Sofferenza psichica ed elevazione spirituale

PsicologiaIl dolore non può essere ridotto soltanto alla biologia, il dolore è un tema della psicologia, della sociologia, della filosofia e della teologia.
La medicina dell’antichità ha compreso il dolore nel grande schema dei quattro elementi, quattro liquidi, quattro qualità, uno schema cosmologico proprio della medicina ippocratica.
Il dolore significava una disarmonia e si trasformava in sofferenza.
Corrispondentemente, si orientavano anche i tentativi terapeutici di alleviarla.

Sofferenza psichica ed elevazione spirituale

di Franco Bucca

Il dolore non può essere ridotto soltanto alla biologia, il dolore è un tema della psicologia, della sociologia, della filosofia e della teologia.

La medicina dell’antichità ha compreso il dolore nel grande schema dei quattro elementi, quattro liquidi, quattro qualità, uno schema cosmologico proprio della medicina ippocratica.

Il dolore significava una disarmonia e si trasformava in sofferenza.

Corrispondentemente, si orientavano anche i tentativi terapeutici di alleviarla. Oltre alle possibilità di affrontare il dolore sul piano psichico, l’antichità e il medioevo disponevano soltanto di alcool e di oppio e di poche altre possibilità. Considerate le scarse possibilità della medicina Tommaso d’Aquino ha detto, che «l’unica e decisiva reazione al dolore è la contemplazione del Divino».

L’epoca moderna, per quanto riguarda l’interpretazione della sofferenza e del dolore e anche la reazione ad essi da un punto di vista terapeutico, si basa sulla divisione cartesiana di corpo e anima. Da un lato, si sono avuti molti successi a livello medico-biologico, ma è comparso un disinteresse per il piano psichico, sociale e anche filosofico-teologico e spirituale.

Già Paracelso, all’inizio della modernità, ha ideato degli esperimenti di tipo chimico-biochimico, per superare o, quanto meno, lenire il dolore. Sul finire del XVIII secolo e all’inizio del XIX sono state fatte nuove scoperte nella chimica dei gas, è nata l’anestesia, l’asepsi e l’antisepsi. Già nell’antichità si era visto un legame essenziale tra la malattia e il dolore. Seneca ha definito il “dolor corporis”, una caratteristica essenziale della malattia.

La dimensione sociopsicologica è stata seguita nel nostro secolo da molti ricercatori sulle forme di espressione del dolore, e sulle sue conseguenze sociali, ma dobbiamo considerare anche l’interpretazione filosofica ,teologica e antropologica del dolore.

Montaigne, di tradizione stoica, apprezza i propri dolori, per quanto preferisca non averli e per quanto ne possa soffrire, perché gli hanno mostrato quanto sia grande la capacità dell’uomo di mantenere la sua coscienza, di conservarla, anche quando ci sono dolori. In altri termini, la qualità dello spirito umano si mostra proprio nel superamento del dolore, nella capacità di mantenere la coscienza, la ragione, anche se il dolore fisico minaccia di farla perdere.

Pascal ha visto nell’essere ammalati, nella sofferenza psichica, la condizione naturale del cristiano: “… proprio in questa condizione di sofferenza e di dolore noi veniamo portati a ciò che costituisce autenticamente l’uomo, cioè a non dipendere dai beni materiali, neanche dai piaceri, e a rivolgerci totalmente alla conoscenza interiore, alla conoscenza della relazione con Dio” .

Hölderlin, il grande poeta tedesco idealista, romantico, ha ricordato il detto degli antichi che «gli Dei colpiscono colui che amano». Secondo Hegel il dolore è un privilegio degli esseri più elevati, un privilegio della vita, dell’uomo; solo l’uomo, la natura vivente può sentire dolore, poiché solo la natura sta nel contrasto tra l’idea e la vita. Questo dissidio tra la vita e l’idea, percepito nella coscienza è, per Hegel, la causa e la manifestazione del dolore. Anche altri poeti, Novalis e molti altri dell’epoca, Giacomo Leopardi, hanno attribuito al dolore un significato molto alto nella vita dell’uomo, un significato che può sempre essere anche d’aiuto per coloro che soffrono a causa del dolore.

Un medico antropologo, Buytendijk, una volta ha detto che «il dolore passa, ma l’aver sofferto non passa mai». V’è pure un detto profondo del filosofo Scheler: «una esistenza senza dolore induce alla superficialità metafisica», cioè una vita umana che non ha mai sopportato il dolore, che non è mai stata messa alla prova nell’affrontare il dolore, nel superarlo, non sa cos’è la vita umana.

