L’Agape o banchetto massonico

MassoneriaDella catena alimentare cosmica – Del termine Agape – Cena la messa primitiva – Il banchetto totemico – L’agape oggi

Il termine agape, è un termine biblico – molto raro nella letteratura greca – che indica puro amore di Dio, la sua donazione gratuita («per grazia») all’uomo.

L’Agape o banchetto massonico

di Adriano Nardi

Sommario: Della catena alimentare cosmicaDel termine AgapeCena la messa primitivaIl banchetto totemicoL’agape oggi

Della catena alimentare cosmica

Nel Cosmo tutto è costruito secondo un unico disegno: da qui proviene la grande corrispondenza che si osserva tra gli organismi dei diversi regni della Natura. Che vive in un equilibrio dinamico, regolata da Leggi immutabili che, in un continuo lavorio consentono in quel disegno di ri-ordinare ogni stato di caos. L’esempio più vicino a noi è la complessità dell’organismo umano, che riesce a sintetizzare in un sistema coordinato processi di organi tra loro molto diversi nella vita di un corpo, esprimendo nella malattia le tensioni generate dagli squilibri che minano la sua integrità.

Questo è vero nel micro come nel macrocosmo.

L’alimentazione è insita al processo vitale di qualsiasi forma anche se il “cibo” varia a seconda del piano di manifestazione considerato. Ci limiteremo a considerare il pianeta che abitiamo ed i suoi regni di natura per dare brevemente un’idea che ci servirà poi per affrontare l’oggetto al centro della nostra riflessione.

Quando viene meno l’equilibrio dei giusti rapporti nel dare-avere, rompendo così le maglie della catena alimentare che esiste tra i regni di natura e anche al loro interno, si genera caos. Questa interrelazione secondo la quale nulla è separato fa si che non c’è azione che non produca effetti anche su altri piani e nel mondo sottile ciò è ancor più vero, tanto che l’Insegnamento iniziatico insiste sulla qualità del pensiero che ha il potere di ignificare lo spazio purificandolo, così come d’inquinarlo in caso contrario.

Viene insegnato che ogni piano prenda il nutrimento da quello sottostante. Concisamente diremo che al di sopra dei regni materiali vi è il regno della Luce (una metafora exoterica) la cui discesa produce il regno minerale, luce cristallizzata, ovvero energia cosmica mineralizzata; il regno vegetale si nutre traendo il proprio sostentamento dal precedente; il regno animale trae nutrimento dal regno vegetale e di conseguenza da quello minerale. Il regno umano è in parte costituito di una natura animale, ma anche di una parte psichica ed in embrione una spirituale. In questo risulta peculiare l’uomo come medio tra la materia e lo spirito, tra il mondo fisico e il mondo sottile.

Nella scala alimentare sembrerebbe conseguente che anche l’uomo debba nutrirsi del regno precedente. Nel processo di evoluzione l’uomo-animale però cede sempre più spazio all’uomo-psichico che, quando giunge a manifestarlo nei fatti, è essenzialmente pensiero. Dal proprio piano interiore quest’ultimo si ciba del proprio animale; in altre parole la mente trae sostentamento dalla propria fisicità che è di natura animale, assimilando perciò energia dal proprio corpo fisico. L’alimentazione è l’Alchimia del Corpo, a cui si aggiungono un’Alchimia della Mente ed un’Alchimia dello Spirito

Il sapere esoterico parla di sacralizzazione della materia per cui attraverso il pensiero astratto l’iniziato trasforma in pura energia l’alimento materiale (il corpo del pianeta) che assume in sé.

Il regno spirituale, infine, trae il proprio sostentamento dai pensieri e dai sentimenti d’ordine superiore del regno umano.

Quanto sopra ci consente di meglio collocare il senso della cerimonia chiamata Agape Rituale.

