Letture d'EsoterismoAntologia dell’«Encyclopédie» di Diderot e D’Alembert

Non vi è cosa oggi che si possa acquistare con minore spesa della nomea di filosofo: una vita oscura e ritirata, qualche mostra di saggezza e un po’ di lettura bastano per attirare il nome di «filosofo» a persone che finiscono per onorarsene senza meritarlo. Vi sono altri che si considerano come i soli veri e propri filosofi.Ma su quale fondamento?

Antologia dell’«Encyclopédie» di Diderot e D’Alembert

curato da Roberta Giammaria

Filosofo

Non vi è cosa oggi che si possa acquistare con minore spesa della nomea di filosofo: una vita oscura e ritirata, qualche mostra di saggezza e un po’ di lettura bastano per attirare il nome di «filosofo» a persone che finiscono per onorarsene senza meritarlo. Vi sono altri che si considerano come i soli veri e propri filosofi.

Ma su quale fondamento? Semplicemente perché in essi la libertà del pensiero tiene il posto del ragionamento; e perché, così, hanno osato abbattere le sacre mura poste dalla religione e infrangere gli steccati che la fede frapponeva al loro argomentare. Fieri di essersi disfatti dei pregiudizi dell’educazione in materia di religione, guardano agli altri con disprezzo, come se si trattasse di spiriti deboli, dall’intelligenza schiava e pusillanime, che si lasciano atterrire dalle conseguenze cui conduce l’irreligione, e che, non osando uscire neppure per un istante dal cerchio chiuso delle verità stabilite, né marciare per strade nuove, si addormentano sotto il giogo della superstizione. Ma bisogna avere un’idea più giusta di che cos’è un filosofo; e noi ne vogliamo offrire qui la caratterizzazione. Gli altri uomini sono determinati ad agire, senza né avvertire né conoscere le cause che li fanno muovere, e senza neppure sospettare che ve ne siano. Il filosofo, invece, si sforza per quanto sta in lui di individuare le cause del suo agire: spesso riesce così persino a prevenirle, e può abbandonarsi ad esse con piena cognizione. È quindi un po’come un orologio che qualche volta si carica da solo. In tal modo, il filosofo evita gli oggetti che possono causargli sentimenti che non convengono né al suo benessere né all’equilibrio della sua ragione; e cerca invece tutto ciò che può suscitare in lui pensieri e affetti convenienti allo stato in cui si trova. La ragione è per il filosofo quello che la grazia è per il cristiano: il cristiano è determinato ad agire dalla grazia, il filosofo dalla ragione. Gli altri uomini sono trascinati dalle loro passioni, senza che le azioni che compiono siano precedute dalla riflessione: sono uomini che camminano nelle tenebre; mentre il filosofo, anche nelle passioni, agisce solo dopo aver ben riflettuto: cammina nella notte, ma c’è una fiaccola che lo precede.

Il filosofo modella i suoi principi su un’infinità di osservazioni particolari. Il volgo adotta un principio d’azione senza pensare alle osservazioni che l’hanno prodotto: pensa che la massima esista, per così dire, di per se stessa; ma il filosofo insegue la massima sino alla sua fonte: ne esamina l’origine, ne conosce il valore proprio e ne fa l’uso più conveniente.

La verità non è per il filosofo un’amante che gli corrompa l’immaginazione, e che egli creda di trovare dappertutto. Il filosofo si contenta di farla emergere là dove gli riesce di scorgerla. Non la confonde con la verosimiglianza: prende per vero il vero, per falso il falso, per dubbio ed incerto quel che è dubbio ed incerto, per verosimile quel che non è altro che verosimile. Fa anche di più, ed è questa una grande perfezione dell’atteggiamento filosofico: quando non ha motivi sufficienti per giudicare, sa sospendere il giudizio.

Il mondo è pieno di persone di spirito, e anche di molto spirito, che giudicano sempre; e sempre tirano a indovinare, perché è tirare a indovinare dare giudizi senza prima interrogarsi e rendersi conto se si possiede o no un adeguato criterio di giudizio. Queste persone di spirito ignorano la portata dello spirito umano: credono che si possa conoscere tutto; così ritengono vergognoso non prendere sempre posizione con un giudizio, e si immaginano che l’intelligenza consista nel trinciare giudizi.

