una statuetta di cera – «è Mati’ilu» – viene bruciata: «che così bruci Mati’ilu»; poi un vitello viene fatto a pezzi: «che così sia fatto a pezzi Mati’ilu» (29).

Nella corrispondenza reale d’Assiria numerose lettere, tutte risalenti, sembra, al regno di Assarhaddon, menzionano un «sostituto reale» o un «sostituto del re», il quale per un certo periodo prendeva il posto, gli attributi e i poteri del vero re (30).

Mettendo in relazione questi testi alla festa babilonese e persiana dei Sacei e alla teoria di Frazer sul carattere magico del re e del culto di un dio morente, Ebeling aveva spiegato che, ogni anno in occasione della festa dell’Anno Nuovo, si regalava al re un sostituto che veniva condannato a morte per assicurare il rinnovamento della vita del re e la prosperità del paese (31).

Tale ipotesi è stata respinta in seguito ad una migliore comprensione di questi testi (32) e alla pubblicazione di un rituale, sfortunatamente molto frammentario, che riguarda il sostituto del re (33).

È ora assodato che la pratica non era annuale e non aveva nulla a che fare con i riti della fertilità: quando si presentavano dei presagi particolarmente sfavorevoli come un’eclisse lunare o solare, un sostituto esercitava ostensibilmente il potere reale per allontanare dal re e attirare su di sé il pericolo preannunciato dai presagi. Una volta che il periodo critico passava il vero re riprendeva le sue funzioni.

Resta un’incertezza sulla sorte del sostituto alla fine del suo regno fittizio. In generale si è concordi nell’affermare che veniva ucciso.

Un’unica lettera, in verità, parla della morte del sostituto reale e lo fa in termini che lasciano intuire – o che indicherebbero più una morte naturale per malattia o per caso.

Tuttavia il rituale pubblicato di recente afferma: «l’uomo che è stato offerto come sostituto del re morirà…e i cattivi presagi non colpiranno il re» (34).

Ciò potrebbe suggerire che il sostituto sia stato giustiziato.

Il testo però dice «morirà» e non «sarà condannato a morte». È quindi possibile che non si riferisca ad un’azione rituale che doveva essere adempiuta ( le azioni prescritte dal testo sono enunciate alla seconda persona ), ma ad un’eventualità, al risultato che ci si aspettava da questo rituale.

Concorderebbero così le lettere riguardanti il sostituto reale in cui ritorna spesso l’espressione: «che vada al suo destino».

È la minaccia pesante sul re trasferita al suo sostituto: se costui fosse morto di malattia o per caso, il re si sarebbe salvato. Se il sostituto non fosse deceduto durante il periodo in cui i presagi erano minacciosi, un periodo che poteva durare fino a cento giorni, secondo una delle lettere, il pericolo corso dal re era quindi ben lontano e non vi era più alcuna ragione di desiderare – o di causare- la morte del sostituto.

Questa interpretazione sembra compatibile con tutti i testi che possediamo. Tuttavia, anche nel caso in cui fosse dimostrato che il sostituto del re veniva ammazzato, non si dovrebbe definire questa azione magica sacrificio umano.

Infine, alcuni contratti assiri del VII secolo avanti Cristo contengono una singolare clausola penale.

Oltre ad un’ammenda d’argento e d’oro, colui che viola il contratto «brucerà il figlio maggiore nell’area sacra di Adad» (35), oppure «brucerà per Bélit-sèri sia il primogenito, sia la primogenita con un imer di buone piante aromatiche» (36), oppure

«brucerà il figlio in onore di Sin, la primogenita in onore di Bélit-sèri con un pa-nu di cedro». (37)

È stato suggerito di dare a sarapu, «bruciare», un significato più tenue: si tratterebbe di dedicare il bambino alla divinità attraverso un rito del fuoco.

Si è anche pensato che questa clausola non sia mai stata applicata poiché il suo rigore

impediva che il contratto fosse violato. (38)

Alcuni invece vi individuano dei sacrifici umani in cui la vittima veniva bruciata e li accomunano ai sacrifici di Moloch, che studieremo più avanti. (39)

L’ultima soluzione è la più verosimile. Si ricorderà dunque che quei contratti risalgono appunto al periodo in cui i sacrifici di bambini al rogo, che arrivavano dalla Fenicia, vennero introdotti in Israele.