Del termine Agape

Il termine agape, è un termine biblico – molto raro nella letteratura greca – che indica puro amore di Dio, la sua donazione gratuita («per grazia») all’uomo. Nel giudaismo rabbinico agape – che precedentemente connotava anche il rapporto sessuale e i legami di sangue – viene a definire esclusivamente l’atteggiamento di Dio verso l’uomo. In seguito, nei testi cristiani indica l’intero contenuto della fede (Gv. 3,16): Dio è puro amore, totale donazione che suscita nell’uomo credente una risposta simile.

Il concetto di agape è radicalmente opposto a quello di eros, in quanto il primo esclude ogni desiderio, ogni aspirazione a ciò che non è ancora posseduto: l’ agape può essere solo donata da Dio, mentre l’ eros nasce dall’egocentrismo umano.

La tradizione cristiana, sotto l’influsso dell’ellenismo, ha invece cercato una sintesi fra questi due tipi di amore: caritas indica, già in Agostino, il dono (agape), ma anche il desiderio (eros). L’ agape viene così progressivamente assorbita dall’eros che la sottomette, e l’amore cristiano diventa, durante tutto il medioevo, la ricerca del bene, la ricerca di se stessi (amor sui); lontano dalla nozione originaria propria del nuovo Testamento.

Cena la messa primitiva

La parola “Loggia” di cui si servono i massoni, oggi deboli successori degli Iniziati, ha la sua radice in loga (loka in sanscrito) una località e un mondo, e dal greco logos la Parola, un discorso; per cui il pieno significato è: un luogo dove certe cose sono discusse.

Le riunioni del logos dei Massoni primitivi, iniziati, finirono per essere chiamate synaxis, assemblee dei Fratelli allo scopo di pregare e di celebrare la Cena (cenare) dove soltanto le offerte monde di sangue, i frutti e i cereali erano utilizzati. Presto queste offerte furono chiamate hostiae od ostie pure e sacre, per contrasto con i sacrifici impuri e perché le offerte consistevano in frutti della mietitura, i primi frutti delle messis.

La parola synaxis aveva, per i greci, il suo equivalente nella parola agyrmos (una riunione di uomini, un’assemblea). Essa si riferiva all’iniziazione dei Misteri. Le due parole synaxis ed agyrmos caddero in disuso mentre restarono e prevalsero le parole missa o messa.

Le messe primitive erano delle Cene (l’ultimo pasto della giornata) il semplice pasto dei romani. Queste Cene, presso i cristiani, divennero dei pasti consacrati alla memoria dell’ultima cena del Cristo.

Al tempo degli apostoli, i giudei convertiti si riunivano nei loro synaxis per leggere gli Evangeli e le loro corrispondenze (epistole). San Giustino (150 d.C.) ci dice che queste solenni Assemblee erano tenute nel giorno chiamato “giorno del Signore”, in latino dies magnus. Detto giorno comprendeva il canto dei salmi, la “collazione” del battesimo con l’acqua pura ( diritto di conferire il battesimo) e “l’Agape, o santa cena, con l’acqua e il vino”.

Il banchetto totemico

“Nell’antichità, il rituale presente in molte religioni di cibarsi di Dio, si chiamava «banchetto totemico», oggi «sacramento della Comunione».

Non è dei simboli che l’iniziato si deve liberare, ma delle forme di religiosità tribale. ” – (La Bibbia sull’Ara e la Menorah sull’altare – A.A. Altomonte)

[da Totem e Tabù (1913) – Sigmund Freud] W. Robertson Smith in Lectures on the religion of the Semites, London 1894, scrive:

«Alcune sopravvivenze linguistiche dimostrano con certezza che in origine la parte del sacrificio destinata al dio era considerata come suo reale nutrimento. Con la progressiva smaterializzazione della natura divina, questa concezione parve sconveniente; si tentò di evitarla tributando alla divinità solo la parte liquida del banchetto. In seguito, l’uso del fuoco, che dissolveva in fumo la carne della vittima, ha reso possibile una manipolazione del cibo umano più degna dell’essenza divina. Come bevanda, in origine veniva offerto il sangue degli animali sacrificati, in seguito sostituito dal vino. Il vino era considerato dagli antichi come il “sangue della vigna”.

