L’anima è di natura triplice, due in opposizione ed una terza che media fra loro: Neshamah, Ruach e Nephesh. Se facciamo riferimento ai tre gradi dell’anima nella sua forma globale (normalmente lo troviamo scritto nella Bibbia con l’espressione “con tutta la tua anima”), così lo menziona Elia.
Sull’Anima dell’uomoL’anima è di natura triplice, due in opposizione ed una terza che media fra loro: Neshamah, Ruach e Nephesh. Se facciamo riferimento ai tre gradi dell’anima nella sua forma globale (normalmente lo troviamo scritto nella Bibbia con l’espressione “con tutta la tua anima”), così lo menziona Elia. Non è che l’anima sia tre cose, ma ha tre aspetti che la formano o tre momenti: Nephesh significa vitalità o Forza Vitale. È colui che fornisce all’uomo sentimenti ed impulsi che lo collegano con l’ambiente. Neshamah è la controparte, è l’alito della spiritualità più elevata, è quella legata al Cosmo. Ruaj o Ruach è l’aria o sostanza di vita interna che interconnette Nephesh con Neshamah. Ma, insistiamo, è una sola anima, tale e come si deduce dall’uso del pronome “io” (ajoni), il quale gli dà idea di unità nonostante le sue qualità triplici. Questa espressione unitaria la troviamo nell’espressione divina “Io sono quello che sono” corrispondente ad uno dei dieci nomi di Dio. L’Anima, Principio universaleIn molte religioni e filosofie si definisce l’anima come l’elemento immateriale che, insieme al corpo materiale, costituisce l’essere umano individuale. La dualità corpo-anima come costituente dell’essere umano è presente praticamente in tutte le filosofie. L’anima si concepisce come un principio interno, vitale e spirituale, fonte di tutte le funzioni fisiche ed in concreto delle attività mentali. Pertanto possiamo alludere non solo ad una dualità, ma anche ad una trinità: anima, mente e corpo. Nell’induismo antico, l’anima (atmán) era considerata come il principio che controlla tutte le attività e definisce l’identità dell’uno e della sua coscienza. Le opere filosofiche indù, le Upanisad, identificano l’atmán con la parte divina (Bramino), aggiungendo una dimensione eterna all’anima. Legata strettamente a ciò, l’anima umana è legata al ciclo delle reincarnazioni fino a che raggiunge la purificazione e la conoscenza, allora si fonde di nuovo con la realtà ultima. Il Buddismo è unico nella storia delle religioni perché afferma che l’anima individuale è un’illusione prodotta da diverse influenze psicologiche e fisiologiche. Non ha la concezione di un’anima o essere che possa sopravvivere alla morte. Il punto di vista buddista sulla reincarnazione non è altro che quello di una catena di conseguenze continue mediate da una qualunque identità, benché nel credo popolare questa sottigliezza normalmente si perde ed i seguaci considerano i morti come anime transmigratorie. La religione cinese postula un’anima duale, divisa in una parte più bassa, più materiale, il p’o, ed una parte mentale più elevata, l’hun. La prima muore col corpo e l’ultima sopravvive alla morte e si trasforma nel fuoco di adorazione degli antenati. Nel giudaismo primitivo si definisce la personalità umana nel suo insieme, senza fare una chiara distinzione tra il corpo e l’anima. Posteriormente il tema dell’anima fu più ampiamente sviluppato dai profeti ed usarono i tre nomi allusi per designare i tre gradi che formano l’anima: Neshamah, Ruaj e Nephesh. Con lo sviluppo della cabala ebraica e secondo l’idea della costituzione dell’uomo questi tre livelli si vedono più dettagliatamente. Quando parliamo dell’anima dell’uomo usiamo il suo nome generico per tutti i nomi. Questo nome generico, anima, riceve a sua volta molti nomi: regno, matrona, shej’inah, fidanzata, gemella, donzella, sposa, gazzella, questi nomi li troviamo nel Cantico dei Cantici, nello Zohar ed in alcuni altri scritti mistici. La Cabala Dogmatica, anche chiamata teorica, contiene concezioni filosofiche rispetto a Dio, gli angeli ed altri esseri spirituali. Studia l’uomo, l’anima umana ed i suoi distinti aspetti, la preesistenza e la reincarnazione, come i distinti piani di esistenza. Poggia sull’importanza della Legge rivelata ed è basata sui seguenti sette ideali: 1. – Che Dio, il Santo, l’Ain Sof, non fu il creatore diretto del mondo, ma tutte le cose sorgono da una fonte primordiale in emanazioni successive. Pertanto, l’universo è Dio manifesto. 2. – Che tutto quello che percepiamo o conosciamo si è formato nel mondo sephirotico. 