Nella cabala si dice che la Torah è l’estensione e la permutazione del nome di Dio, IHVH. Pertanto l’oggetto della cabala sembra essere la conoscenza di Dio, principio e fine di tutte le cose.
Dall’uomo a DioNella cabala si dice che la Torah è l’estensione e la permutazione del nome di Dio, IHVH. Pertanto l’oggetto della cabala sembra essere la conoscenza di Dio, principio e fine di tutte le cose. Dio (Elohim), e la natura (ha-teva), hanno in ebraico, lo stesso valore ghematrico, per questo studiando l’uomo e la natura si realizza la ricerca di Dio. È cercando Dio che l’uomo prende coscienza di sé stesso; cercando Dio l’uomo sperimenta la sua libertà e la stabilisce nell’esperienza del suo essere rendendosi conto che è lo stesso Essere uno ed indivisibile. È così che l’uomo riallaccia o riunisce, la cosa separata in un nodo armonioso di soave dolcezza esercitando la sua libertà e volontà di unione in Quello che è la sua origine e la sua condizione naturale. Quello che sorprende la ragione, è che ogni essere individualizzato abbia un solo ordine, una sola origine ed una sola fine. Un solo Dio per tanti milioni di esseri. Amare Dio al di sopra di tutte le cose è il primo comandamento per ogni essere, ma lo Zohar lo dice in questo modo: “Conoscerete che Io sono l’Eterno, il vostro Dio”. In modo che invece di un ordine, “amare a Dio” sia la sola condizione per tutti gli esseri: Unità nell’Eternità. Alexander Safran nel suo libro La Cabala domanda: “Si può ordinare ad un uomo di conoscere Dio?” Conoscere Dio non si riduce ad un atto di conoscenza intellettuale che ha Dio per oggetto, è prima necessario che ogni uomo abbia nella sua mente la predisposizione ad entrare in un difficile compito di ricerca della divinità. Volendo pensare l’umanità divisa in gradi di inquietudine, di necessità e predisposizione, possiamo supporre che una parte di essa non si pone il problema di conoscere Dio. Vi sono poi quelli che stanno bene con la propria religione e con i postulati da essa stabiliti. In altri casi ci sono fedeli che mettono in discussione il modello a cui s’ispirano, dando così il via ad una ricerca di risposte che possano soddisfare le loro apprensioni. Quest’ultimi costituiscono quei ricercatori che prima o poi realizzeranno l’unione mistica con Dio. Ciononostante, tutti con il loro tempo, giungeranno a tale realizzazione. Dio non è un oggetto che la ragione umana possa analizzare o conoscere, data la sua profonda natura. Quando parliamo di Dio lo facciamo con la nostra ragione o con le nostre emozioni, che lo percepiscono in un immaginario soggettivo Ma Egli non è né oggetto né soggetto, pertanto, il modo per conoscere Dio deve seguire un metodo che escluda le nostre proiezioni. Dio non lo si può possedere. La nostra educazione dell'”avere” deve cambiare in “essere” che significa sperimentare la via della realizzazione di unità, della nostra origine, del nostro presente e del nostro destino, tutto in una sola esperienza. Questo vissuto ci mostra un essere globale, questo Essere o Dio, quando è presente nell’esperienza, è come se coinvolgesse in una presa di coscienza, col risultato che la frase biblica “Io Sono” (Anohi in ebraico), abbraccia tutti i nomi sacri di Dio come i suoi comandamenti pronunciati per coloro che l’hanno realizzato. Dio è l’Essere, la Realtà, che viene percepita quando l’essere umano realizza l’Essere. Questo non è un gioco di parole, ma corrisponde ad un livello di coscienza nel quale non ci s’idenifica più con la parte fisica, in cui i sensi sono quietati e la mente riposa, così da raggiungere la realizzazione del proprio essere più profondo; è allora che l’individuo inizia a comprendere che Dio è