La forza etica del banchetto sacrificale pubblico si basava su antichissime concezioni del significato dell’atto del mangiare e del bere in comune. Mangiare e bere insieme era nello stesso tempo un simbolo e un rinvigorimento della comunanza sociale e degli obblighi reciproci; il banchetto nel sacrificio esprimeva direttamente il fatto della commensalità del dio e dei suoi adoratori e questa commensalità implicava tutti gli altri rapporti che si supponeva esistessero tra quello e questi.

La regola che impone ad ogni convitato che partecipa al banchetto sacrificale di consumare la carne dell’animale sacrificato (il totem, n.d.a.), ha lo stesso significato della prescrizione per cui un membro della tribù che si sia macchiato di una colpa dev’essere giustiziato dall’intera tribù. In altri termini, l’animale sacrificato era trattato come un membro della tribù: la comunità che offriva il sacrificio, il suo dio e l’animale erano dello stesso sangue, membri di un unico clan.

Malgrado il timore (il tabù, n.d.a.) che proteggeva la vita dell’animale sacro come fosse un membro della tribù, di tanto in tanto s’imponeva la necessità di sacrificarlo solennemente in presenza di tutta la comunità e di distribuire la sua carne ed il suo sangue ai membri della tribù.

La ragione che ispirava queste azioni ci rivela il significato più profondo del sacrificio. Sappiamo che in epoche più tarde, ogni pasto in comune, il condividere la stessa sostanza che poi penetra nei corpi, creava tra i commensali un legame sacro, ma in epoche più antiche questo significato veniva attribuito all’assunzione comune della carne di una vittima sacra.

Il sacro mistero della morte sacrificale si spiega col fatto che solo così si può stabilire il legame che unisce i partecipanti tra di loro e Dio

L’analisi prosegue con la descrizione dell’origine e del rituale del sacrificio, ma a noi basta quanto sopra per evidenziare il concetto del la santificazione mediante la partecipazione al pasto comune.

A queste considerazioni è necessario aggiungere l’interpretazione in chiave psicologica del banchetto totemico.

“Questo concetto totemistico ed antropofagico, di nutrirsi realmente con il simbolo o con l’oggetto del desiderio, della venerazione, della spinta amorosa, del timore e della paura (il tabù nelle sue diverse nature, da quello sessuale a quello religioso), scaturisce dal ricordo del legame materno, mentre l’uccisione è la rimozione tra sé stessi ed il desiderio dell’autorità paterna.

Questa dualità Padre-Madre, dall’immaginario inconscio umano, è proiettata in ogni credo religioso che, con le sue cerimonie, incrementa ancora nell’uomo quella fase infantile detta orale (l’infanzia psicologica non ha nulla a che vedere con l’infanzia fisiologica). In questa fase d’emotività egocentrica, non sapendo applicare l’introflessione speculativa o spirituale, perseguendo (andando verso) un modello amato o desiderato, l’uomo cerca d’interiorizzarlo assumendolo fisicamente, fagocitandolo. Possedendolo al proprio interno, crede così di assumerne le qualità che destano l’ammirazione o l’adorazione del visionario.” – (La Via exoterica e le religioni totemiche – A.A. Altomonte)

Il rito eucaristico, che la tradizione cristiana lega all’ultima cena, è spesso accomunato come antefatto dal quale discende l’agape massonica, che è pure una comunione tra i partecipanti in nome del Principio condiviso. Si tratta di un accostamento a dir poco azzardato.

Il rito eucaristico come dicevamo nasce dall’idea di assumere in sé il corpo di dio, in altri termini di portare l’infinito nel finito. Questo paradosso lo troviamo anche per le forme speculative che tendono all’antropomorfizzazione del Principio non solo nella forma (vedi il concetto di ad immagine e somiglianza) ma anche negli attributi emotivi (!) della divinità quali vendetta, perdono, ira, amore, e quant’altro.