3. – Che le anime umane erano preesistenti in un mondo superiore prima dell’origine di questo mondo. 4. – Che le anime umane, prima dell’incarnazione risiedono in una sala superiore o tesoreria dove si stabiliscono quali decisioni prendere sul corpo terrestre nel quale devono entrare ogni anima o ego. 5. – Che ogni anima dopo la vita o vite terrestri, deve essere molto purificata per essere riassorbita nel Dio infinito o Ain Sof. 6. – Che una vita umana è raramente sufficiente. Che due vite sono necessarie (quasi tutti le vivono) e se la seconda fallisce, c’è né una terza dove l’uomo si unisce ad un’anima più forte che porta il peccatore verso la purezza. 7. – Che tutte le anime preesistenti, quando giungono alla perfezione, faranno in modo che anche gli angeli perversi vengano elevati. Così tutte le vite saranno sommerse nella divinità, per mezzo del bacio d’amore della bocca del Santo, e l’universo manifesto non esisterà più, finché non verrà nuovamente vivificato dal Consenso divino. La dottrina cristiana dell’anima si appoggiò sulle filosofie di Platone ed Aristotele. La maggioranza dei cristiani crede che ogni individuo ha un’anima immortale e che la personalità umana nel suo insieme, composta di anima e di corpo resuscitato, deve, attraverso la fede, garantire la presenza di Dio dopo la vita. La teoria neoplatonica dell’anima come prigioniera in un corpo materiale prevalse nel pensiero cristiano fino a che il teologo del secolo XIII, san Tommaso D’Aquino, accettò l’analisi di Aristotele sull’anima ed il corpo come due elementi concettualmente distinguibili di una sola sostanza. Di lì, il cristianesimo lottò per un lungo periodo contro lo gnosticismo, il manicheismo e sette analoghe che considerano l’anima come esiliata dai regni spirituali di luce in un universo materiale completamente corrotto. Si vuole che l’anima dell’essere umano si leghi alla reincarnazione, questo tema non potè essere eliminato dalla Chiesa Cristiana benché furono fatti vari tentativi in merito. Alla fine decisero di soprassedere e non tornare a parlare del tema. Nonostante, suscitò vari confronti e non poche lotte interne fino a che nel Secondo Concilio di Costantinopoli dell’anno 553, si approfondì la questione. Il problema proveniva dalla discussione sulla doppia natura di Cristo. Dicendo che Gesù rappresenta la reincarnazione di Dio, si stava accettando una natura divina ed un’altra umana, argomento col quale la reincarnazione era accettata. Ma se si accettava la dottrina della reincarnazione si temeva per la perdita di potere, perché se non tutto finisce in una sola vita, la figura di colui che perdona i peccati sarebbe stata attenuata. Alcuni alludevano al fatto che solo Cristo aveva la natura divina, si inventarono anche un nome greco per la Vergine, che tradotto letteralmente indica “portatrice di Dio”, in modo che ci fosse più di una questione nel Secondo Concilio di Costantinopoli: reincarnazione del sé, attraverso la doppia natura di Cristo e non reincarnazione, per non diminuire il potere funzionale. Gli insegnamenti dell’Islam sull’anima, si riferiscono a quelle del giudaismo ed a quelle del cristianesimo. Secondo il Corano, Dio dotò di anima il primo essere umano, e nel momento della morte lo spirito del credente viene condotto davanti a Dio. L’Islam come il cristianesimo crede nella resurrezione dei morti, stabilendo così che l’anima è immortale. Nel rosacrucianismo c’è una sola anima a differenza del cristianesimo che assegna un’anima ad ogni individuo. Tuttavia, in questi insegnamenti bisogna distinguere tra l’anima universale e l’anima personalità, la quale è individuale. La migliore analogia per capire l’esistenza di una sola anima le descrive H. Spencer Lewis in uno dei suoi scritti. Dice che bisognerebbe pensare ad una massa di farina impastata che allunghiamo e dalla quale tiriamo fuori, con un bicchiere o un qualunque recipiente circolare, delle palle come quelle che si usano per fare i panzerotti. Ora abbiamo una coscienza di “panzarotto” e non di massa, per questo motivo ci sembra che ogni anima ha la sua anima individuale, ma la massa è una. Rispetto al risveglio della coscienza affinché l’anima personalità, il panzerotto, prenda coscienza di massa, c’è un’altra analogia che illustra molto bene l’idea. Questa volta è in uno scritto di Isaac Asimov. Egli lo racconta più o meno così: Dio (“la massa”), è come una grande calcolatrice, ha