Questa pratica eccezionale in Mesopotamia rileva la stessa influenza.

Probabilmente tale interpretazione vale anche per le due iscrizioni del palazzo di Kapara (X secolo) a Tell Halaf nell’Alta Mesopotamia: se qualcuno oscurerà il nome reale, sette dei suoi figli saranno bruciati dinanzi a Adad. (40)

3. La Fenicia

In effetti, è proprio in Fenicia , e generalmente in ambiente cananeo , che si rintracciano le attestazioni più chiare.

È necessario innanzi tutto eliminare alcune testimonianze che sono state invocate a torto. Gli archeologi palestinesi della generazione precedente hanno spesso parlato di

«sacrifici di bambini», seppelliti in giare con delle oblazioni funerarie; di «sacrifici di fondazione» di bambini ed adulti tumulati contro o sotto le mura di una casa o di un edificio. (41)

Come regola generale, o forse assoluta, le sepolture di bambini appena nati collocati sotto il terreno delle case o raggruppati in uno spazio libero corrisponde alla pratica comune di inumare presso il focolare i bambini morti in tenera età.

Quanto ai bambini o agli adulti tumulati sotto o contro la base di una costruzione, bisognerebbe stabilire se l’inumazione sia stata contemporanea alla costruzione e non anteriore o posteriore. Le indicazioni stratigrafiche dei rapporti degli scavi non sono sempre sufficienti per determinarlo, ma, nella grande maggioranza dei casi, si può concludere che il seppellimento non sia stato fatto come fondamenta dell’edificio.

Alcuni casi, tuttavia, possono essere discussi. A Tell el Fâr’, presso Naplouse, abbiamo trovato, contro la facciata della porta del Medio Bronzo e più in basso delle fondamenta, una giara contenente lo scheletro di un neonato e, accanto alla giara, la sepoltura di un altro neonato in una nicchia aperta alla base delle murature della porta. Ho ipotizzato che questi neonati siano stati vittime di un sacrificio di fondazione. (42)

Restano dei dubbi: la prima tomba sembra essere in relazione piuttosto ad un livello del Medio Bronzo anteriore alla costruzione della porta, la seconda può essere stata sistemata togliendo delle pietre dalla porta già costruita.

Rimane per la Palestina un’attestazione letteraria. Quando sotto il regno di Acab, Chiel di Betel ricostruì Gerico, «gettò le fondamenta sopra Abiram suo primogenito e ne innalzò le porte sopra Segub suo ultimogenito» (43).

Può trattarsi di sacrifici di fondamenta e il testo è stato sovente interpretato in tal senso. Ma può semplicemente voler dire che durante la ricostruzione di Gerico, Chiel perse due dei suoi figli e ciò fu spiegato come l’avverarsi di un’antica maledizione pronunciata da Giosuè (44).

Se si tratta effettivamente di sacrifici di fondamenta, l’influenza fenicia, dominante durante il regno di Acab, potrebbe renderne conto.

I versi di Râs Shamra descrivono una scena che ha un’attinenza certa con un culto della fertilità. La dea Anat, per riportare in vita Baal e per propiziare il ritorno della pioggia e dell’abbondanza, si impossessa del dio Môt, lo fa a pezzi con la spada, nella maniera in cui si tagliano le spighe, lo vaglia, così come si fa col grano, lo arrostisce, lo macina al mulino e sparge i suoi resti nei campi dove gli uccelli li mangeranno nello stesso modo in cui becchettano il grano che è stato seminato (45).

Potrebbe essere l’interpretazione mitica del rinnovamento annuale della vegetazione, oppure la trasposizione mitologica di un rito che si rinnovava nel culto: un sacrificio umano per assicurare la fecondità.

Che si tratti di questo sembra essere comprovato dalla storia dei discendenti di Saul, giustiziati dai Gabaoniti, II Sam ., XXI, 1-14. (46)

Tale esecuzione è un atto religioso legato alla fertilità: tenuta «davanti al Signore», v. 6, essa è successiva ad una lunga siccità che ha provocato la carestia, v.1, ha luogo durante la mietitura, v.9, essa porta la pioggia, v.10, cfr. v. 14.