In questo dissidio tra il donare senso al dolore ed il superamento del dolore si trova l’intera medicina moderna e la storia della cultura. Da un lato si registrano i tentativi di superare il dolore, di bandirlo dalla vita dell’uomo, dall’altro la cosa non sempre ci riesce e dobbiamo per questo dare un senso al dolore.

O, da un lato, si è inserito il dolore nella vita dell’uomo senza sopravvalutarlo, oppure lo si è sopravvalutato, sicché non si può dire proprio esattamente cosa stia più in alto: la morte o la vita, il dolore o l’assenza di dolore? Se si considera la storia culturale del dolore si potrà ripetutamente osservare che la sofferenza psichica costituisce un anello di congiunzione tra la natura e la cultura. Da un lato il dolore è un fenomeno biologico, dall’altro è culturale, psicologico e spirituale.

Il medico che ha cura di un paziente farà bene a interpretare il dolore non soltanto sul piano fisiologico e psicologico, gli domanderà se questi non possa ricavarne un senso dal dolore, in quanto capisce che al suo dolore corrisponde sul piano cosmologico, anche una dimensione antropologica o metafisico-filosofica della sua evoluzione come individuo. Questo è l’aspetto filogenetico del dolore, dove riveste un ruolo essenziale.

Per Neruda bisogna trasformare in speranza il dolore del mondo. Questo è il compito di un iniziato vedere in che modo l’uomo che soffre, in che modo tutti noi che soffriamo a contatto con il dolore, possiamo acquisire una dimensione di speranza, guardare avanti e vedere una possibilità di integrare costruttivamente nella vita il dolore e la sofferenza.

Kant ha detto che «nel dolore noi sentiamo un aculeo che ci spinge ad agire e ad essere attivi e a percepire la nostra esistenza», e con Rilke: «il dolore ci porta spesso in regioni incommensurabili per le quali a stento abbiamo un linguaggio», e che la poesia può esserci d’aiuto, per sviluppare un linguaggio e per trovare una parola che possa essere compresa dal medico, dal paziente e da chi ci sta intorno.

La cura della sofferenza dipende soprattutto dalla capacità di ascoltare, per cogliere quel colloquio interiore che ognuno di noi intrattiene con le voci e i silenzi della propria anima, anche quando ci si trova persi nelle pieghe più profonde della sofferenza.

La sensazione diffusa, parlando con le persone, quotidianamente, è che ci sia una notevole diffusione di situazioni di sofferenza psichica, di paure, di angosce, di cui non ci sono spesso le parole per esprimerla.

Il suicidio, quando la sofferenza psichica e spirituale hanno toccato il fondo lacero dell’anima, diventa l’ultima carta da giocare.

Emblemi della sofferenza psichica nella nostra società:

Distress, ansia, rabbia, nevroticismo.

Sofferenza depressiva.

Somatizzazioni, sintomi psicosomatici.

Instabilità del sé.

Noia, ricerca di piacere artificiale, disadattamento, disoccupazione, emarginazione, solitudine.

Insicurezza economica e povertà.

La pratica clinica con gli adulti e nell’età evolutiva, segnala, sia sul fronte istituzionale sia su quello privato, un mutamento delle forme della sofferenza psichica emergente.

Dal generico e subdolo disagio esistenziale ai problemi di identità, alle condotte devianti e tossicomani, agli attacchi di panico, e a tutta l’ulteriore casistica che gli addetti ai lavori definiscono “borderline” e che rivela gravi deficit della struttura basilare del Sé, con un aumento dei disturbi dell’apprendimento ed in particolare della letto-scrittura e un notevole allungamento dei tempi della maturazione psico-affettiva che sfociano in una dilatazione enorme dell’adolescenza.

Siamo in presenza di un processo trasformativo in cui viene fortemente messo in crisi tutto l’impianto sul quale si è retta la convivenza civile. Le strutture socio-culturali deputate ad allevare (famiglia), aggregare (centri di quartiere, scuola), e a canalizzare (sistemi di valori, ideologie, costumi sessuali, concezione del lavoro ecc.), la spinta evolutiva, estremamente sollecitata dal circuito mass-mediatico, mostrano evidenti segni di crisi e rendono più arduo il percorso verso l’identità.