l’esperienza dell’Essere. In questo stato di coscienza non c’è proiezione dell’individuo nell’oggetto, è una Realtà nuova che la ragione ed i sensi non avevano percepito prima, per questo motivo diciamo che Dio non è oggetto, né soggetto. Da questa eterna esperienza, atemporale, che ci permea completamente, possiamo affermare che alcune vecchie espressioni dei saggi diventano nuove nell’esperienza personale. Ci riferiamo a frasi come quella che dice: Dio è il tutto, è onnipresente e niente si crea senza di Lui che abbraccia tutto. Comprendiamo anche che Dio è l’Essenza, l’Interiorità, e quando parliamo di Reintegrazione ci riferiamo a questa magnifica esperienza di Essere. Nel Sepher Yetzirah c’è anche una frase che dice: Prima dell’uno che cosa puoi contare? Egli può estendersi attraverso tutti i piani, Atziluth, Briah, Yetzirah ed Assiah, essere nell’uomo, ritrarsi in Sé stesso, permutarsi, ma Lui è sempre Lui. Dice Filone: Dio non può essere concepito in nessun modo che non sia di Dio stesso. Ci siamo mai chiesti perché tutti gli uomini in qualche momento della loro vita si sentono attratti da Dio? È per un senso di vulnerabilità e vogliamo cercare fuori o dentro di noi qualche specie di protezione o è perché nella parte più profonda di noi sentiamo un’attrazione naturale alla realizzazione dell’Essere? Nella Bibbia possiamo trovare riferimenti che interpretati in un certo modo potrebbero suggerirci la risposta. Il Primo libro dei Re dice che quando Salomone peccò, per costruire un tempio ad Astarte, Dio gli tolse il dominio su Israele, ma grazie a suo padre David, gli lasciò una tribù. Israele è Dio esteso nel piano di Yetzirah (formazione), come si evince dall’addizione e riduzione teosofica, ghematrica, del suo nome Israele: I = 10; Shin = 300; Rosh = 200; Alef = 1; Lamed = 30. Totale 541, livello di Yetzirah o formazione. Da cui 5+4+1 = 10. Quindi 1+0 = 1. Pertanto, Dio è l’Uno e Israele è l’Uno nel piano di Yetzirah. Dio e Israele sono la stessa cosa nel suo significato più profondo. Dio si è esteso fino all’umanità. Da quanto detto possiamo interpretare che quando l’uomo si separa da Dio in coscienza, Egli, che siamo noi stessi, ci toglie il dominio, vale a dire, perdiamo la coscienza spirituale, ma ci lascia una tribù, cioè, un dominio terreno che ci mantiene uniti a Lui attraverso un filo; ora il lavoro consiste nel recuperare detta coscienza attraverso quel filo o luce interiore che vive nei cuori di tutti gli uomini e che chiamiamo simbolicamente, fidanzata, gemella, matrona, shej’nah, anima, etc. Rispetto all’esperienza dell’uomo nella sua scoperta di Dio per interiorizzazione nella sua propria coscienza, dice Safran: “Quando l’uomo si rende conto che esiste un Anohi, un Io, e che questo Anohi gli dirige la parola, scopre il suo stesso essere e si accorge che anche lui può trasformarsi in un Anohi. Fino ad allora è esistito, sì, ma ha ignorato la sua esistenza, e non si è interrogato in proposito.” Ora possiamo comprendere un’altra frase biblica, la quale dice che Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza. Se i milioni di esseri umani della terra realizzassero l’esperienza di Essere, si renderebbero conto che effettivamente siamo ad immagine e somiglianza di Dio. Bisognerebbe lasciare da parte il senso separativo suscitato dalla prospettiva dell’auto identificazione ingannevole per dirigersi verso l’interno di se stessi in una profonda iniziazione come quella dettata dal Filosofo Sconosciuto, che in parole semplici dice: “l’iniziazione che cerco è quella che dal profondo del mio essere, mi porti alla comunione col Dio del mio cuore.” Abbiamo indicato altre volte che il nome di Gesù in ebraico (IHShVH), significa letteralmente il Dio che salva. Di nuovo ritorniamo all’idea di salvazione non più ad un’attesa passiva che qualcosa verrà a salvarci, bensì come una condizione attiva di approfondimento nella nostra stessa coscienza fino a realizzare l’Essere. Questa è la salvazione o reintegrazione o restaurazione, che significa unire le parti separate della coscienza. “È l’uomo che si assicura la sua salvazione attraverso l’azione” – Safran. Come possiamo conoscere Dio finché non arriviamo alla realizzazione di Essere? Quando parliamo di conoscere gli uomini diciamo “per i fatti li conoscerai”. Quando parliamo di conoscere Dio dovremmo dirigere anche la nostra osservazione e studio verso i suoi fatti. Studiare la natura e l’uomo è il metodo attraverso il quale non è sufficiente a raggiungere la realizzazione dell’Essere. Tuttavia, chi ha meritato il dono della realizzazione dell’Essere comprenderà che non ha bisogno di studiare la natura e l’uomo, perché il suo nuovo vissuto lo impregna dell’Io Sono. Nonostante ciò, finché non si ottiene la realizzazione dell’Essere, il metodo accennato può essere valido, perché stabilisce un dialogo tra il proprio essere esteriore ed interiore. Quest’ultimo, avendo coscienza del bisogno sincero e tremendo dell’essere esteriore, per la sua fame di Dio, lo porta verso la realizzazione dell’Essere, facendogli vivere un’esperienza meravigliosa e sublime che non si può descrivere a parole. A proposito di questo ricordo il dialogo di un monaco con il suo discepolo che gli domanda: “maestro quando posso vedere Dio?” Al che il vecchio monaco lo prende per la pettorina e introduce la sua testa in uno stagno d’acqua fino al punto di soffocarlo. Dopo un po’ lo tira fuori per farlo respirare e gli risponde: “Potrai vedere Dio quando lo desidererai così, come ora desideravi respirare.” Il riferimento antico del Genesi è una possibilità per iniziare lo studio dei fatti imputati a Dio. In quest’opera, che parla della creazione, si stabilisce fin dall’inizio una stretta relazione tra uomo e Dio. Il Creatore e la creatura rimangono uniti. Il Dio creativo è Elohim, mentre l’interlocutore con l’uomo è IHVH. È questo aspetto di Dio quello che inizia una creazione incompiuta, ma stabilisce la relazione con l’uomo affinché esso continui l’opera. Quando l’uomo scopre Dio per interiorizzazione, quando raggiunge la realizzazione dell’Essere, stabilisce questa relazione tra lui e Dio e lo contempla, come se si guardasse allo specchio, perché quello è il suo Compagno. Il nome Elohim, Dio, e “avere-teva”, la Natura, possiedono lo stesso valore numerico, ottantasei, pertanto, se si studia questo si inizia a stabilire una più stretta relazione con Dio. Dio non è percepito né attraverso i sensi né attraverso la ragione, Dio non è quello che pensiamo o sentiamo emozionalmente. Neanche la teologia o la filosofia possono avvicinarci all’esperienza dell’Io Sono. Il metodo scientifico non si sostituirà mai alla nostra coscienza, attraverso la quale possiamo afferrare Dio. L’educazione che abbiamo ricevuto da bambini, che ci ha riempito di schemi mentali, non è affatto adeguata a sentirci immagine e somiglianza di Dio. C’è una realtà metafisica che bisogna far nostra prescindendo dagli sforzi del pensiero speculativo come fanno gli uomini della cabala, i quali si immergono nel loro stesso essere fino a raggiungere la Realtà. Così facendo sembra che ci sia una parte dell’Essere che si rifiuti di essere scoperta, pertanto, il compito dell’uomo di cercare Dio non è questione di pochi giorni. I cabalisti non si scoraggiano perché la realizzazione dell’essere gli infonde una fede promettente, finché un giorno troveranno uno scalino