Secondo il testo si tratta di un’espiazione per il sangue dei Gabaoniti versato per opera di Saul ed è un modo di allontanare la maledizione che pesa su Israele. Ma la cosa importante per noi è la maniera in cui i Gabaoniti esercitano questa vendetta del sangue: le vittime sono smembrate o slogate (47) davanti al Signore. I loro corpi o le loro membra restano esposti e Rizpa impedisce agli uccelli di posarsi su di loro. Ritroviamo qui gli elementi principali del testo di Râs Shamra. I Gabaoniti non sono israeliti. Essi discendono dall’antica popolazione dei Cananei: con il consenso di Davide hanno praticato un rito cananeo della fertilità.

Le testimonianze più attendibili riguardo ai fenici si riferiscono ai sacrifici di bambini.

Ne parleremo a lungo a proposito dei sacrifici che, a loro imitazione, furono offerti in Israele.

Aggiungiamo qui un fatto che non riguarda i Cananei ma i vicini immediati di Israele: i Moabiti.

Il re Mesa, assediato nella sua capitale dagli Israeliti, offre suo figlio in olocausto sulle mura, II Rois , III, 27. Il testo sottolinea il carattere eccezionale di tale sacrificio: gli Israeliti, atterriti da tale spettacolo, fuggirono immediatamente (48).

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(1) E. Westermarck, Origin and Development of the Moral Ideas, 1906-1908, I, p.436: «La pratica del sacrificio umano non può essere considerata come caratteristica dei popoli selvaggi. Al contrario, essa è molto più frequente fra le popolazioni barbariche e semi civilizzate piuttosto che tra i veri selvaggi. Essa è quasi sconosciuta nelle civiltà meno progredite».

(2) J. HENNINGER, Über Menschenopfer bei den vorislamiscen Arabern, in Akten des vierundzwanzigsten internationalen Orientalisten-Kongresses, 1957. München, 1959, pp. 244-246.

(3) Cfr. in particolare J. HENNINGER, bei den Arabern, in Anthropos, LIII, 1958, pp. 721-805, la cui comunicazione citata nella nota precedente riassume le conclusioni.

(4) MIGNE, P. G ., LXXIX, col. 583-694.

(5) The Religion of the Semites, 2ª ed. 1894, passim. Cfr. M.-J. LAGRANGE, Études sur les religions sémitiques , 1905, pp.257-259.

(6) Cfr. R. DEVREESSE, in Vivre et Penser, I (= RB , XLIX), 1940, pp. 220-222.

(7) J. HENNINGER, Ist der sogenannte Nilus-Bericht eine brauchbare religions-geschichtliche. Quelle? In Anthropos, L, 1955, pp. 81-148.

(8) A. JAUSSEN e R. SAVIGNAC, Mission Archéologique en Arabie, II, 1914, n° 49, cfr., pp. 381-382.

(9) W. CASKEL, Lihyan und Lihyanisch, 1954, p. 48; J. HENNINGER, Menschenopfer…. p. 745 e n.73.

(10) PORFIRIO, De Abstinentia, II, 56, riproposto da EUSEBIO, Praep. Ev . (ed. MRAS), IV, 16, 8.

(11) Citato da J. WELLHAUSEN, Reste arabischen Heidentums, 1897, p. 40.

(12) PROCOPE DE GAZA, De Bello Persico, II, 28, 13; ZACHARIE LE RHÉTEUR, VIII, 5 (LAND, Anecdota Syriaca, III, p. 247; trad. HAMILTON e BROOKE, pp. 206-207); MICHEL LE SYRIEN, IX, 16 (trad. CHABOT, II, pp. 178-179). Cfr. WELLHAUSEN, Reste ….., pp. 43 e 115; R. DEVREESSE, Vivre et Penser, II ( = RB , LI), 1942, pp. 281 e 294 ; R. AIGRAIN, art. Arabie in Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques , col. 1227.

