Egitto: stesso sapere vibrazionale

Misteri dei CostruttoriImmaginavo che, molto probabilmente, ci dovesse essere una condivisione del sapere vibrazionale a livello di grandi civiltà del passato, cosa che, puntualmente, verificai partendo proprio dal mondo Egizio.
Fu un testo [1] dedicato ad un periodo ben preciso: il “Medio regno”, a darmi la possibilità di seguire la pista giusta, infatti, in quel forbito riferimento bibliografico, molto spazio era dedicato al sistema egizio di catalogare e seguire, durante l’anno, il movimento stellare, chiaramente notturno.

Egitto: stesso sapere vibrazionale

di Michele Proclamato

Immaginavo che, molto probabilmente, ci dovesse essere una condivisione del sapere vibrazionale a livello di grandi civiltà del passato, cosa che, puntualmente, verificai partendo proprio dal mondo Egizio.

Fu un testo* dedicato ad un periodo ben preciso: il “Medio regno”, a darmi la possibilità di seguire la pista giusta, infatti, in quel forbito riferimento bibliografico, molto spazio era dedicato al sistema egizio di catalogare e seguire, durante l’anno, il movimento stellare, chiaramente notturno.

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* L’Astronomia prima dell’invenzione del telescopio , di C. Walker – Edizioni Dedalo.
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Venni quindi a sapere come gli Egiziani suddividevano le ore notturne, caratterizzandole attraverso l’associazione metodica di un corpo stellare.

Ogni ora aveva la sua stella tutelare ed il complesso meccanismo di osservazione e caratterizzazione era così suddiviso: 36 stelle, tra cui Sirio, le altre sono a noi ancora sconosciute, venivano associate alle ore notturne, con una cadenza di 10 giorni ciascuna, inoltre, sempre le ore notturne, non avevano la stessa durata di quelle diurne, esse infatti erano pari non a 60, ma bensì a 40 minuti.

Di conseguenza, le ore di osservazione notturna, 12, per gli esperti egizi si trasformavano in 18 di 40 minuti.

Quindi, ognuna delle 36 stelle, per 10 giorni era associata ad ”una” delle 18 ore di 40 minuti, che costituivano il periodo di osservazione notturno egizio.

Sempre le stesse, coinvolte in tale meccanismo, erano definite “Decani”: “62” proprio per la loro durata di appartenenza oraria.

Ora, il sistema dei Decani mi incuriosì immediatamente, poiché, a livello numerico, nascondevano una strana appartenenza precessionale e di ciò mi resi conto, molto semplicemente, attraverso una semplice operazione matematica in cui, stelle, ore e durata temporale, potevano essere moltiplicate dando un’informazione che allora credevo ancora inaspettata: 36x18x40 = 25920.

Praticamente il sistema Decanale era stato concepito affinché rispettasse annualmente il computo precessionale dell’asse terrestre: perché?

Perché una tale complessità conoscitiva doveva comunque confluire in quello che credevo solo un’enorme alveo temporale dai parametri piuttosto nostrani, visti i riferimenti del labirinto celestiniano? (vedi Dalla Codifica dei Rosoni al Labirinto di Collemaggio)

Una cosa era certa: la Precessione continuava ad apparire e non solamente, a questo punto, come specifico fenomeno assiale, gli antichi, come supponevo, sapevano qualcosa di più su di “Lei”, ma cosa?

Inoltre: le 36 braccia del Rosone aquilano, questa volta apparivano come 36 stelle, ma allora dov’erano finiti gli altri riferimenti numerici come il 288 del labirinto di Celestino, della Lista Sumera ed i riferimenti al numero 8?

Dov’erano finiti, in questo caso stellare egizio, che comunque poneva, come il “mio” rosone, la Precessione a capo di tutto?

Avvertivo nel mondo egizio lo stesso sapere mesopotamico, ma le testimonianze non erano sufficientemente chiare, dovevo indagare ulteriormente.

Continuai la mia cerca destinata a diventare “sonica” e per caso – lo dico per coloro che credono che il caso esista – mi imbattei, nell’accurata descrizione del patrimonio “tombale” di un famoso faraone: “TutanKhamon”.