in sé tutta la conoscenza, tutta la memoria. Ma la calcolatrice è la somma dei “bit” o unità di memoria. Ed un giorno pensò: cosa succede se scoppio ed ognuno dei “bit” iniziano a viaggiare per lo spazio tempo? Essi viaggeranno fino a che ognuno di loro acquisisca la conoscenza che ora ha la calcolatrice. Cioè, ogni “bit” deve trasformarsi nella somma di tutti i “bit”. Nelle due analogie rimane l’idea che abbiamo simulato da coscienza di massa a coscienza di “panzarotto” ed ora dobbiamo riprendere la coscienza di massa. La rosa socchiusa simbolizza questo viaggio dell’anima dalla coscienza individuale fino alla coscienza del tutto, dell’Assoluto. Mentre la rosa completamente aperta rappresenta l’unione mistica dell’anima individuale o anima personalità con l’anima globale. Questo è il sonno del mistico che abilmente c’insegna San Giovanni della Croce nella sua Fiamma d’Amore Viva . Quando diciamo che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi) ci riferiamo al termine ebraico “selem” (somiglianza) che si riferisce alla parte interiore, cioè, all’anima globale e non a quella che esibiamo attraverso l’anima personalità. Questa idea la vediamo anche nell’analogia delle differenti lampadine. Ognuna ha la sua capacità, una è di 100 watt di luce, un’altra ha appena 15 watt, ma entrambe manifestano la stessa ed unica corrente. Chiamiamo anima globale la corrente, che è uguale per tutte le lampadine, inteso per tutti gli esseri. E chiamiamo anima personalità la capacità di ognuna di manifestare la corrente, cioè, i watt. Il misticismo, e concretamente il misticismo rosacroce attraverso i suoi esercizi e pratica giornaliera, è progettato affinché ampliamo in questa vita i watt. Come dice San Giovanni della Croce, quando la brillantezza e la trasparenza del nostro vetro viene investito dalle grandi quantità di luce dello Spirito Santo, come è tanta la luce ed il vetro molto trasparente non si distinguerà uno dall’altro, ma sembrerà una stessa cosa. Questo equivale a dire che la rosa socchiusa, la nostra anima personalità, è sparita perché c’è ora una sola anima, la rosa aperta. Nel mito di Caino ed Abele possiamo intendere la stessa idea che prima esprimevamo con l’analogia della massa ed il “panzarotto”. Il momento di perdere coscienza di massa che passa alla coscienza di “panzarotto” è rappresentato da Caino. È il momento nel quale Adamo viene cacciato dal paradiso. Mentre il momento anteriore, cioè, quando abbiamo coscienza dell’Assoluto, siamo rappresentati da Abele, offerte che piacciono a Dio. Caino viene espulso ed il suo lamento, nel capitolo III del (Genesi) così dice: La “mia colpa è troppo grande per sopportarla. Oggi mi allontani da questo suolo e devo nascondermi alla tua presenza, come un vagabondo vado errante per la terra e chiunque mi troverà mi ammazzerà… Gli rispose Yahveh: Al contrario, chiunque ammazzerà Caino, lo pagherà sette volte…”. Bisognerebbe capire che Adamo, Eva, Caino ed Abele sono lo stesso Adamo e che i nomi rappresentano solo aspetti o sue funzioni. Adamo è una figura spirituale con un corpo astrale o luminoso che è sottomesso alla rottura del recipiente in un dato momento, cadendo dall’Atziluth fino all’Assiah o mondo dalla materia. La sua anima, sua una e sola anima, sfrutta le sue scintille che continuano a cadere trovando corpi più densi che formano l’umanità; questo atto rimarrà configurato con il simbolo dell’espulsione dal paradiso. Le scintille della Shej’inah, dell’anima, ora sono disperse e in esilio, fino a che si riuniranno di nuovo nel Consenso divino. L’anima è universale come abbiamo visto, ma alcune sue funzioni ci fanno sentire che si esprime nell’individualità. Magari dobbiamo ricorrere un’altra volta all’analogia delle lampadine in maniera più ampia. Immaginiamo un gran generatore di corrente dal quale esce un infinito cavo elettrico dal quale pendono lampadine. La corrente è una, questa sarebbe l’anima universale. Quindi ogni lampadina ha la sua propria capacità di riflettere quello che in realtà è. Per questo motivo vediamo esseri che mostrano un risveglio della coscienza più ampliato di altri, perché mentre alcuni sono grandi luci da cinquecento o mille watt, altri, tuttavia, sono piccole luci da quindici o venticinque watt. Questa capacità di riflettere quello che si è, è quella che chiamiamo anima personalità. Questa è quella che si reincarna, e lo fa al fine di guadagnare in ogni vita