(13) La tradizione ha diverse forme, cfr. WELLHAUSEN, Reste …..,p. 43; G. ROTHSTEIN,, Die Dinastie der Lahmiden in el-Hîra ,1899, pp. 141-142: R. AIGRAIN, art. Arabie, col.1229.

(14) WELLHAUSEN, Reste.., p. 116; J. CHELHOD, Le sacrifice chez les Arabes, 1955, pp. 97-98 ; M. GAUDEFROY-DEMOMBYNES, Mahomet, 1957, p. 57.

(15) Sono le conclusioni di Henninger, che si aggiungono a quelle già formulate da Th. NÖLDEKE in Enciclopaedia of Religion and Ethics, I, 665 b; cf. anche M. GUIDI, Storia e Cultura degli Arabi fino alla morte di Maometto, 1951, p.138.

(16) S.SMITH, Journal of the Royal Asiatic Society, 1928, pp. 849-868; F. M. T DE LIAGRE BÖHL, Das Menschenopfer bei den alten Sumerer, in ZA , XXXIX, 1929, pp. 83-89, riproposto nella sua Opera Minora, 1953, pp. 163-173.

(17) L. WOOLEY, Ur Excavations, II. The Royal Cemetery , 1934, pp. 33-42

(18) N. SCHNEIDER, Die Religion der Sumerer, in Fr. KÖNIG (ed), Christus und die Religionen der Erde, II, 1952, pp.434-435. Woolley stesso riconosceva che il termine «sacrificio» è improprio e suggerisce alla fine una spiegazione che è molto vicina alla nostra, l.c., pp. 41-42. Si possono raffrontare due testi dell’epoca assira, entrambi d’interpretazione discutibile: un « sostituto del re» (cf.r. qui sotto) è accompagnato nella morte dalla sua « dama di palazzo» (HARPER, Assyrian and Babylonian Letters, n° 437); secondo un rituale per i funerali del re , la « promessa sposa», la « dama di palazzo» viene murata nella tomba ( E. EBELING, Tod und Leben nach den Vorstellungen der Babylonier, I, 1931, n° 14; cfr W. VON SODEN, ZA, XLV , 1939, pp. 42-61; Ed. DHORME, RA XXXVIII , 1941, pp.57-66). Ma non si può dare ascolto a H. FRANKFORT, per il quale le tombe d’Ur sono quelle dei « sostituti dei re», messi a morte con il loro seguito, Kingship and the Gods , 1948, pp.264 e 400, n.12.

(19) Cylindre Rassam, IV, 70-73.

(20) In particolare Ed. DHORME, RHR, CVII, 1933-ª p. 115.

(21) Cf. G. FURLANI, Il Sacrificio nella religione dei Semiti di Babilonia e Assiria, 1932, pp. 147-149. Tanto più che il termine usato, kispu, designa propriamente l’offerta alimentare ai defunti.

(22) Serie Utukki Limnûti, CT, XVII, pl. VI, III, 15 .

(23) Così FURLANI, l. c ., pp. 113-114; in opposizione a Ed. DHORME, l . c., pp. 110-111.

(24) I casi dei sacrifici punici, che studieremo più avanti, sono completamente diversi: qui l’agnello sostituisce la vittima umana.

(25) E. F. WEIDNER, AfO, VIII, 1932-1934, pp. 17-26.

(26) Contro Ed. DHORME, l. c., pp. 112-113.

(27) Così G. FURLANI, l. c., pp. 181-182.

(28) A. DUPONT-SOMMER e J. STARCKY, Une inscription araméenne inédite de Sfiré (Stele III), in Bulletin du Musée de Beyrouth, XIII, 1956, pp. 23-41 ; ID., Les inscriptions araméennes de Sfiré (Stele I e II), in Mémoires présentés par divers savants à l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres , XV, 1958, pp. 197-351.

(29) Stele I, A, ll. 36-40.

(30) Cfr, in particolare R. LABAT, Le sort des substituts royaux en Assyrie , in RA , XL, 1945-1946, pp. 123-142 ; R. GOOSSENS, Les substituts royaux en Babylonie, in Ephemerides Theologicae Lovanienses, XXV,1949, pp. 383-400, in cui si troverà la bibliografia anteriore.

(31) E. EBELING, Tod und Leben…, pp. 62-63.