Nell’agape invece, ciò che si assume in sé, il cibo, trova la sua prima ragione non nella quantità ma piuttosto nella sua essenzialità e proiezione simbolica. Tutto è funzionale all’unione con il Principio condiviso, possibile solo con la condivisione di ciò di cui ci si alimenta. E noi sappiamo che l’alimento nella Massoneria speculativa è la qualità del pensiero. L’atto di spezzare e condividere il pane, simbolo dell’Insegnamento spirituale, ben raffigura questa solidarietà fraterna nel dare agli altri la parte migliore di noi stessi.

Un altro aspetto da notare è che se nel rituale ecclesiastico la liturgia eucaristica ne rappresenta il culmine, nel cerimoniale massonico il momento di massima elevazione è rappresentato dalla catena d’unione che risponde alla Legge d’Evocazione-Invocazione; basterebbe questa consapevolezza a decretarne l’alto valore rituale, tanto da renderne opportuna l’esecuzione a lavori ancora aperti.

L’agape oggi

Il banchetto, il convivio, l’agape, il cenacolo o, semplicemente una cena, sono ancora considerati importanti momenti di aggregazione ed occasioni che rincorrono lo stesso fine; unire con i loro rituali, se possibile più saldamente, i legami di affinità solidale tra membri d’un medesimo gruppo d’elezione.

Nel caso d’un matrimonio, afferma l’alleanza tra le forze di due clan famigliari, ed i regali di nozze ne sono il pegno e la promessa. Una festa religiosa o una ricorrenza sociale perderebbe agli occhi del popolo gran parte della sua importanza, se fosse privata della ritualità del banchetto, del cenone o della gran bouffe. In altre parole, nel momento di unione e di riconoscimento tra affini di un importante momento simbolico, si manifesta ancora tutta l’importanza ed il peso rituale del banchetto totemico. In quel banchetto oggi la bevanda sacra non è più il sangue ma il vino, e la sua esecuzione rituale oggi si chiama brindisi, ma le condizioni emotive che muovono gli attori (una volta i capi) ed i comprimari (i gregari) sono le medesime, e medesimo è il profilarsi, anche se provvisoria, d’una gerarchia d’autorità e di potere, spesso limitata all’evento. Non esiste occasione di patto e d’alleanza, d’augurio e di religiosità che non sia suggellata dall’elevazione rituale d’un calice di vino; perché il suo alcool rappresenta materialmente lo spirito, e questo liquido rende solenne e sacrale l’azione svolta o di buon auspicio la ricorrenza.

È ancora del tutto naturale tra gli uomini “moderni” di cibarsi, in particolari occasioni, dell’animale totem, sacrificale, espiatorio o semplicemente convenzionale. Il tacchino del “giorno del ringraziamento”, l’agnello, il capitone, il toro e molti altri tipi di povere bestie, sono ancora oggi immolate per l’uso tribale e superstizioso, di credere di potersi ingraziare il destino, l’ignoto e la sua collera, con cibi e bevande rituali. Come possiamo vedere, nonostante l’alta tecnologia, sembra che tutte le paure inconsce e le superstizioni consce, chiamate pudicamente tradizione popolare o dei “nostri nonni”, che giustificano il banchetto totemico ed il convivio sacrificale, godano ancora di grande considerazione ed attirino grande attenzione e dispendio di energie.

La spiritualità è l’essenza interiore (la sostanza di “vita”) mentre il culto, ogni culto, è l’espressione esteriore e visibile agli occhi fisici (la forma “morta”).

L’essenza interiore dell’Agape allora è l’Amore, non nei termini fin troppo avviliti, ma il vero Amore che è creativo, l’Agape dei Greci e non suppone l’indulgenza o la debolezza d’innanzi all’errore, ma la cura della Giustizia e della Verità.

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