più watt per trasformarsi in grandi fari di luce. I corpi delle lampadine, i vetri, possono essere di molte forme e colori, questo è il corpo perituro. La parte pensante dell’essere umano, quell’anima personalità va via con la chiamata della morte e le sue esperienze rimangono intrise nell’aura. Col risultato che in vari esperimenti rosacruciani possiamo, attraverso l’aura, portare aspetti delle esperienze passate dell’anima personalità. La forza della vita è divina, perciò presupponiamo che il suo compito è quello di guidare l’anima personalità e le sue funzioni, questo vuol dire, confrontarci ad esperienze per continuare a risvegliare la coscienza. La forza della vita dell’essere spirituale, ci commisura una serie di piaceri sottili distinti dai sensi del corpo. La sensazione di pace profonda, quella di rinascere nel gran lago universale, le estasi mistiche, il sentirci galleggiare nello spazio intangibile o percepire alcune qualità artistiche, corrispondono alla parte interiore dell’individuo ed è in qualche modo una connessione con la sua Madre spirituale. L’anima personalità dà vita al corpo, chiamato “nephesh” in termini cabalistici, ed è una funzione dell’anima. Il soffio di vita dell’anima universale, quello che Dio insuffla nel naso dell’uomo e lo trasforma in un’anima vivente, è il “ruach”. Ciò che chiamiamo anima globale nella cabala si nomina come “neshamah”. Il “nephesh” è quello che si reincarna e va via dal corpo con ogni transizione, ma non sparisce dall’aura o corpo fluidico fino a che si integri nell’anima globale, cioè, fino a che realizzi il suo matrimonio alchemico. Mi sembra che ci sia un’idea che dobbiamo elaborare più approfonditamente. Abbiamo parlato di anima personalità che si reincarna. Ma quando parliamo di personalità da un punto di vista psicologico, intendiamo i nostri tratti personali, quelle cose che ci disegnano come individui e che a volte sono sigillate a fuoco nel nostro io circostanziale. Quando ci reincarniamo non è per potenziare ancora di più quelle qualità personali dal punto di vista psicologico. Al contrario, è per perderle che la nostra personalità somiglia alla personalità – se così si può chiamare – dell’anima globale. Lo ripetiamo un’altra volta. Il ciclo di reincarnazioni non sembra avere un altro obiettivo che quello di dotarci dei poteri della vita spirituale, di arrivare a desiderare l’Unità. Di essere un’Unica Anima. Pertanto, nel decorso di ogni vita, il nostro lavoro come uomini e donne di desiderio non è altro che quello di recuperare il nostro Primo Stato, trasformarci di nuovo nell’Adam Kadmon. Il nostro lavoro giornaliero è riuscire in vita al la Congiunzione degli Opposti. Esercitare come terza forza, che equilibri le colonne di opposizione. Pertanto, non si tenta di conservare i tratti individuali, bensì di perderli, di “sedersi nella dimenticanza” Chuangzí dice come, di auto annichilirsi, così come dice Arabí. Il nostro lavoro è procurare la Reintegrazione della nostra anima personalità. Il maestro Louis Claude di Saint Martin dice: “Raramente si trova l’unità nell’associazione: questa deve essere cercata nell’unione individuale con Dio. Quando riusciremo in questo intento comprenderemo che siamo fratelli l’uno dell’altro”. Perché tutti comunichiamo con la stessa anima, benché la nostra personalità ci faccia percepire l’individualità. Quando tutti ci saremo rinnovati non si manifesterà più l’individualità, nel frattempo, comprendiamo che siamo tutti fratelli di anima. Il sentiero di ritorno dell’uomo cominciò con la sua leggendaria caduta, quando ad Adam fu tolta la corona, cioè, scese di livello. Ora ci troviamo nell’esilio e dentro il “bosco” degli errori, ma abbiamo trovato il portone, la via, quella del ritorno al Padre. Il metodo è produrre l’equilibrio di forze. Questa idea di creare l’equilibrio fa che questa parentesi finisca. Riflettete su questo affinché possiate notare in quante situazioni della sua vita siete intervenuti equilibrando gli opposti, o al contrario, c’è stato su uno dei piatti della bilancia un maggior peso. Verso la peregrinazioneLa mente umana tende ad ideare cose delle quali realmente non sa niente o sa molto poco. Abbiamo la facoltà di creare idee e pensieri, credere cose ed attribuire ragioni a questioni che non sono state provate e che tendiamo a realizzare come certe. Altre volte trasferiamo i dati di un fatto conosciuto o ragionevolmente accettato ad