Il filosofo crede invece che l’intelligenza consista nel giudicare bene: è più contento di sé, in certi casi, quando ha sospeso la sua facoltà di giudizio, e cioè sempre qualora si sia reso conto di non possedere un criterio adeguato alla decisione. Così, il filosofo giudica e parla meno, ma giudica più sicuramente e parla meglio. Non rifugge affatto da quelle vivaci espressioni che si presentano naturalmente alla mente per una pronta associazione di idee che è spesso sorprendente vedere unite. Comunemente si intende per «spirito» proprio questa facoltà di operare vivaci ed improvvisi collegamenti di idee. Tuttavia, tale qualità è quella meno ricercata dal filosofo, che preferisce al brillìo delle frasi l’attenta distinzione delle idee, la conoscenza precisa delle loro estensioni e dei loro legami e la capacità di non lasciarsi abbagliare da somiglianze o rapporti superficiali. È in questo discernimento che consiste ciò che si chiama «giudizio» o meglio «giustezza di giudizio», cui vanno congiunte sia la «duttilità» sia la «nettezza». Il filosofo non è così attaccato ad un suo sistema da non avvertire pienamente la forza delle obiezioni. La maggior parte degli uomini sono così chiusi nella prigione delle loro opinioni da non darsi neppure la pena di comprendere quelle degli altri: mentre il filosofo penetra il modo di vedere che rifiuta con la medesima ampiezza e precisione con cui domina il proprio giudizio. Lo spirito filosofico è dunque uno spirito di osservazione e precisione, che riporta tutto ai suoi veri principi.

Ma il filosofo non si limita ad affinare in questo modo il proprio giudizio. L’uomo non è un mostro costretto a vivere negli abissi del mare o nel cuore delle foreste. Le stesse necessità della vita l’obbligano a entrare in commercio con gli altri; e in qualunque condizione gli accada di trovarsi, i suoi bisogni e il suo benessere lo impegnano a vivere in società. La ragione gli impone quindi di studiarsi di conoscere e di acquistare qualità sociali. Il nostro filosofo non si crede in esilio in questo mondo, né crede di vivere in un paese nemico: vuole godere saggiamente dei beni che la natura gli offre; vuole ricavare piacere dalla compagnia degli altri, e così cerca di andare d’accordo con quelli con cui il caso o la sua scelta lo fanno vivere, e trova nel medesimo tempo ciò che gli conviene. È un galantuomo che vuol piacere e rendersi utile. I grandi, cui la vita dissipata non lascia tempo sufficiente per meditare, sono per lo più crudeli contro tutti coloro che non stimano loro eguali. I filosofi nel senso corrente del termine sono quelli che meditano troppo o meglio meditano male: costoro sono sempre arrabbiati con il mondo, da misantropi fuggono la compagnia dei loro simili. Ma il nostro filosofo, che sa equilibrare il riserbo solitario con la socievolezza, è pieno di umanità. È il Cremete di Terenzio, che sente di essere uomo, e che per sola umanità si sente interessato alla buona o alla cattiva fortuna del suo vicino: «Homo sum, humani a me nihil alienum puto».

È quasi inutile sottolineare qui quanto il filosofo sia geloso di tutto ciò che si chiama «onore» e «probità». La società civile è quasi per lui come una divinità in terra: la incensa e la onora con la probità, con la scrupolosa osservanza dei suoi doveri e con il desiderio sincero di non esserne un membro inutile o fuori posto. I sentimenti di probità entrano in quella che vogliamo dire «la costituzione meccanica» del filosofo tanto quanto i lumi dell’intelligenza. Più troverete retta ragione in un uomo, e più in lui troverete anche bontà e probità. Dove al contrario, regnano il fanatismo e la superstizione, lì domineranno anche le passioni e la collera prepotente. Il temperamento del filosofo consiste nell’agire in modo ordinato e razionale; poiché egli ama al massimo grado la società, a lui importa molto più che a tutti gli altri uomini impiegare ogni energia per produrre solo effetti conformi all’ideale dell’uomo sociale e civile.

