Evoluzione del linguaggio formale

Arte ed EsoterismoÈ indubbio che una caratteristica del linguaggio umano sia quella di trasformarsi col passare del tempo. Ma seguirne i mutamenti storici non sembra sufficiente ad impostare uno studio definitivo. E neppure è sufficiente la psicologia a stabilire i principi storici del linguaggio.

Evoluzione del linguaggio formale

di Ulrico Aichelburg

Per conoscere l’evoluzione dei linguaggi cominciamo dal “linguaggio animale”.

Il linguaggio mimico degli animali (unitamente alle espressioni della voce che sono una specie di mimica dell’organo della fonazione) costituisce l’unica base obiettiva per lo studio di una psicologia comparata.

Esso è rappresentato da gesti, suoni, o rumori e da atteggiamenti fisionomici che sono in parte imitativi (onomatopeici) e in gran parte istintivi. Ossia, sviluppatisi secondo le leggi dell’eredità e dell’atavismo.

È dunque un linguaggio non convenzionale intelligibile a tutti, senza ammaestramenti e senza sforzi. Se gli animali non possedessero tale linguaggio non potrebbero allearsi, formare famiglie, costruire società, difendersi dai nemici, adunarsi ed emigrare in determinate epoche.

Si può ritenere che il linguaggio mimico è più ricco nei più intelligenti animali. Si notano, inoltre, nei diversi animali differenze rispetto agli organi o parti incaricate a fornire espressioni e mimiche. Nei mammiferi superiori la faccia, con la mobilità dei suoi muscoli, è quella che traduce il maggior numero di espressioni.

In molti mammiferi le orecchie coi loro movimenti contribuiscono molto all’espressione.

Il naso, le labbra e la bocca svolgono il ruolo maggiore nel giuoco della fisionomia.

Per la mimica, sono molto importanti i movimenti della coda e quelli dei piedi ed il complesso del corpo, coi suoi atteggiamenti, prende parte all’espressione.

Il mezzo principale per l’animale, per esprimere i sentimenti, i bisogni e le passioni più acute e violente, è la voce, rappresentata da suoni e rumori scarsamente articolati, caratteristici delle diverse specie. Mentre il linguaggio fonetico articolato è una dote esclusiva dell’uomo, e una delle facoltà più elevate per cui si distingue nel regno animale.

Anche l’uomo, come gli animali, esprime col linguaggio i propri sentimenti, e si può dire che non ci sia frase che non abbia anche un colorito emotivo o affettivo. Nel linguaggio umano vi sono più significati e riferimenti obiettivi, e questi sono la caratteristica dell’enunciazione dei concetti. I nomi che si assegnano alle cose e alle persone sono i simboli dei desideri e dei pensieri.

Si possono usare vari simboli per esprimere lo stesso desiderio e lo stesso pensiero: i simboli non sono caratterizzati dall’uniformità ma dalla variabilità.

Si può formulare questo concetto anche dicendo che il linguaggio è per sua natura metaforico. Anziché descrivere le cose direttamente, le descrive in modo indiretto. E come le descrive? Forse mediante suoni che hanno un’identità parziale con gli oggetti cui si riferiscono, ossia, seguendo un indirizzo onomatopeico?

In realtà ciò non sembra sostenibile. Per quanto si faccia, non si riesce a trovare una somiglianza tra suoni e oggetti. Né maggior valore può essere attribuito alle teorie che il linguaggio umano abbia avuto origine da suoni puramente emotivi, da esclamazioni che esprimevano i sentimenti umani. Infatti, tra il linguaggio emotivo (usato anche dagli animali) e il linguaggio enunciativo (esclusivo dell’uomo) vi è una differenza fondamentale, e non se ne intravedono punti di passaggio.

È indubbio che una caratteristica del linguaggio umano sia quella di trasformarsi col passare del tempo. Ma seguirne i mutamenti storici non sembra sufficiente ad impostare uno studio definitivo. E neppure è sufficiente la psicologia a stabilire i principi storici del linguaggio.

