Per amore di Dio

Domande e Risposte…quindi, siccome C. G. Jung ha emesso una “diagnosi irrevocabile”, ogni sua parola o… delirio (di Paolo di Tarso n.d.a.) è da rigettare…
Rispetto la tua opinione ma non la condivido… Ad ogni buon conto, terrò in considerazione la tua raccomandazione…

Per amore di Dio

di Athos A. Altomonte

D: …quindi, siccome C. G. Jung ha emesso una “diagnosi irrevocabile”, ogni sua parola o… delirio (di Paolo di Tarso n.d.a.) è da rigettare…
Rispetto la tua opinione ma non la condivido… Ad ogni buon conto, terrò in considerazione la tua raccomandazione…, rinnovandoti gli auguri, A.

R: Rispetto le opinioni anche se m’interessano di più le verità. E in mancanza di una visione diretta, opto per la verità più prossima, e non approssimativa, dove può giungere il massimo impegno del ricercatore, evitando i sentito dire: l’ha detto quello o l’ha detto quell’altro.

Per avvicinarsi alla realtà, qualsivoglia realtà, s’inizia dall’attenzione (nel decidere), proseguendo con il distacco (l’aspetto che di solito manca), la prudenza (nel giudicare), la pazienza (nella ricerca dei dettagli) e il rigore (nella cernita delle notizie acquisite): e sapere che tutto diventa sempre più difficile quando ci si avvicina ad eventi lontani, perciò, passibili di più vaste manipolazioni.

È sempre preferibile l’attento distacco ed il prudente rigore alla credulità ed alla buona fede, che non garantisce dall’altrui malafede.

Al posto di ogni genere di passività convenzionale (sempre in attesa che qualcosa di migliore cada dal cielo) è sempre preferibile un’intensa e costruttiva attività intellettuale (Dio è mente ed Intelligenza cosmica), capace di esaminare ogni dato da più punti di vista.

E mai, ripeto mai, avvalendosi di un’unica fonte d’informazione. Ch’è un errore imperdonabile per chi vuole “conoscere l’Idea” per armonizzarsi ad essa, e non per adattarne l’immagine ai profili di un basso utilitarismo. Questo, a mio avviso, è ciò che distingue il profano dall’iniziato, oppure il succube dal conoscitore.

Se attenzione, distacco, pazienza, prudenza e rigore sono aspetti prioritari in ogni genere di ricerca, la loro importanza si triplica nel momento in cui l’indagine tocca l’ambito delle religioni. In cui, spesso, sin troppo sfumato, appare il confine tra culto e spiritualità, come quello che separa religiosità e spiritualità. E non sono pochi, anzi sono forse una moltitudine, coloro che credono che siano entrambi la stessa idea, nata dallo stesso principio.

Ma ciò significa non distinguere il divino dal mondano. Come dire: non saper distinguere tra una persona e la sua ombra. E le ombre è bene evitarle, sempre.

In questo caso, con la temerarietà di chi sa andare anche controcorrente, direi che della figura di Gesù si è capito poco, anzi, meno direi.

Dai presunti discendenti, del Maestro Gesù non è stato salvato il principio d’Amore universale che lui impersonò, non per essere idolatrato, bensì per indicare una via, un esempio, che ogni “uomo di buona volontà” poteva seguire diventandogli, così, Fratello in Dio.

Il Maestro Gesù, prima uomo, poi grande Iniziato ed infine guida spirituale, raggiunse un apice spirituale di tale misura, da non essere più considerato umano. E disconoscere la sua “umanità” ha reso vano l’insegnamento, l’esempio e oscurata la via da lui stesso indicata.

Un insegnamento, un esempio, una via che non conducevano in terra, verso le religioni carnali fatte dagli uomini ma verso il cielo della spiritualità interiore.

Tutto ciò è reso evidente dal fatto che, pur rispettando le regole, la Legge dei Padri (la Torah, la circoncisione, i sacrifici animali ecc), egli non seguì mai la forma exoterica della religione. Di conseguenza, è inconcepibile come dopo la sua scomparsa, lo spirito universale di cui era stato il messaggero, possa conciliarsi con un qualche criterio religioso, relativo, i cui canoni sono condivisi solo da una frazione d’umanità.

Il Maestro Gesù predicava l’Amore per un Dio, spirituale, universale ed impersonale. Prospettando, attraverso se stesso, un modello di religione che non aveva bisogno di libri, codici, tributi o culti esteriori (Gesù definì i Farisei, cultori dell’ortodossia exoterica: sepolcri imbiancati). Una spiritualità che, per pregare, non aveva bisogno delle mura di un Tempio. Consapevole che il Tempio di Dio è l’universo, e la sua Chiesa è solo quella dentro il cuore di ogni “creatura” che lo invoca. E solo lì, Dio risponde.

Negando il suo insegnamento sulla via interiore, si è negato l’esempio dato all’uomo di come procedere verso Dio. Una sorta di modello contro-iniziatico ha coperto il suo mirabile insegnamento, ch’è stato ridotto a culto della personalità: dove la sua carne e il suo sangue vengono data in pasto ai fedeli, attraverso un rituale totemico.

Così, Dio è stato nuovamente dimenticato. Ancora una volta, sostituito dalle pratiche carnali di religiosità passionali e sensuali. Che non conoscono la Luce interiore, perché gli uomini vi ritualizzano solo se stessi, le proprie paure di morte e di tormenti terreni.

Allora, per amore di Dio, non siamo molto distanti da ciò che scrisse Nietzsche: «…Dio è morto… l’uomo lo ha ucciso; … l’ultimo cristiano è stato messo a morte sulla croce…».