sul quale salire. Non è la fede cieca, neanche la fede religiosa, bensì una fiducia nel fatto che saranno condotti ad un’espansione dell’azione permanente della coscienza. Di seguito riportiamo un monito del mistico musulmano, Al-Hallag (858-922): Il tuo spirito si è mischiato col mio spirito A qualcuno potranno sembrare irriverenti le sentenze del mistico musulmano, ma chi ha sperimentato l’Essere comprenderà l’estensione e l’intenzione delle sue parole. Santo sia il Signore. Tutti i giorni. Sul metodo della realizzazione di DioAbbiamo detto che tutti i mistici parlano della realizzazione di Dio come una verità universale indipendente dall’epoca e dalla cultura. Ibn Arabi (1165-1241), il sufi di Murcia, dice che la Via, Tariq, è il sufismo: “Dio è la realtà assoluta e questa realtà si manifesta in tutte le cose in diversi livelli di esistenza. La via sufi è, pertanto, il metodo che permette di leggere ed interpretare quei segni della realtà col fine di accedere ad uno stato spirituale vicino ad una conoscenza di Dio.” Laozí (Lao Tze), 570-490 a.C., in Cina, descrive la Via come qualcosa di vago ed oscuro, anteriore all’esistenza del Cielo e la Terra, incognito ed inconoscibile, impenetrabile ed intangibile fino al punto di non potere essere descritta con proprietà. Tuttavia dice poco sul metodo per raggiungere quello che si chiama l’Imperatore del Cielo nel Tao, Dio. Con Zhuang Zí (369-286 a.C.) che segue la linea di Laozí, possiamo vedere più chiaramente un metodo che egli descrive a tappe per raggiungere la realizzazione dell’Essere. Detto metodo è un “actus”, cioè, la realizzazione di Dio, che riesce attraverso l’azione dell’uomo diretta verso l’interiorizzazione. In questo atto si ottiene una realtà che Zhuang Zí chiama la Via, mentre il metodo lo chiama “sedersi sulla dimenticanza.” Gesù il Cristo ed i veri maestri, ci dicono qual è la via da seguire, ce la indicano con simboli e parabole perché il linguaggio non ci trasmette la realtà divina. Essi ci raccomandano di meditare. Prima di Gesù Cristo, la strada o via per arrivare a Dio era zigzagante, con Lui abbiamo imparato una strada retta. Lo disse chiaramente: “Chi viene a me, viene al Padre.” Ma per un occidentale tanto esperto nella speculazione, il metodo più accessibile è quello che viene impartito in alcune, ma poche scuole serie di misticismo come l’Amorc. Oltre alla pratica meditativa, incorpora esercizi di proiezione psichica e di armonizzazione cosmica, strade molto valide per arrivare alla Realizzazione dell’Essere. Considerazioni finali per una migliore comprensioneBenché pecchiamo di ripeterci, torneremo a dire cose già dette, perché, giunti a questo punto, avremo una migliore comprensione di alcune idee, le quali ci aiuteranno a creare una base solida attraverso cui iniziare lo studio della cabala. Lo faremo attraverso riassunti che servono come promemoria in una rapida lettura. Nella lettura di un testo sacro non bisogna solo vedere il senso letterale, perché si trova anche lì il “davar”, il senso nascosto. Dietro una parola si nasconde l’immagine più adeguata di una verità. Il metodo della cabala ci porta alla ricerca di un altro livello di consapevolezza. Detto metodo non sembra essere focalizzato a trovare spiegazioni, bensì a vivere la vera conoscenza. La riflessione e la meditazione producono l’arte di pensare. L’unione del risultato della speculazione coi risultati della meditazione, il confronto e l’interiorizzazione, danno come conseguenza, la realizzazione di una strada sacra di rivelazione che rappresenta il carattere mistico. La parola nulla/niente non esiste, il nulla è qualcosa. L’Essere è tutto, e se è, non può smettere di essere. La