I Ciclopi o i ministri del terrore

Miti e SimboliSi narra che i Ciclopi, per la loro bestiale ferocia, fossero dapprima sprofondati da Giove nel Tartaro e condannati al carcere perpetuo; ma poi la Terra riuscì a persuadere Giove che non gli sarebbe stato disutile se li avesse liberati dai ceppi e si fosse servito della loro opera per fabbricare fulmini.

Della Sapienza degli Antichi

di Francesco Bacone – (tratto dagli Scritti Filosofici – Ed. UTET – a cura di Paolo Rossi)

I Ciclopi o i ministri del terrore

Si narra che i Ciclopi, per la loro bestiale ferocia, fossero dapprima sprofondati da Giove nel Tartaro e condannati al carcere perpetuo; ma poi la Terra riuscì a persuadere Giove che non gli sarebbe stato disutile se li avesse liberati dai ceppi e si fosse servito della loro opera per fabbricare fulmini. Questo fu fatto e i Ciclopi, industriosi e servizievoli, si misero a forgiare assiduamente fulmini e altri strumenti di terrore con minaccioso frastuono.

In seguito accadde che Giove si adirasse con Esculapio , figlio di Apollo, per un uomo da quello resuscitato dalla morte con l’arte medica, ma, volendo celare la sua ira (generata da ingiusta causa per un’opera pia e celebre), gli istigò contro i Ciclopi, che senza frapporre indugi, lo uccisero con un fulmine. Apollo per vendetta, con il beneplacito di Giove, li trafisse con i suoi dardi.

La favola sembra riferirsi alle imprese dei re. Questi infatti prima fanno rimuovere dagli incarichi e mettere ai ferri i ministri crudeli, sanguinari e fiscali; poi, per consiglio della Terra, cioè utilizzando l’ignobile e poco onorevole suggerimento della prevalente utilità, li riutilizzano di nuovo ogni volta che c’è bisogno di severità di esecuzione e di durezza nel pretendere imposte.

Questi, crudeli per natura, esasperati dalla precedente sorte, e comprendendo a sufficienza ciò che da essi si aspetta, manifestano un ammirevole zelo in siffatte imprese, ma poco cauti, precipitosi ad accattivarsi la grazia sovrana, conducono a termine una qualche impopolare esecuzione mal interpretando i segreti cenni del re e i suoi velati comandi.

I principi poi rigettando l’accusa, e ben consci che siffatti strumenti non verranno mai meno, li destituiscono e li lasciano alla vendetta, all’odio popolare e ai parenti e agli amici di coloro che subirono la pena nonché delazioni di costoro; onde, tra grandi plausi e tra i voti e le acclamazioni ai re, vanno incontro tardi, ma non immeritatamente, a loro giusto destino.

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