Quale rimedio? I fattori che favoriscono la crescita mentale li possiamo pensare come equivalenti alla capacità di riconoscere, tollerare ed elaborare, contenere la sofferenza psichica, propria ed altrui, alla possibilità di essere aiutati a contenerla (funzione terapeutica della Mente) o di darle un senso.

I fattori che ostacolano o inibiscono o si frappongono alla crescita, sono identificabili anche nelle forze distruttive della Mente (funzione antiterapeutica), la cui mancata elaborazione e integrazione dà luogo alla perdita di preziose attitudini e capacità intellettuali, e di espressione adeguata delle proprie emozioni ed affettività.

La Sofferenza Psichica è uno stato acuto o cronico di sofferenza mentale che scaturisce dal fatto che la ragione, normalmente inquadrata nello spazio tempo, è come attorcigliata su se stessa e offuscata, ed è incapace di coordinare gli eventi traumatici che hanno colpito primariamente l’Io e secondariamente l’organo mentale.

Questo considerando che Psiche e Mente sono la stessa cosa, ma è anche vero che gli antichi valutando l’essere nella sua interezza chiamavano psiche anche lo Spirito e con lo stesso nome definivano anche la Natura. Allora la sofferenza psichica è della mente o è dello spirito? Sicuramente di entrambi, ma le implicazioni sono differenti in termini di gravità e di livello, in relazione alle patologie ad esse connesse.

Una cosa è parlare di patologia dell’Io, e un’altra è parlare di patologia della Mente. Indubbiamente la forma che colpisce l’Io della persona è molto più grave e richiede in termini di urgenza-emergenza risposte rapide ai bisogni, per la pericolosità stessa che rappresenta per la salute della persona e per gli altri, mentre la forma che può colpire la mente è decisamente più gestibile in termini di tempo e di pericolosità, anche se richiede analogamente tempestivi ed appropriati interventi medici, psicologici, farmacologici e spirituali. Ma cosa s’intende per sofferenza psichica dell’io?

La sofferenza psichica dell’Io, il disturbo di base, è un problema di comprensione ed accettazione dell’evento traumatico, generalmente un evento perdita, un secondo aspetto direttamente collegato è che si tratta di un disturbo di comunicazione con la Mente.

La sofferenza dell’Io. Siamo di fronte ad un Io fragile, non strutturato, ancora immaturo, che non ha avuto la possibilità di formarsi e di sviluppare un’intelligenza morale adeguata a rispondere ai vari eventi perché non ha avuto una guida morale o l’ha avuta non adeguata nei momenti del suo sviluppo psicofisico alla sua sensibilità e alla sua natura come essere.

Diciamo che può non avere avuto dei modelli di riferimento validi, che il bagaglio di risorse congenite di cui era fornito era insufficiente o diverso rispetto ad altri, l’archeologia morale della sua infanzia è priva di comunicazione proiettiva. Un Io fragile è un problema serio!

L’Io può frammentarsi, scomporsi, disperdersi e l’essere, perdersi per sempre, o con un recupero solo parziale e dopo molto tempo.

Un Io può entrare in conflitto con sé stesso nel momento in cui la sua coscienza, il suo libero arbitrio, la sua intelligenza e volontà non riescono più, delicatissime parti di uno strumento complesso, a comunicare tra loro.

La sofferenza psichica non necessariamente comporta elevazione spirituale in quanto chi soffre può non conoscere la causa della sua sofferenza (meccanismi di rimozione, debolezza dell’io, quoziente intellettuale ridotto, mente obnubilata, etc.) e presentare disturbi del comportamento, di personalità, dell’umore che possono interferire significativamente sul suo funzionamento sociale e lavorativo nonché affettivo ed emozionale.

La sua può essere dunque un’esistenza problematica, difficile, conflittuale e generare solo ulteriore sofferenza e incomprensione da parte di molti ed esitare col tempo più o meno rapidamente in quadri psicopatologici di estrema gravità, cronicità e/o difficilmente curabili.

Chi soffre può non essere capace di affrontare le cause della sua sofferenza ed avere bisogno di aiuto, e la rete familiare, amicale e sociale può presentare delle smagliature o delle vere e proprie carenze. Se non riceve l’aiuto la sua sofferenza psichica aumenta, e una risposta non adeguata ai bisogni, o la mancanza assoluta di risposta d’aiuto, determinano la chiusura dell’Io e si ha involuzione e regressione, sia psichica che spirituale, fino al deterioramento organico e alla malattia.