(32) L’ultimo lavoro è quello di W. VON SODEN, Beiträge zum Verständniss der neuen-assyrischen Briefe über die Ersatzkönigsriten , in Festschrift…Christian, 1956, pp. 100-107.

(33) W. G. LAMBERT, A Part of the Ritual for the Substitute King , in AfO , XVIII, 1957, pp. 109-112.

(34) LAMBERT, l. c., col. A, 6-7.

(35) TCL, IX, 57, tradotto in J. KOHLER e A. UNGNAD, Assyrischen Rechtsurkunden, n° 41. Cfr. C. H. W. JOHNS, Assyrian Deeds and Documents, n° 632 = KOHLER- UNGNAD, n° 160.

(36) JOHNS, n° 310 = KOHLER- UNGNAD, n° 158.

(37) JOHNS, n° 436 = KOHLER- UNGNAD, n° 163, cfr. JOHNS, n° 474 = KOHLER- UNGNAD, n° 96ª

(38) JOHNS, l. c., III, pp. 345-346.

(39) G. FURLANI, l. c., p. 171.

(40) B. MEISSNER, Die Keilschrifttexte aus dem Tell Halâf, in Festschrift M, von Oppenheim, 1933, testi II e III, pp. 72-75.

(41) In particolare, L.-H. VINCENT, Canaan d’après l’exploration récente , 1907, pp. 188-200. Oggigiorno gli archeologi sono molto più prudenti ma l’antica convinzione persiste presso alcuni biblisti, così W. EICHRODT, Teologie des Alten Testament, 1959, p.88.

(42) Sono le tombe J e K, RB, LVIII, 1951, pp. 401-403.

(43) 1 Re , XVI, 34.

(44) Gs., VI, 24. Anche, in ultimo luogo, O. EISSFELDT, art. Menschenopfer in Religion in Geschichte und Gegenwart, 1960, col. 868. L’attinenza letteraria tra i due brani biblici è d’altronde complessa, cfr. M. NOTH, Palästinajahrbuch, XXXI, 1935, p. 27; ID., Das Buch Josua, 1953, p. 41.

(45) I AB, II, 30-37 = GORDON n° 49. La traduzione degli ultimi tre versi è oppugnabile. Si tratta sicuramente di uccelli che mangiano o non mangiano la carne o i resti di Môt.

(46) Il parallelo è stato stabilito da H. CAZELLES, David’s Monarchy and the Gibeonite Claim, in PEQ, 1955, pp. 165-175. Già R. DUSSAUD l’aveva suggerito senza sfruttarlo, RHR, CIV, 1931-B, p. 392.–A. S. KAPELRUD, King and Fertility. A Discussion of Sam., 21: 1-14, in Interpretationes ad Vetus Testamentum pertinentes ( Festschrift Mowinckel), 1955, pp. 113-122; cf. ID., King David and the Sons of Saul, in The Sacral Kingship ( Congresso di Roma), Supplemento IV a Numen, 1959, pp.294-301, ha riconosciuto il carattere rituale dell’esecuzione ma non ha visto il legame con il testo di Râs Shamra. La sua interpretazione va oltre l’obiettivo : egli spiega che, per far cessare la carestia , doveva essere versato del sangue reale. Non poteva trattarsi del sangue di Davide, ma c’era la famiglia di Saul: con un pretesto, probabilmente inventato, fu tradita. Davide si adattò alle idee dei suoi sudditi cananei e nello stesso tempo si sbarazzò di possibili avversari.

(47) Lo stesso verbo inconsueto è utilizzato ne Nomb., XXV, 4 per un castigo espiatorio e la forma semplice si trova in Gen., XXXII, 26: l’anca di Giacobbe è slogata.

(48) Il significato della fine del verso è oscuro. L’interpretazione da me suggerita nel fascicolo dei Rois della Bibbia di Gerusalemme è troppo debole. In base ai confronti, la “grande ira” piombata sugli israeliti è l’ira divina, e di solito l’ira di Kemash, poiché è a lui che il sacrificio è stato offerto: gli israeliti persuasi dell’efficacia di tale straordinaria oblazione si sottraggono alle sue conseguenze.