altri fenomeni completamente sconosciuti. Abbiamo anche la facoltà di proiettare i nostri elementi o dell’individuo, sull’oggetto di studio o analisi, conferendo i nostri attributi a quello che non li ha o che non sappiamo che li abbia. Ci siamo sempre chiesti da dove veniamo e dove andiamo, come nacque l’universo, se c’è vita in altre galassie, o che cosa c’è oltre l’attuale esistenza. Su queste questioni si mescolano le carte di molte teorie e credenze, ma la cosa certa è che sappiamo molto poco o niente di tutto questo. Pertanto la tradizione ha sostituito la conoscenza, in modo da trovare abbondante letteratura che parli di tutto questo come se si trattasse di un fatto accertato. Come possono esistere tante spiegazioni al riguardo pur sapendo tanto poco? Jung diceva che quando un individuo ha un’idea, questa si considera soggettiva, ma che quando vari individui condividono la stessa idea, questa diventa obiettiva. Questo equivale a dire che per il semplice fatto che se varie persone credono in una stessa cosa, essa diventa realtà obiettiva. La mente ha ancora un’altra facoltà, quella di creare coscientemente cose che non essendo attuali, possono arrivare ad esserlo, cioè, può anticiparci oggi cose che ancora non esistono ma che domani possono diventare una realtà tangibile. Ciò che oggi la mente umana visualizza si trasforma in un fatto futuro. Anche la neuroscienza comincia a dire che la creazione cosciente di certe qualità o atteggiamenti umani fa sì che i nostri neuroni sviluppino la funzione o sinapsi in relazione alla nostra creazione. D’altra parte, possiamo pensare a quelle persone negative, che le respingono per qualunque motivo senza dedicare tempo allo studio di queste cose. Anche essi stanno creando nei loro neuroni le condizioni di pessimismo, dubbio e sfiducia. In relazione alla facoltà della mente di proiettare i nostri paradigmi ad un oggetto di studio come Dio, l’anima o sulla nascita dell’universo, etc., è possibile pervenire all’idea che nel principio tutto era Uno, e che ora siamo un mucchio di scintille di luce che stanno viaggiando dal centro alla periferia e da questa nuovamente al centro. In questa nostra idea la mente mescola la nostra sensazione di tempo e spazio con aspetti e leggi assunte intellettualmente, tali come la forza centrifuga e centripeta. Ma usando i concetti ed il linguaggio per un stato di coscienza tridimensionale o di veglia come è possibile chiarire quello che succede fuori del tempo e dello spazio? In molta letteratura che tratta temi metafisici osserviamo molta aderenza ad invenzioni gratuite della mente umana e manifestazioni che presentano opposizione tra esse analizzandole, oppure che esprimono progetti contrari alle leggi conosciute o a quelle misticamente dedotte. Tra queste manifestazioni osserviamo disquisizioni tra l’anima universale e l’anima dell’uomo, le quali creano distinte correnti che sono adottate alcune da un settore ed altre dalla parte avversa. Sull’anima e Dio, abbiamo varie posizioni: teismo, ateismo, monoteismo, politeismo, panteismo. Uno dei criteri più accettato dalla corrente mistica è quello che dice che l’anima è unita, concentrata su sé stessa e contemporaneamente espansa, perché permea tutto. L’anima umana e l’anima divina sono la stessa anima, quella di tutti gli esseri e di tutta la natura è dentro di noi. Però come la nostra mente dà un senso allo spazio ed al tempo, così ci sembra che venga dall’interno. Ma se pensiamo che si trova anche nelle galassie e siccome queste le pensiamo molto lontane nello spazio, non riusciamo ad interiorizzarle come qualcosa di reale bensì come un’idea o credo; cioè, trasferiamo all’anima i condizionanti della nostra mente soggettiva. Tuttavia, quando l’uomo disfa il tempo e lo spazio attraverso il risultato di un altro stato di coscienza, scopre l’anima nell’eternità, cattura un nuovo concetto, in modo che l’anima si scopre a sé stessa nella sua realtà. L’anima si lascia scoprire quando l’uomo cambia l’orientamento della sua ricerca ed intraprende l’azione di guardarsi dentro. Per la mistica ebraica che comunicava anche Gesù, l’uomo percorre il tempo e lo spazio come nei sei giorni della creazione e nel settimo si riposò. Il settimo giorno, il giorno dello shabat, (il sabato) dell’eternità, è il giorno di rinnovamento dell’anima, il momento eterno nel quale riceve Dio che si ripete ogni settimana. Questa è la presenza nella quale l’uomo