Nell’attuale società occidentale, sempre più complessa anche sul piano dell’identità sessuale, occuparsi di psicologia del maschio e della femmina significa prima di tutto indagare l’influenza che questi due principi hanno all’interno di ognuno di noi.
Significa riflettere anche e soprattutto sulle influenze prima genitoriali e poi storico-culturali, che determinano (sia in positivo che in negativo) gran parte dei nostri atteggiamenti e comportamenti, e quindi il nostro funzionamento sia a livello degli affetti (sentimento) che delle prestazioni (ragione).
Tutto questo allo scopo di acquisire conoscenze ed esperienze che aumentino la nostra consapevolezza e ci consentano di migliorare la qualità delle relazioni con noi stessi e con gli altri e di sviluppare un pensiero nuovo, creativo, che ci consenta di esprimere noi stessi.
Nell’attuale società occidentale, sempre più complessa anche sul piano dell’identità sessuale, occuparsi di psicologia del maschio e della femmina significa prima di tutto indagare l’influenza che questi due principi hanno all’interno di ognuno di noi. Significa riflettere anche e soprattutto sulle influenze prima genitoriali e poi storico-culturali, che determinano (sia in positivo che in negativo) gran parte dei nostri atteggiamenti e comportamenti, e quindi il nostro funzionamento sia a livello degli affetti (sentimento) che delle prestazioni (ragione). Tutto questo allo scopo di acquisire conoscenze ed esperienze che aumentino la nostra consapevolezza e ci consentano di migliorare la qualità delle relazioni con noi stessi e con gli altri e di sviluppare un pensiero nuovo, creativo, che ci consenta di esprimere noi stessi. La prossima tappa evolutiva che l’umanità deve acquisire sembra essere quella dell’educazione ai sentimenti, che conduce l’individuo, la coppia, il gruppo e la collettività lontano dai cortocircuiti del pensiero nevrotico e dai dolorosi fallimenti di relazione che esso può procurare. Dalla psicoanalisi abbiamo appreso che la qualità del patrimonio emozionale dei genitori ha un ruolo centrale nella educazione ed evoluzione dell’individuo; non disponiamo infatti di un “libretto delle istruzioni” ed in mancanza di una adeguata educazione non possiamo penetrare nelle profondità di noi stessi e degli altri. Nella società attuale, in Occidente, è raro poter beneficiare di genitori sufficientemente buoni (D. Winnicott) o di figure sostitutive capaci di trasmettere un’adeguata educazione ai sentimenti (la maggior parte dei “programmi educativi” è centrata sulla prestazione). Il padre della psicoanalisi, e molto probabilmente della psicologia moderna (vedi scoperta dell’inconscio), sosteneva che il vero privilegiato è colui che vive con successo le relazioni interpersonali, le quali possono essere fonte di grande soddisfazione o frustrazione. Nella trattazione che segue (estratta dall’opera “Maschio Amante Felice” di Claudio Risé, Ed. Frassinelli) cercheremo di prenderci cura della psicologia maschile e femminile, con particolare attenzione per l’attuale condizione del maschio, il quale sembra piuttosto sofferente degli avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi 100 anni di storia all’interno delle culture occidentali. Che sia stata la perdita del potere che il maschio aveva nell’800 a rendere i nostri maschi così insicuri e potenzialmente aggressivi? Che siano stati i conflitti con le donne a ridurli così? La donna, infatti, ha lottato e attraverso il movimento femminista si è (giustamente) ripresa alcuni suoi spazi psichici e fisici. Anche i gay, le lesbiche e i trans stanno lottando per i loro diritti. E l’orgoglio maschile? La carenza in Occidente di maschi amanti felici (e quindi di femmine amanti felici) è probabilmente connessa con la mancanza del padre, di una figura maschile, di un iniziatore che insegni al piccolo dell’uomo “come si fa”: gli antropologi sono infatti concordi nell’affermare che l’essere umano non nasce sapendo per istinto come amare, come vivere la propria sessualità e come organizzare i propri affetti. L’essere umano impara quando qualcuno gli insegna! Per la prima volta nella storia il maschio entra a far parte della società iniziato dalla madre e da tutta una serie di figure femminili: maestre, terapiste e assistenti di vario genere. Il quesito che ci propone l’ottimo Claudio Risé è: possono le donne trasmettere le qualità psicologiche e istintuali del genere