Allora quando la sofferenza psichica conduce l’essere ad elevarsi spiritualmente? Quando esiste uno stato di consapevolezza intensa e di accettazione profonda e ragionata del proprio vissuto in cui vengono esaminate tutte le cause, le condotte, gli stili di vita, le forme di pensiero, le scelte decisionali che possono aver determinato o partecipato e concorso nell’evento responsabile della sofferenza.

La sofferenza psichica conduce in molte direzioni che vanno dalla depressione con ritiro sociale alla psicosi con auto ed eteroaggressività.

Solo col tempo ricevendo gli aiuti appropriati farmacologici, psicoterapeutici, psicologici, affettivi, sociali, l’essere può ripercorrere gli eventi passati e trarre dei benefici di crescita morale e spirituale, sempre che le capacità cognitive siano conservate. Allora dobbiamo fare un passo indietro, la sofferenza psichica è dello Spirito, e questi è l’unico che può evolversi se trae beneficio dagli eventi altamente traumatici che lo vedono coinvolto.

Lo spirito è composto da Io che è Intelligenza più Volontà, Coscienza, e Libero Arbitrio, e come un grande imperatore gestisce la Mente, il Cervello, il Corpo e il Pericorpo.

Il dialogo tra queste strutture è vitale per l’incarnazione di un essere umano. Vorrei ricordare che nel Pericorpo, il Bozzolo energetico che riveste il corpo fisico, si depositano le particelle energetiche che andranno a sostituire o rinnovare le particelle spirituali direttive degli organi e degli apparati.

Il Pericorpo è come una bolla energetica, una vescicola che trattiene l’energia universale ricca di fluido e particelle e che in quanto Sacca Trofica costituisce la riserva e il deposito dell’energia necessaria alla vita dello spirito incarnato.

Ricordiamo anche, che tutti gli organi comunicano con il Pericorpo tramite canali energetici e che la Mente comunica direttamente con il Pericorpo da cui trae informazioni sulla salute del corpo fisico e con l’Io, con cui scambia e riceve informazioni, oltre che di tipo direttivo, anche sulla sua salute – anche se in modo riflesso – per le ripercussioni come organo ponte-esecutore e depositario del subconscio.

Lo spirito o unità incarnata, come un grande imperatore, dirige l’Io cosciente nella sua pienezza di essere dotato di libero arbitrio, e tramite i suoi rapporti diretti con la Mente e il Pericorpo ha informazioni su tutta la salute fisica energetica e spirituale del suo impero e mantiene contatti con l’universo, il Macrocosmo, di cui ne rappresenta come vescicola luminosa il Microcosmo.

La sua sofferenza individuale come unità incarnata può ricollegarsi tramite l’elevazione del pensiero e delle sue opere a Dio, al Grande Architetto, alle guide spirituali che accompagnano la nostra vita di spiriti incarnati e ricollegarsi alla Grande Catena degli Spiriti che lavora per il bene dell’Umanità e la sua evoluzione.

Nel momento in cui la nostra richiesta viene accolta noi diventiamo un anello di quella catena e procediamo nella nostra evoluzione spirituale.

La vita è una continua spinta in avanti. Gli strumenti di lavoro non vanno mai deposti… Il fratello che cerca i benefici di questa confraternita in ispirito di sincera ricerca, e che è lesto a discernere la verità spirituale soggiacente tutti i simboli e le pratiche delle nostre cerimonie, scoprirà che presto la benedizione divina inonderà il suo cuore e arricchirà la sua anima.

La Massoneria punta al supremo sviluppo individuale con il controllo di Dio al centro. In queste parole sono contenuti i nuclei fondamentali della spiritualità massonica: costruttivismo, colui che edifica mirando verso l’alto, universalismo nel cogliere la presenza della suprema creatività, religiosità in quanto scuola iniziatica ed etica fondata sul sentimento religioso universale e metastorico.

Il vero Massone che lavora, nel tempio e nel segreto della coscienza, al proprio perfezionamento, aspira alla reintegrazione in quella realtà assoluta, vittoriosa sulla morte, che l’Umanità ha indicato e atteso come Dio, in una speranza talmente morale e razionalmente giustificabile da costituire essa stessa fondamento di fede.

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