Ed anche in questa occasione la mia propensione numerica, così stimolata dai miei esordi sui rosoni, si allertò quando, leggendo la composizione della cassa del faraone, venni a sapere che essa era costituita da 9 sarcofagi rinchiusi uno dentro l’altro, come bambole russe, inoltre, e qui veramente cominciai a preoccuparmi, nelle sue bende furono trovati 143 oggetti sacri, mentre il corpo stesso del faraone sostituiva il 144 componente posto nella sua straordinaria e ricchissima “bara”.

Sapevo che 144 erano i centimetri che dividevano i 6 cerchi di Collemaggio così come conoscevo il 72 cosmico e le sue applicazioni, presenti nel rosone di Collemaggio, come nella ricerca di Santillana ed allora perché, in modo sacro, tale riferimento appariva all’interno del sarcofago di Tutankhamon?

Per non parlare delle 48 casse di carne, poste sotto il baldacchino della dea dei cieli egizi Nut, un mistero per l’archeologia ufficiale, ma che forse ora trovava una spiegazione grazie a questa nuova chiave interpretativa.

Era comunque chiaro, forse solo per me, come quell’ulteriore riferimento numerico, le 48 casse poste sotto la dea, fossero un indizio essenziale per dimostrare come, anche gli egizi si potessero accomunare ai babilonesi, almeno nei parametri numerici, tutti riconducibili alla precessione, tutti presenti nel Rosone centrale di Collemaggio, dove erano palesi i 48 “mezzibusti” conseguenti alle 24 braccia esterne.

Sentivo di essere sulla buona strada, dovevo solo insistere e avrei sicuramente trovato qualcosa di più concreto, di più esaustivo, qualcosa di palese e inconfutabile, atto a stabilire un unico filo conduttore, che a ritroso a partire dall’Aquila (perché da lì partirono le mie ricerche) fosse in grado di accomunare, nei millenni, tutte le civiltà del passato; finché, ciò che cercavo apparve.

Semnut

Nel 1450 a.C. in Egitto, regnò l’unico ed il primo faraone “donna” di tutta la storia egizia. Il suo nome era Hatshepsut e, come spesso succede, pur essendo faraone, essa, prima di tutto era donna e, contrariamente alle leggi di corte, amò, pur facendolo con discrezione, una discrezione che non la mise al riparo dalla verità di una relazione giunta fino a noi sotto forma di un soffitto illustrato, o sarebbe meglio dire, affrescato, secondo il sapere astronomico del momento.

Semnut fu l’amante del faraone, grande architetto di corte, conosciuto e giunto fino a noi grazie alla sua tomba, in cui le sue spoglie non furono trovate, ma ricordato soprattutto per il soffitto della sua tomba, un concentrato del sapere celeste egizio, caratterizzato, non solo in questo caso, da uno strano numero di “Ruote”, che in quel momento, mi permisero di capire molto. L’esplorazione non era finita anzi, era solo agli inizi.

Quel soffitto mi rapiva, ma solo in una sua parte, esattamente dove 12 “Ruote“, suddivise in modo molto sospetto, venivano poste sopra una strana processione di esseri, in realtà stelle e pianeti, quasi tutti caratterizzati da un Uovo cremisi: l’uovo cosmico. Osservai per giorni quell’immagine, fino a quando cominciai a rendermi conto che in essa era riassunto tutto ciò che fino a quel momento avevo numericamente “scoperto”.

Infatti, ad un attento esame, quelle Ruote risultavano tutte essere suddivise in 24 raggi, ma, soprattutto, la loro totalità soggiaceva ad una suddivisione frazionaria già incontrata nel Rosone celestiniano, qui, per l’ennesima volta, appariva una suddivisione del numero 12 a livello frazionario pari a 13 e 23, livello concretizzato attraverso 4 Ruote sulla sinistra e 8 sulla destra.

Ciò voleva dire che, almeno a livello simbolico, appariva di nuovo il numero 48, ma soprattutto, la somma dei raggi, pur frazionata in 96 sulla sinistra e 192 sulla destra della rappresentazione, era pari, incredibilmente, a 288 unità, esattamente come il riferimento metrico di Collemaggio o quello temporale della lista Sumera dei Re.

In quel preciso istante, tutto mi apparve incredibile: 3500 anni fa, qualcuno, in Egitto, utilizzava un riferimento numerico che avrebbe contraddistinto, fra le tante cose, anche le ultime scelte temporali di un futuro Eremita, destinato a diventare Papa e, comunque, tale riferimento costituiva la “nona” parte della Precessione: che cosa stava succedendo nel passato?

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