maschile? È molto probabile che questo non sia possibile e sempre più uomini se ne stanno rendendo conto. Il maschio senza iniziatori non sa vivere, non sa fare nulla ed è costretto ad andare avanti per prove ed errori e i risultati sono spesso disastrosi. La televisione si è rivelata infatti grossolanamente incapace di sostituire il padre; caratteristica dei media attualmente non è impartire una educazione ma fornire informazioni a valanga, senza alcun discernimento, e avviene che lo spettatore medio – non sufficientemente consapevole dei modelli che vengono proposti – possa riceverne influenze negative (es.: le star dello spettacolo non sono mai a disagio e anch’io devo comportarmi così ad ogni costo!). Ma il guaio più grande dovuto all’allontanamento della figura paterna è la scomparsa di qualsiasi forma di educazione sentimentale. Si trattava di procedure complesse di insegna-menti, iniziazioni e riti di passaggio per segnare la fine di una fase e l’inizio di un’altra (secondo Tobie Nathan le crisi adolescenziali sembrano essere il frutto della scomparsa dell’iniziazione; i giovani potrebbero sentirsi confusi per il fatto che, a seconda delle necessità del momento, i genitori o le figure di riferimento tendano a considerarli adesso degli adulti responsabili, adesso dei ragazzi immaturi). L’esperienza dell’iniziazione nella società cosiddetta “civile” è scaduta nell’esame di maturità, che spesso conduce il giovane ad una eccessiva intellettualizzazione e quindi ad un’ulteriore perdita di contatto con le sue radici inconsce e archetipiche. La società occidentale contemporanea, infatti, ormai privata di padri e iniziatori, ha completamente abbandonato ogni attenzione dedicata alla formazione sentimentale dei giovani. Ciò che interessa a questa società solo apparentemente maschilista non sono i sentimenti e gli ideali, ma i valori “materni” tesi al soddisfacimento dei bisogni: la produzione e il guadagno. Per “formazione dei giovani” oggi s’intende impartire una serie di nozioni direttamente o indirettamente finalizzate a svolgere una professione e a realizzare un profitto. L’insegnamento dei sentimenti e del loro affinamento non è annoverato nei programmi educativi: gli stessi corsi di educazione sessuale si confondono con le lezioni di anatomia e questo non consente al giovane di sviluppare una autentica relazione con la propria sessualità. Cosa può imparare un giovane da un disegno dei genitali femminili se non è in contatto con la propria sessualità? Se c’è un conflitto con la propria identità maschile non sarà certo un disegno ben fatto a risolverlo. Maschi non si nasce per una particolare conformazione anatomica, ma lo si diventa con lo sviluppo delle nostre relazioni affettive e sessuali: prima con la madre, poi con il padre e infine con gli altri, i nostri “oggetti” d’amore e d’odio (in psicoanalisi il concetto di “oggetto” si estende anche alle persone). Per questo nelle culture attente al problema dell’equilibrio e della felicità, comprese quelle cosiddette “primitive”, viene dedicata tanta attenzione alle iniziazioni al mondo maschile e all’educazione sentimentale del maschio. Senza queste esperienze dirette il maschio è tale solo di nome; e soprattutto non sa amare. Per amare, per diventare un amante felice, l’uomo deve innanzi tutto amare la propria condizione e questa non è una cosa così semplice da realizzare; egli deve infatti prima misurarsi con i condizionamenti, con le paure e con i luoghi comuni che si frappongono alla realizzazione della sua condizione di maschio. Una vera e propria trappola per lo sviluppo del maschio, ad esempio, è quella del “complesso dell’amico delle donne”: il ragazzo comincia a pensare che gli altri maschi in fondo sono volgari e ridicoli e invece di assumere chiaramente il suo posto nel mondo maschile sceglie come amicizie varie figure femminili. Questa posizione ha origini profonde e deriva fondamentalmente dall’assenza del padre e dalla incapacità di abbandonare la dipendenza dalla madre. Un pregiudizio nei confronti del maschio, infatti, consiste nell’assunto secondo il quale “maschio è brutto”, non elegante, un poco stupido e soprattutto rozzo; dunque assumere una posizione allegramente maschile appare volgare. Inoltre quello della sessualità maschile è un potere da non mostrare, anche perché è diffusa l’opinione che si tratti di un potere ingiusto, pagato a caro prezzo dall’altra metà