creazione è un atto perenne. In questo momento accade. Colui che è, è della stessa natura del Cosmo. Pertanto, qualcosa che sta succedendo non può smettere di succedere. In ebraico, l’ausiliare “essere” non si usa. Siamo abituati ad usarlo perché siamo medici o avvocati, venditori, scrittori, impiegati, donne, uomini, malati, sani, etc. Questo distrugge l’idea del vero essere. Se uno è, non può essere altro. Non si è questo o quello, avvocato o medico. L’io sono non può essere quello che credo che sia, perché se Egli è, non può essere un’altra cosa. Il pensare altrimenti, radica il problema di quello che chiamiamo auto identificazione. In ebraico i superlativi si costruiscono in modo diverso dallo spagnolo. La formula superlativa la troviamo in: “Il Cantico dei Cantici”, “Il Re dei re”, “il signore dei signori”, etc. Il genitivo latino si costruisce in modo diverso dall’ebraico. Noi non pensiamo che un cambiamento di vocali, per esempio legge-legale, muti il significato simbolico. In ebraico non si può toccare una lettera perché il suo valore ghematrico diverrebbe un altro, col quale, cambierebbe il senso nascosto. L’ebraico è per questo una lingua sacra, ecco perché prima di cambiare una lettera bisogna riflettere. Il verbo avere è qualcosa di molto radicato nella nostra consapevolezza soggettiva. Il mio e tuo prendono rilevanza attraverso l’affermazione dell’ego. Ma quell’ego non è il vero ego. Abbiamo parlato dell’errore di autoidentificazione. Pertanto, “avere” è una parola da considerare. Non si può avere l’acqua, il sole, il cielo, Dio, etc. Come si può avere l’acqua se essa è qualcosa di sostanziale in se stessa? Uno può analizzarla, berla, irrigare, lavare, etc., ma non può averla. Nel S. Yetzirah lo spazio è riferito come universo. Nell’universo si trova tutto, mentre noi concepiamo lo spazio come vuoto. L’esperienza interna dell’Essere ci fa concepire lo spazio come “qui”. Il tempo è riferito come anno, periodo, ma non presenta i concetti di passato e futuro. Nell’esperienza mistica il tempo è “ora”. Il tempo è il cuore dell’esistenza. È il sabbat sacro o riposo divino, il riposo del settimo giorno. Un altro problema da eliminare è la concezione perfetta o imperfetta del tempo. Tutto è un presente continuo, tuttavia, il nostro linguaggio si esprime in modo da non permetterci di sperimentare questo continuo. Noi immaginiamo una linea che va da sinistra a destra o da sopra a sotto, e diciamo che da un estremo comincia e che nell’altro finisce. Sviluppiamo una concezione di principio e fine separati tra loro. Bisognerebbe pensare ad una circonferenza, come se prendessimo gli estremi della linea, come se si trattasse di una corda, e li unissimo per le sue estremità formando un cerchio. Arbitrariamente prendiamo un punto e diciamo che è il principio, facciamo il giro e terminiamo il percorso dicendo che quello è la fine. Ci renderemo conto che stiamo richiamando principio e fine nello stesso punto di quella forma. Per l’ebraico il tempo è questa continuità. Inizio e fine si dicono con la stessa parola che possiamo indicare come profondità. Quindi possiamo anche dire che Dio creò il mondo in sei giorni ed il settimo si riposò. Che Egli non smette di essere. Il rabbino Kaplan propone un esercizio per recepire la consapevolezza di profondità. Nello stesso modo possiamo andare sia verso l’alto che verso il basso, perché nel Cosmo non c’è direzione. Ma la nostra mente concepisce qualcosa “sotto a”, dando un senso direzionale alla profondità. Provate il seguente esercizio: sedetevi comodamente e chiudete gli occhi, visualizzate un buco, frugate e tentate di vedere più in basso, continuate a penetrare nel buco, ogni volta