scopre ciò che È, e che realizza mediante la sua peregrinazione. L’uomo è quello che segue il ritmo ed esegue il più prezioso ciclo della vita costruendo il tempio nell’arco di sei giorni ed il settimo è pronto. Per noi il sabato non dovrebbe essere legato con un giorno della settimana, perché qualunque giorno e momento è adatto per tentare di trovare la comunione col Dio dei nostri cuori. Nonostante, il nostro controllo settimanale al nostro sanctum dovrebbe rimanere l’idea di un viaggio verso il nostro interno. Un giorno l’uomo si sentì separato dall’anima universale e diventò cosciente dell’individualità. Come realtà mistica siamo solo separati nella coscienza, in modo che il nostro peregrinare ha il proposito di svegliare la coscienza fino a concepire l’Unione. Oggi crediamo di essere milioni di scintille di luce che stanno viaggiando per lo spazio, che siamo fuoriusciti da un grande centro di potere, conosciuto nella Bibbia, come il Giardino dell’Eden dal quale viaggiamo andando in mille direzioni distinte, compresa quella che segna il ritorno al Padre. Per tutto quanto sopra detto, ciò che viaggia è la coscienza, ed essa è ciò che bisogna restituire. Il vincolo dell’uomo con la DivinitàLa parola dell’uomo è un tema molto interessante per la sua differenza con altre specie e per il suo vincolo con la divinità. Dal teatro greco c’arrivano notizie che l’attore si collegava con gli dei attraverso la maschera. La bocca di questa si trasformava in una tromba parlante. Si dice che il nome della persona (per-sona = perché suona), esprime questa qualità. L’uomo compie le funzioni di pensare, parlare ed agire. Di queste tre qualità, la più alta è il parlare, il quale si lega con la parola, con la creazione e con l’autocoscienza. Sembrerebbe che sia il pensiero la qualità più alta, ma quando lo si nomina, acquisisce potenza; essendo la parola il sigillo del pensiero, diciamo che è la funzione più importante. Ecco perché è rapportato col vibrare del pensiero. La prima vibrazione creativa rimane, pertanto, connessa alla parola. Un altro aspetto della parola si trova nelle rassegne del “Dio” disse. L’uomo con la parola è paragonato allo Spirito Santo, ed ai suoi detti creatori, con la serie di “Dio” disse che troviamo nel Genesi. Anche se ci è più vicino la vibrazione di certe parole o mantram carichi di potere, rispetto a questo, un’analisi delle lettere ebraiche A, M, R, la si può paragonare con i tre gradi dell’anima. I mantram che contengono queste lettere, creano un’interconnessione tra l’uomo ed il Cosmo. Anche le tre lettere AMR si possono collegare ai tre aspetti della parola fisica: respirazione, voce e significato. Così la parola, base della creazione, viene osservata sia nel Genesi che nello Yetzirah. In questo ultimo è detto che la parola è formata da tre aspetti superiori: fuoco, aria ed acqua, che si riferisce al versetto del Genesi che dice: “L’alito di Dio aleggiava sulle acque…. E Dio disse: sia fatta la luce”. Pertanto, la parola è il “berechit”, lo Spirito Santo o Prima vibrazione, che come dice San Giovanni l’Evangelista, si fece carne ed abitò tra noi. Il Sepher Yetzirah (Libro della Formazione) mostra ripetute volte un’impronta triadica o idea triplice che indica due aspetti frontali ed un terzo che li equilibra. Esistono varie esposizioni di detta impronta, una di esse, come vedemmo, è quando mostra i piatti di una bilancia posti davanti ad un fedele, terzo elemento, che li equilibra. Le tre lettere madri dell’alfabeto ebraico si iscrivono sopra: da un lato la “mem” in opposizione la “shin”, e la “aleph” nel mezzo. La fonte menzionata riporta il fedele della bilancia con la lingua, indicando che è la lingua quella che registra. Questa è un’altra forma per dire che la parola è il vincolo. Registrare ed intagliare sono due espressioni comuni del S.Y., ed in quanto al termine intagliare si riferisce, pensiamo, ad una grande roccia informe dalla quale si creano delle forme intagliandola. Così la parola è quella che crea la forma pensiero. Altre volte il S.Y. dice che Dio intagliò e pose nello spazio intangibile tutto il creato, volendo intendere che nel principio lo spazio non aveva forme predestinate e che dallo spazio, invece di riempirsi se ne staccavano schegge che formarono la creazione. Le cose vuote e le cose informi in ebraico si denominano “bohu” e “tohu”, e sono quelle che c’erano prima delle emanazioni. Un altro modo di vedere