I debiti e crediti dei ”tanti noi stessi”

Domande e RisposteIl fatto che il linguaggio sia complesso e ricercato oppure semplice, alla portata anche di chi conosce meno bene l’italiano è una cosa che riguarda il sapere, le nozioni, la scuola. Insomma, si tratta di un qualcosa che sta al livello del cervello, della ragione, mentre la Conoscenza e la Saggezza possono trovarsi anche nelle persone che non sanno leggere, e ci sono tanti esempi di autentici Saggi analfabeti. Usare un “linguaggio colto” non rischia di escludere le persone in base alla loro conoscenza dell’italiano?

I debiti e crediti dei “tanti noi stessi”

di Athos A. Altomonte

D: …quando parlo di “linguaggio colto”…non intendo dire che si debba parlare di ovvie materialità.
“Semplice” non è sinonimo di “ovvio”. Una cosa si può dire in modi diversi: si può usare il modo semplice (che non è sinonimo di banale) oppure si può usare una grammatica da linguaggio universitario e si dare, ad uno stesso concetto che si presenta più volte nel testo, sinonimi diversi invece che chiamarlo sempre con lo stesso nome, dando per scontato che tutti abbiano un vocabolario tanto ampio da conoscere tutti i termini usati.
L’utilità degli esempi, delle parabole e nelle favole aventi una morale è proprio quella di far capire concetti anche a chi è ignorante, questi metodi usano «la bellezza come raggio di comprensione» (come recita il brano titolato “Semplicità” da voi pubblicato).
Il fatto che il linguaggio sia complesso e ricercato oppure semplice, alla portata anche di chi conosce meno bene l’italiano è una cosa che riguarda il sapere, le nozioni, la scuola. Insomma, si tratta di un qualcosa che sta al livello del cervello, della ragione, mentre la Conoscenza e la Saggezza possono trovarsi anche nelle persone che non sanno leggere, e ci sono tanti esempi di autentici Saggi analfabeti. Usare un “linguaggio colto” non rischia di escludere le persone in base alla loro conoscenza dell’italiano?

R: Cara amica, non credo che la “Semplicità” sia parente della pochezza: di linguaggio, di cognizioni, di sapere o di quant’ altro possa essere trasformato in conoscenza.

La semplicità è analoga alla Sintesi (vedi). La Sintesi non è mai riduttiva, ma conserva distintamente ogni significato che attrae in un comune centro concettuale. Un concetto complesso, quindi, che per essere rivisitato, deve essere “riaperto” in tutti i significati (ed idee) che ne compongono struttura e sostanza.

Questo è quello che mi hanno insegnato ed è a questo a cui mi sono applicato indefessamente prima di poter concepire domande sensate da porre al mio Istruttore. Ed è proprio su queste domande che si è sviluppata gran parte della mia educazione personale. Questo è un buon sistema: domanda-risposta, ancora domanda-risposta e così via fino a esaurimento.

Il M. Morya, che citi, ha detto che se essere vegetariani fosse una condizione per diventare iniziati, tutti gli elefanti lo sarebbero.

Se la semplicità (che non è una forma d’ingenuità devozionale) poggia sull’ignorare le cognizioni basilari del comprendere, allora, questa semplicità è puro “nulla”.

Ma il vuoto-nulla non è il niente.

Il vuoto-nulla è una dimensione di coscienza (risultato della rinuncia alle idee profane) di chi è andato “oltre sé stesso”. Il niente, invece, appartiene a quanti sono ancora concentrati nel buio della mente.

La mente illuminata è semplice, ma quanti sanno concepirla? Quanti sono nelle condizioni di capire il punto di vista di un buddhi ? Io no.

Qualcuno ritiene che per essere accettato da un Maestro, basta nominarlo, adorarlo, bruciando bastoncini d’incenso o cantando litanie. Nulla di più errato. Per essere accettato da una Scuola iniziatica, non bastano le “mani vuote”.

Per capirlo, bisognerebbe comprendere il senso delle “prove” a cui è sottoposto un Postulante, o per meglio dire, un Probando. Per nulla semplici, perché sulla “Via del Ritorno” nulla è regalato ed ogni riconoscimento deve essere “guadagnato” con fatti che costano fatica e determinazione. Ed i risultati non sono le chiacchiere o le buone intenzioni di un buonismo solo “parlato”.

Conta il superamento degli “ostacoli” che ognuno di noi ha posto sul proprio cammino.

Se bastasse “parlarne”, magari quando se ne ha voglia o tempo, perché mai sono così pochi quelli “Toccati” da un Maestro? Dunque, la posizione della semplicità “attendista” non mi trova d’accordo. Credo, piuttosto, in un impegno personale, costante, cosciente, determinato e consapevole.

Nulla avviene per caso. Tutto è prodotto da una causa. E la causa maggiore del karma individuale sono i debiti e i crediti dei “tanti noi stessi”. Quindi, sui “tanti noi stessi” dobbiamo agire. Con coscienza, intelligenza: sapendo cosa fare, dove farlo e come farlo. Evitando d’avanzare a casaccio o come se si disponesse di un credito infinito: perché così non è.

Ecco perché serve molta consapevolezza.

Le condizioni migliori per attraversare “il Labirinto” costruito dai “tanti noi stessi” è sapere dove bisogna andare e cosa fare per raggiungerne il “centro”, ch’è dentro noi stessi, non fuori o altrove.

Perciò, credo, come per valicare un passo montano, chi è “meglio attrezzato”, anche nella ragione, abbia maggiori possibilità di accelerare le “fasi” del trapasso verso la libertà.

Ma se non si sa, ed è ragionevole pensare che ogni “ultimo sé” non sa un bel niente né del (proprio) prima, né del (proprio) dopo, ecco allora, l’utilità di una Scuola, di un Istruttore o di un Maestro. Che aiutino a “crescere” nell’applicazione costante dell’intelligenza, per aprire mente e coscienza.

Semplice! Vero?

Fraternamente

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