La volgarizzazione dell’immagine di Gesù il Nazareno (i Nazareni o Nazari erano impareggiabili guaritori contigui alla Comunità iniziatica degli Esseni) è avvenuta attraverso fenomeni di proselitismo spontaneo, per molti versi falsi, o falsati da una descrizione in chiave miracolistica ed exoterica degli eventi. Più utile a meravigliare gli astanti, che ad indicare il processo, attuabile da ognuno, di sacrificare se stessi, per intraprendere un cammino tutto interiore (lascia la tua vita e prendi sulla spalla la tua croce – il tuo destino – e seguimi!) seguendo dettami schiettamente spirituali.

Così, come altre icone spirituali, Gesù è stato ridotto a forma istituzionale, a “totem spirituale”, irraggiungibile e quindi inimitabile, posto sul piedistallo dell’adorazione popolare. Anche il suo essere membro dell’umanità è stato sacrificato all’immagine di una “personalità” troppo soffusa di vita esteriore (cosa faceva, cosa mangiava o beveva, come dormiva, con chi andava, quali erano i suoi sogni, le sue paure). Infinitamente distante dai significati dell’icona spirituale che s’era manifestata in lui e che potevamo imitare. Questo, in fondo, era l’unico vero messaggio rivolto all’umanità. Non tanto quelli, moralmente ineccepibili, delle cene o dei pediluvi: quanto il messaggio della riunificazione iniziatica e spirituale tra Fratelli e Sorelle, e tra ogni membro dell’umanità e l’Anima celeste da cui tutti prendiamo vita, che può avvenire attraverso la trasfigurazione (concetto di metamorfosi e rinascita iniziatica) del proprio sé fisico-animale.

Di questo insegnamento, per molti motivi, non è rimasta traccia: se non per deboli allusioni, del tutto inefficaci a realizzarlo.

Ma non poteva essere diversamente. Intanto per l’evidente imperizia dei divulgatori, poi, per il tempo intercorso tra i fatti e la prima scrittura, fatta dopo 70 anni dalla sua morte, a cui altre seguirono a partire da 100 anni e più. Con questo, però, non è tanto messa in discussione l’attendibilità degli estensori, quanto che nessun estensore dei vangeli fu discepolo di Gesù (v. Gli Autori dei Vangeli). Erano tutti personaggi distanti, a cui mancava una visione diretta dei fatti, che raccolsero attraverso la tradizione orale. Infatti, gli scritti, frutto di molte mani, non corrispondono nei dettagli, ma solo all’impianto generale della “storia”. Con molte lacune e parecchie incongruenze.

Tanto per citarne una, lo psicodramma del giardino di Getsemani.

Il racconto registra le lamentazioni di Gesù, durante l’ultima notte, che i suoi discepoli trascorsero stesi a terra, lontani da lui, addormentati per il “molto vino” bevuto.

Gesù, è raccontato, tornò più volte presso di loro, per sollecitarne conforto, ma nessuno lo assecondò. Allora, ci si chiede, con quali “mezzi” sono state registrate le espressioni del suo volto e tutte le parole, dette nell’assoluta solitudine?

Si potrebbe continuare con altri esempi, come le “Nozze di Cana”, altra storia dal contesto improbabile (perché mai il figlio di un povero falegname era annoverato tra gli ospiti illustri di un ricco signore?) e contraddittoria nella sostanza (perché mai gli astanti si rivolsero ad un “povero” chiedendogli di procurargli dell’ottimo vino?). Si potrebbe proseguire. Anche se poi, in quelle obiezioni qualcuno potrebbe ravvisare solo il frutto del dubbio, del sospetto e dello scetticismo. A quelli, andrebbe risposto che cercare la verità non è un atto di eresia ma un segno di spiritualità, di chi cerca di capire come poter amare l’icona spirituale, Dio. Soprattutto attraverso la ricerca interiore, di cui il Maestro Gesù è stato un fulgido esempio. Che non è il cammino di quanti si compiacciono d’idolatrare i miti, di poteri che usano Dio come “supporto” dei propri diritti terreni. E basta guardarsi attorno, per vedere i risultati dei radicalismi religiosi, non spirituali, grondanti sangue, dolore, morte e distruzione.

La storia dell’umanità sorge da un cumulo di manipolazioni, poiché: «…la storia è solo quella scritta dai vincitori».

Se questo non trova smentite, è comprensibile come paura, ingordigia e manipolazione degli eventi (propaganda e controinformazione), siano sempre stati gli strumenti migliori per subordinare le masse, disattente e confuse, oppure troppo occupate a rincorrere i propri benefici.

Per difendersi dalle citazioni contraffatte, allora, assieme all’ingegno occorre un’estesa preparazione, con cui riportare ogni affermazione al momento storico in cui è avvenuto, comparandone i contenuti nella prospettiva scientifica, filosofica ed iniziatica, senza mai avvalersi, torno a ripetere, di un’unica fonte d’informazione (v. pericoli dei sistemi chiusi, del filosofo Popper).

Così, ci si accorge che molto di quanto è stato detto e scritto non corrisponde alla realtà, e che i fatti sono spesso costruiti in modo da farci diventare portatori d’acqua delle ideologie.

Allora, chi decide di non diventare ostaggio del conformismo, impari a diventare testimone super partes dei propri tempi, presenti e passati, per immaginare le probabilità future.

La verità “rende liberi”, ma per rimanere liberi, bisogna essere ben sicuri a quale ideale si può affidare la propria coscienza. Di conseguenza, non si può seguire pedissequamente questo o quel carroccio ideologico. Il Divino c’è, è certo, ma molto più in alto di qualunque carroccio, dove convenzioni ed ipocrisie sono la pasta di un’immonda poltiglia.

Allora, per amore di Dio, ci si alzi sulle gambe e ci s’incammini verso l’Ideale che ci sovrasta e che c’illumina interiormente.

Fraternamente

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