l’impronta triadica, è quella riferita al pensiero filosofico ed è quando uniamo le espressioni di tesi, antitesi e sintesi, che riportato ad un livello inferiore lo possiamo chiamare: metodo di analogia, corrispondenza e sintesi. Un’altra espressione dell’idea triplice è pensiero, parola ed opera, uno stesso atto di creazione che la nostra cultura separa nel tempo. Così è quando riuniamo i termini di Dio, uomo e natura, tre cose che sembrano essere distinte ma che sono la stessa cosa. In questo ultimo caso chi o che cosa è l’equilibratore? La risposta è l’uomo. Un’altra rappresentazione frequente nella cabala è quando si scorgono due pilastri opposti ed un terzo nel mezzo. Possiamo scrivere sui pilastri molte parole o sostantivi biblici. Per esempio, riferendoci all’espressione Dio di Abramo, Dio di Isaac e Dio di Giacobbe, i tre patriarchi, si scrivono in pilastri diversi. Abramo in quello di destra, Isacco in quello di sinistra e Giacobbe in quello del mezzo. Giacobbe è Israele, l’uomo-umanità, quello che equilibra l’opposizione. Israele è Dio esteso nell’umanità. Vediamo l’idea di opposizione ed equilibrio in un’altra forma. Le colonne del tempio di Salomone, Jakin e Boaz, rappresentano la dualità, ma Tempio in ebraico è “Hekal”, parola che contiene due radici: H che equivale al pronome castigliano “Egli” e Kal che si traduce in, tutto. In modo che Hekal significa egli nel tutto o tutto in lui. Quando l’uomo è il tempio, vuole dire che ha raggiunto un livello di comunione col tutto, livello nel quale sparisce l’opposizione. La dualità è una legge umana tanto connotativa che ci fa credere che la sua esistenza è reale, ma dal punto di vista mistico detta legge è un’illusione.
Il fuoco reintegratoreA sua volta l’Unità è uno stato da raggiungere per tutto il genere umano e per tutto quello che è uscito dal Suo seno. In alcune tradizioni il termine reintegrazione equivale a quello di restaurazione, e comprende quello di salvazione o quello di restaurazione. Il nome ebraico di Gesù è lo stesso del tetragrammaton IHVH più la lettera ebraica Shin così inserita: IHShVH. Questo nome, IehoShvah, significa letteralmente “il Dio che salva”, per questo motivo si dice che Gesù è il salvatore. Altri termini come redenzione, riscatto e resurrezione, sono anche riferiti a quello di reintegrazione. Ognuno di questi termini può prendere distinte sfumature a secondo che si trovino nell’Antico o nel Nuovo Testamento. L’iscrizione INRI della croce cattolica si interpreta in due forme distinte: per alcuni è la sigla di Gesù Nazareno Re degli Ebrei. Per l’alchimia ed il misticismo è l’acronimo della frase latina La Natura si Rinnova con il Fuoco, (Ignea Natura Renovatur Invecta). È il fuoco il mezzo con il quale Gesù l’uomo si trasforma nel Cristo Cosmico. Quello che si allontanò da Dio è la coscienza ed è la coscienza che bisogna restituire, perché non abbiamo smesso mai misticamente di appartenere alla mente cosmica. Essere uno con l’Unità è la qualità o stato che sperimenta un essere umano che ha trasceso la sua coscienza. Questo espandere la coscienza fino a questo grado sommo, senza smettere di essere uomo, è quello che ci mostra la figura del Cristo. Ogni umano che riesce a far questo fa anche ascendere tutto ciò che lo circonda nel suo ambiente. La lettera ebraica Shin simbolizza il fuoco, cioè la coscienza trasmutata. Jerusalem è il crogiolo; il fuoco è il trasmutatore. Questa purificazione nell’essere umano è progressiva fino ad ottenere la coscienza di Unità. Gesù contiene la Shin, il fuoco, col risultato che il Messia è il restauratore, ma ogni essere umano deve trasformarsi in Messia. Se diciamo che il Messia è il Salvatore, stiamo dicendo la stessa cosa, cioè il restauratore o reintegratore. La parola ebraica MesShiah, Messia, contiene, pertanto, la stessa idea del nome ebraico di Gesù. Sia nella tradizione ebraica che in quella cristiana, il fuoco è come il restauratore o rinnovatore, così come è anche il simbolo della presenza divina come possiamo osservare in Esodo 3.2 e 13.21, o in Genesi 15.17, o in Isaia 6, 6.7 e 48.10, o in Salmi 26.2, in Apocalisse 20.9, 10 e 14.15. Il fuoco come simbolo di liberazione o illuminazione l’abbiamo in Pentecoste, Act 2. 