più in basso. Sotto a qualcosa c’è sempre qualcosa, continuate a cercare. Quando credete che il buco sia abbastanza profondo, continuate a rovistare, perché sotto continua ad esserci qualcosa. Puoi uscire in un luogo geografico opposto e scoprire che continua ad esserci qualcosa, magari non crederai più di scendere, quindi relativamente allo spazio usiamo la parola salire, ma continua ad essere profondità. Dopo avere fatto l’esercizio vedrete che l’idea di profondità è irraggiungibile: c’è sempre qualcosa più in basso,più profondo, più a destra o a sinistra, non si arriva mai all’inizio né alla fine perché essi sono un continuo. L’alleanza tra il sopra ed il sotto la deve stabilire l’iniziato. Perciò bisogna smettere di parlare; fermate la ruota dell’immaginazione e meditate fino a raggiungere la visione profetica. Il Sepher Yetzirah nella sezione VIII della versione Gra, dice così: “Dieci sephirot del nulla. Frena la tua bocca di parlare ed il tuo cuore di pensare. Se il tuo cuore corre, ritorna indietro”. Per questo motivo è scritto: “I Chayot andavano e venivano” (Ez.1:14). Per questo si fece “un’alleanza”. (Il termine “Chayot” o “Hayyot” Ezechiele lo cambia in Cherubino. Si riferisce alla visione che ebbe sulle rive del fiume Kebar, nel quale fu trasportato a Gerusalemme, che conosciamo come la visione del carro o merkaba). Il sopra e sotto, o questo mondo e il di là, non sono due cose separate, due mondi. Per capire questo, immaginiamo una linea la cui metà non si può vedere perché è nascosta, come una canna messa in una bottiglia oscura dalla quale emerge la metà. Vediamo solo mezza canna, quella che emerge. Così succede con quello che chiamiamo due mondi, questo e/o quello “più” in là. Nella mezza canna, vediamo mezzo mondo, lo sentiamo, lo misuriamo, vediamo le sue forme e colori, discutiamo su di lui. Ma della metà che non vediamo osserviamo ed inventiamo molte storie. Ad alcuni serve per dimostrare di sapere cose che altri non sanno. Un mistico scopre subito questi impostori, che parlano di una cosa che non hanno mai sperimentato. Poiché la maggioranza delle persone non ha esperienza dell’altro lato della “canna”, non può confutare l’impostore, cosa che egli sa e gli viene utile per continuare le sue storie. Ma nell’esempio della canna noi non diremmo che ci sono due canne, ugualmente non possiamo concepire, misticamente parlando, due mondi, bensì uno solo. Ci rendiamo conto, tuttavia, che ci sono una varietà o serie concatenate di cause ed effetti ostensibili, ma una parte della catena rimane nascosta ai sensi, quello che chiamiamo il di là, concependolo come se fosse un’altra cosa. Tutta la canna è parte dell’Essere, per il Quale non c’è separazione. Quello che si concepisce sono scenari distinti, uno per ogni livello di consapevolezza. Un mistico è uno che cammina sulla canna e guarda dentro la bottiglia, si affaccia al suo interno e realizza l’unità. Quando esce dall’esperienza cambia lo scenario. Le leggi di uno si trovano nell’altro, ma i cambiamenti di consapevolezza fanno sì che da una parte ci siano le cause, dall’altra gli effetti. Una definizione di miracolo potrebbe essere “un effetto percepito di una causa non percepita”. Così è, una cosa che cambia all’esterno per qualcosa che avviene dentro la bottiglia, all’esterno manifesta il suo effetto. Tutto succede nella canna, la sola canna. Percependo l’effetto e non la causa rimaniamo a bocca aperta e non troviamo spiegazione, col risultato di chiamarlo miracolo. Tutto è la stessa cosa, il movimento eterno dell’Essere. Ci sono quattro livelli di creazione e quattro nomi con la parola uomo. Tutta la creazione del Racconto è rinchiusa tra l’aleph e la tau. |