Chi seguì una nuova linea in questo campo fu Willhelm Von Humboldt, secondo il quale il linguaggio non è un semplice insieme di parole. Per cui, la vera differenza tra i linguaggi non sta nella differenza dei suoni o dei segni, ma nella diversa “visione del mondo”. Cioè, nella diversa visione mentale dell’uomo.

Parole e regole d’una lingua si evincono nello sviluppo di un discorso coerente e non possono essere considerate come entità separate. In sostanza, il linguaggio è un processo continuo, lo sforzo rinnovato della mente di utilizzare i suoni per esprimere i propri pensieri.

Abbiamo accennato al linguaggio come fenomeno fisico, come fonetica, descritto quindi in termini di fisica e di fisiologia. Ma si deve ora sottolineare che il fonema è più che una unità fisica, una unità di significato, e quindi qualcosa di immateriale . In altre parole, nell’insieme dei caratteri acustici di ogni espressione, alcuni elementi vengono usati per esprimere differenze di significato.

Ogni lingua, insomma, mezzo alla sterminata moltitudine dei suoni fisici sceglie i suoi fonemi in numero limitato. E tale scelta non è casuale, perché, ogni lingua si costruisce attraverso un determinato schema fonetico.

Ciò non toglie che esistano dei caratteri comuni a tutte le lingue. Basterebbe considerare il fatto che, il linguaggio, in quanto forma simbolica, ha lo scopo di unire gli uomini. E questo, probabilmente, è il più alto scopo di tutte le forme simboliche.

Come è vero che senza i linguaggi non ci sarebbero le comunità umane, e anche vero che le differenze dei linguaggi sono uno dei più seri ostacoli per la formazione di una comunità universale degli uomini. Rimane, tuttavia, l’unità funzionale delle diverse lingue, cioè, il fatto di adempiere lo stesso compito nella vita di tutte le comunità.

In quanto diverse, ogni lingua ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi rispetto alle altre. Cosicché non è lecito attribuire una superiorità a certune rispetto alle altre. La realtà linguistica non può ammettere comparazione di questo genere.

Gli psicologi affermano che senza conoscere la vera natura del linguaggio non è possibile conoscere appieno lo sviluppo dello spirito umano. Nel sordomuto che riesca ad afferrare il simbolismo del linguaggio, la vita intellettuale assume una forma completamente nuova.

Lo stesso cambiamento si osserva nella vita di ogni bambino normale allorché impara a parlare. Il suo sviluppo mentale, infatti, viene profondamente influenzato dall’apprendimento.

Imparando il nome di persone ed oggetti, egli non si limita ad imprimere meccanicamente nella memoria una lunga serie di parole. Ma pone le parole in rapporto coi significati di persone ed oggetti che conosce solo praticamente. In tal modo fissa i concetti legati al rapporto coi loro significati, sviluppando il processo di oggettivazione del mondo esterno. In sostanza, il bambino si appropria dei significati di un mondo a lui sconosciuto.

Allo stesso modo, l’apprendimento di una lingua straniera non consiste solo nell’imparare nuovi vocaboli e regole grammaticali, ma nel mettersi in condizione di pensare in modo diverso nella nuova lingua. Per questo, bisogna in un certo senso dimenticare la lingua vecchia, allentare il legame ormai saldamente stabilitosi fra vocaboli ed oggetti, per penetrare la lingua straniera interpretando il nuovo spirito. E ciò dà modo di avvicinarsi ad un nuovo mondo di idee e significati.

Naturalmente il linguaggio esprime non soltanto oggetti mediante termini concreti, ma anche concetti astratti e universali. I primi nomi che l’uomo adopera, all’inizio della sua esistenza, sono quelli concreti, che rimarranno fondamentali e quasi unici nelle civiltà primitive.

Evolvendosi le condizioni sociali e culturali, anche i linguaggi si sono sviluppati ascendendo verso concetti e categorie universali. E questo ha sempre corrisposto ad una più ampia contemplazione del mondo.

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