Non abbiate timore che il filosofo, quando nessuno gli tiene gli occhi addosso, possa abbandonarsi ad azioni contrarie alla probità. No. Questo modo di agire non è assolutamente conforme alla costituzione fisica e meccanica del saggio. Egli è impastato, per così dire, con il lievito dell’ordine e della regola: è tutto compenetrato dalle idee del bene della società civile, e ne conosce i principi molto meglio degli altri uomini. Il delitto in lui troverebbe troppe resistenze: egli dovrebbe distruggere in sé troppe idee acquisite e troppe idee connaturate. La sua facoltà di agire è per così dire come una corda di strumento musicale regolata su un certo tono: non potrebbe produrne uno contrario, perché avrebbe paura di uscir di tono, di discordarsi da se stesso. E questo mi fa rammentare ciò che Velleio dice di Catone l’Uticense: «Catone non ha mai compiuto buone azioni per fare mostra di averle compiute, ma perché non era in lui di agire altrimenti».

D’altronde, in tutte le loro azioni gli uomini non cercano altro che la loro soddisfazione attuale: il bene o piuttosto l’attrattiva immediata, secondo la disposizione meccanica in cui si trovano che li fa agire. Ora, il filosofo dalle sue riflessioni è disposto più di chiunque altro a trovare il massimo dell’attrattiva e del piacere a vivere con voi, a conquistarsi la vostra confidenza e stima, ad assolvere i doveri dell’amicizia e della riconoscenza. Questi sentimenti sono ancor più alimentati nel fondo del suo cuore dalla religione, cui l’hanno condotto i lumi naturali della sua ragione. E inoltre l’idea del disonesto è tanto opposta all’idea del filosofo quanto l’idea dello stupido: l’esperienza mostra tutti i giorni che più si possiedono ragione e giudizio, e più si è sicuri e adatti al commercio con gli altri. Uno sciocco, dice La Rochefoucauld, non ha abbastanza stoffa per essere buono: si pecca soltanto perché i lumi della ragione sono più deboli delle passioni; ed è una massima di teologia vera, in un certo senso, quella che afferma che un peccatore è sempre un ignorante. Questo amore della società così essenziale al filosofo mostra quanto sia vera l’osservazione dell’imperatore Antonino: «Come saranno felici i popoli quando i re saranno filosofi o quando i filosofi saranno re!».

Il filosofo è dunque un galantuomo che agisce sempre guidato dalla ragione, e che unisce a uno spirito riflessivo ed equilibrato i buoni costumi e le qualità sociali. Innestate un sovrano su un filosofo di tale tempra, e avrete un sovrano perfetto.

Da tutto ciò è facile concludere quanto sia lontano il saggio insensibile degli stoici, dalla perfezione del nostro filosofo: il filosofo quale noi l’intendiamo è un uomo, mentre il loro saggio era un mero fantasma. Essi si vergognavano dell’umanità, mentre egli ne fa la propria gloria; essi volevano follemente annientare le passioni e innalzarsi al di sopra della nostra natura con una insensibilità chimerica, mentre il nostro filosofo non pretende all’onore chimerico di distruggere le passioni, perché ciò è impossibile, ma si adopera per non esserne reso schiavo, per metterle a profitto e farne un uso ragionevole, giacché questo sì è possibile e la ragione glielo ordina. E si vede anche bene da tutto quello che abbiamo detto sinora quanto si allontanino dalla giusta idea del filosofo quegli indolenti che, dediti unicamente ad una meditazione pigra, trascurano la cura dei loro affari temporali e di tutto quanto è legato all’interesse economico. Il vero filosofo non è tormentato dall’ambizione, ma vuole avere le comodità della vita: oltre allo stretto necessario, gli abbisogna quanto di onestamente superfluo serve a un uomo di qualità e che solo può renderlo felice, quel tanto di agio che giova alle convenienze sociali e ai giusti piaceri della vita. Sono i falsi filosofi che, con la loro indolenza e con le massime mirabolanti ed eccessive, hanno fatto nascere il pregiudizio che gli basti lo stretto necessario.

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