della popolazione umana. Ma soprattutto essere maschio significa esprimere se stessi: quando si sceglie un comportamento per piacere all’altra persona (sia ella madre, fidanzata o moglie) si sta scivolando fuori dalla maschilità e affondando nella grande palude dei “figli di mammà”, degli amici delle donne (uomini che le donne prima o poi rifiutano perché percepiti poco virili). Dietro questo atteggiamento non c’è una personale tecnica di seduzione, ma il potentissimo archetipo dell’Eterno Fanciullo. Un archetipo è una forza da sempre presente nella storia dell’uomo espressa in rappresentazioni simboliche e riconosciuta in tutte le culture come capace di dare una direzione alla vita umana. La psicologia del profondo ha dimostrato che gli archetipi giungono nella vita di una persona passando dall’inconscio e quindi condizionando la nostra vita a nostra insaputa. L’archetipo dell’Eterno Fanciullo conduce l’individuo a non definirsi, ad evitare di incarnare il maschio adulto (giudicato “volgare”) mantenendo quella delicatezza che rende le donne felici soltanto fino ad un certo punto (nel profondo la donna vuole sì essere compresa ma anche presa, o meglio, saputa prendere). Dietro ad un eterno fanciullo potrebbe esserci una madre poco amante degli uomini che accetta il figlio solo in quanto “fanciullo” (buono) e teme la sua trasformazione in uomo adulto (cattivo), oppure un tentativo di seduzione, di abuso, subito da bambino (un episodio del genere tende a mantenere l’eros del giovane legato alla sua immagine infantile). Ma ancor di più, diventare grandi per il maschio significa sempre fare i conti con una serie di aspetti imbarazzanti dell’identità maschile, quelli che la psicologia analitica chiama “l’ombra dell’uomo”. Dentro questa ombra ci sono un po’ tutti i lati oscuri apparsi nel corso dei secoli nella storia del maschio (es.: violenze, crudeltà, potere). L’archetipo dell’Eterno Fanciullo impedisce alla psiche maschile di confrontarsi con gli aspetti inquietanti dell’Ombra ove risiedono anche i contenuti più profondi della maschilità. L’Eterno Fanciullo preferisce “non sporcarsi le mani”; inizia così ad innamorarsi della propria immagine bella e pura. Anche nella mitologia greca i “fanciulli-fiore”, espressione dell’archetipo dell’Eterno Fanciullo, sono personaggi affascinanti, ma che non fanno una bella fine (es.: mito di Narciso). Quando l’adolescente sceglie di incarnare il giovane dubbioso attiva tutta l’energia dell’archetipo dell’Eterno Fanciullo e acquisisce quella sua atmosfera affascinante, ma poco vitale e soprattutto poco virile! La psiche maschile è in effetti il campo di battaglia di due forze contrastanti di cui una attira il maschio verso l’alto, verso le grandi idee, i grandi sogni e le celesti aspirazioni. Concedersi eccessivamente a questa potenza che è connessa con la tendenza all’anticorporeità conduce il corpo alla distruzione (es.: il volo di Icaro). È probabile che questa stessa forza agisca anche negli eterni fanciulli kamikaze, così graditi alle Divinità. Per un qualche motivo, infatti, questa forza viene definita spirituale, anche se l’idea della materia che si oppone allo spirito sembra invece una costante delle religioni autoritarie (così ben predisposte al fanatismo), nelle quali si spingono le persone a far male l’amore così da deprimere le energie, la fantasia e la voglia di vivere e poterne maggiormente controllare i comportamenti. Il miglior amante è invece colui che riconosce il corpo proprio e quello altrui come dotato di forza e bellezza divina. Forza verticale, quindi (lo spirito, l’ascesi e gli ideali: il volo di Icaro ma alla giusta quota!), e la contemplazione della forza orizzontale, che lo conduce ad inchinarsi dinnanzi alla bellezza della terra, del corpo, della donna e della natura (vedi simbolo della Croce – linea verticale che si salda con la linea orizzontale – e della Stella di Davide – triangolo che punta in alto saldato a triangolo che punta in basso). Lavorare sull’equilibrio di queste forze significa promuovere anche il nostro equilibrio mentale: la fusione di queste due potenze attraverso l’esperienza dell’amore autentico sembra essere l’unica via percorribile. Nelle iniziazioni maschili si insegnavano all’uomo la bellezza e la potenza del Dio Fallo: si pensi a quanto oggi l’aggettivo “fallico” tenda ad essere dispregiativo, a significare prepotente, violento, ottuso, dominatore (si pensi alla canzone “Oriente” di Nicolò Fabi, nella quale si trova “evviva un uomo nudo quando è carnevale” oppure al significato che comunemente si da alle parole “figata”, “cazzata” e “testa di cazzo”). In Occidente sono pochi i casi in cui il membro maschile viene rappresentato con valenza positiva (es.: si dice che “è un tipo cazzuto” di colui che è dotato di forza e carattere); eppure per secoli e in tutte le culture il Fallo è sempre stato onorato come il Dio del principio maschile, che, insieme alla Dea del principio femminile (la Yoni, la Sacra Vulva) e a tutte le Dee che la rappresentavano, dava origine e continuità alla storia del mondo. Nei riti iniziatici dei cosiddetti “primitivi” (vedi evoluzionismo vs. relativismo culturale), che si tengono proprio nel momento dello sviluppo, l’importanza e il valore della sessualità maschile si esprimono nei riti di “adorazione del Fallo” (un oggetto di culto dalla forma fallica che viene adorato e onorato in vario modo). Il Fallo viene considerato un Dio al quale essere devoti in chiave transpersonale (che trascende l’io). Invece, attualmente, per motivi storico-culturali (rivoluzione industriale, conflitti mondiali e boom economico), nelle culture occidentali il maschio non viene più iniziato dal padre e da altre figure maschili, ma dalla madre e da altre donne. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il figlio non interrompe la sua dipendenza con la madre (subisce pertanto la cosiddetta “matrizzazione”) e viene da lei consegnato alla moglie, erede (spesso giustamente riluttante) del potere materno! Il maschio passa quindi da una dipendenza ad un’altra senza aver effettuato i suoi viaggi iniziatici ed aver sviluppato la sua propria sensibilità maschile e il minimo di autonomia necessaria all’espressione adeguata di se stesso. Questi “figli senza padre” ovviamente fanno una gran fatica a sentirsi maschi. Da questa condizione di maschio femminilizzato è nata una cultura che svaluta e deride il fallo, cioè la base simbolica della condizione maschile trasformandolo in un oggetto di derisione (da Dio Fallo a oggetto da barzelletta; si pensi allo stesso Jean Jacques Rousseau, uno dei pensatori che maggiormente hanno influito nella costruzione del pensiero attuale, che definisce il fallo come “un oggetto ridicolo”!). La caratteristica del Fallo è invece “la forza equilibrata”: l’erezione che trasforma il pene in un fallo è un atto di forza, di equilibrio e di centratura; il pene, invece, privo di forza, oscilla di qua e di là (in Toscana viene chiamato “bischero”; altrove “minchia” da cui “minchione”sinonimo di stupido). Lo smarrimento della relazione con il proprio istinto maschile e con l’uomo selvatico che ne è portatore conduce inesorabilmente all’insorgere di una psicologia maniaco-depressiva più o meno abilmente camuffata. Per ritrovare il gusto e la capacità di amare, i maschi matrizzati devono liberarsi del fastidio che provano per il padre, dinamica che produce effetti negativi sulle loro opinioni circa la natura maschile. In base a quanto accade nelle terapie con figli matrizzati, per diventare effettivamente capace di amare, sembra indispensabile che il figlio possa riaprire un dialogo (anche simbolico, interiore) con il padre e con il mondo maschile che lo ha preceduto. Una terapia ben condotta può certamente essere utile nella costruzione di questo nuovo profondo dialogo con se stessi. Accettare la sfida in una società nella quale “maschio è brutto” non è facile, ma può riservare a colui che accetta la sfida (sia nei suoi aspetti teorici che pratici) sorprese inaspettate. La donna ne godrà di conseguenza, anch’ella liberata da fardelli che non le appartengono. Il degrado della sessualità, ormai vissuta (quando effettivamente praticata) come un esercizio di benessere (tale e quale al body building o la ginnastica aerobica), un anti-stress o peggio come la messa in atto di traumi non sufficientemente elaborati (via maestra alle parafilie, tra le quali svetta tristemente la pedofilia), è sotto gli occhi di tutti. Lavorare sugli archetipi, e quindi sull’inconscio, ci consente di indagare i nostri desideri e le nostre fantasie più radicate, promuovendo la connessione con i “mondi altri” di cui facciamo parte (es.: la misteriosa dimensione del sogno), così da poter esprimere noi stessi senza dover pagare dazio all’inconscio, il quale, se gestito in modo coatto, si vendica. |