1, 4. Un’altra allusione l’abbiamo nel nome Seraphim, il quale proviene dal verbo ebraico “seraph” che significa bruciare. Che la meditazione in questo testo sia il fuoco che illumini la tua coscienza. Gerusalemme del cielo e della terraLe radici del nome Jerusalem, le troviamo nell’ebraico “Ur-Shalom”, posto o luogo della pace. È nominata per la prima volta col nome di “Shalem”, secondo documenti ritrovati in Ebla (nel sud della Siria), che risalgono al III millennio a.C. Questa radice la troviamo anche nei testi di esecrazione egiziani del principio del secondo millennio col nome “Rushalimun”, nome che appare anche nelle lettere di Tel L’Amarna del secolo XIV a.C. In tutti i nomi appare la lettera ebraica Shin, simbolo del fuoco ed una delle tre lettere madri dell’alfabeto ebraico. Per questo motivo si dice che Jerusalem è il crogiolo dove il fuoco deve raffinare la coscienza umana affinché riesca l’unione con l’Unità. Detta unione è famosa nel Cantico dei Cantici di Salomone, come l’unione del fidanzato e della fidanzata. Ma questo libro per noi è molto complesso essendo pieno di simboli che non danno l’idea che l’autore trasmette, perciò dobbiamo ricorrere alla “Fiamma” d’amore vivo di San Giovanni della Croce per conoscere il suo contenuto. Questo mistico spagnolo aveva il Cantico dei Cantici come libro di riferimento e potè approfondire il suo significato. San Giovanni della Croce nomina l’unione mistica come il matrimonio perfetto e sublime tra il marito e la moglie, rappresentando con essi l’anima nell’uomo e la sua gemella divina. In Isaia 31.9, Gerusalemme viene chiamata “forno di Dio” e si dice che il fuoco è in Sion. Ma il posto è stato profanato, dice Ezechiele, benché egli predica il suo ristabilimento ed una nuova alleanza, perché per riuscire nella reintegrazione con l’Unità, si ha bisogno di un “luogo di pace” (Ur-shalom). Questa pace è quella che fa riferimento alla Pace Profonda, un stato di comunione con l’Essere dove l’unione della Jerusalem celeste e la Jerusalem terrestre diviene una sola cosa, una sola idea o assenza della dualità. Il Talmud dice che: “Israele è l’asse del mondo ed il suo centro. Jerusalem si trova nel centro d’Israele. Il tempio sta nella metà di Jerusalem. Il Sanctum Sanctorum sta nella metà del tempio, l’Arca sta nella metà del Sanctum Sanctorum; la roccia della fondazione sta di fronte al Sanctum Sanctorum”. Questa narrazione non va certo presa dal punto di vista geografico, ma è vera da un punto di vista culturale, religioso e mistico. La lettera shin (Sh), come già detto, sta nel nome Ur-Shalom (Jerusalem). Questa lettera si trova anche nei tre nomi che indicano l’anima: Neshamah, RuaSh e Nephesh. La troviamo anche in uno dei quattro nomi di uomo: Ish, radice che forma anche il nome ebraico di Ishrael. È anche nel femminile di uomo Isha (donna). La troviamo anche nel nome ebraico di Gesù (JehoShvah). La troviamo ancora nel primo sostantivo del primo versetto, del primo capitolo del primo libro della Bibbia, che in greco è Genesi ma che è BereShit in ebraico e si traduce “principio o inizio” in italiano. Ed abbiamo anche la Shin nel nome ebraico Messia (MesShiah). Shin, Sh, sta in tutti i nomi di Jerusalem, eccetto quando la città è nominata da stranieri. È questa lettera quella che si imprime nel centro della fronte come segno, perché come dice il Sepher Yetzirah, “Dio lo fece regnare sul fuoco e lo cinse con una corona, combinò una lettera con l’altra e con esse formò il cielo nell’universo, il caldo nell’anno e la testa nell’anima: il maschile con Sham e la femminile con Shma.” Geremia vide la malvagità di Babilonia ed anche il ritorno degli ebrei in cattività, richiama in Jerusalem “la fidanzata del cielo”. Anche Ezechiele ha una visione sulla città ricostruita. Zaccaria narra la restaurazione del Tempio di Salomone e vede il Messia entrare nella città su un asinello, racconto che sarà ripreso cinquecento anni più tardi dagli evangelisti nel passo di Zaccaria. Siamo nel momento in cui inizia il Secondo Tempio, Israele ritorna dal fiume Kebar in Babilonia per innestare un germoglio in Gerusalemme. Disse Dio per bocca di Zaccaria riferendosi alle ossa: “Ecco io qui farò mettere in voi lo Spirito e vivrete… e vi farò riposare nella vostra terra”. Questa è la promessa di restaurazione riferita non solo alla città terrestre, bensì all’unione mistica dell’anima dell’uomo con la sua gemella divina, è il cambiamento della coscienza in Unità. C’è molta documentazione in merito a questa unione: nei Salmi, nel Cantico dei cantici già citato, nella Fiamma d’amore viva di San Giovanni della Croce e nelle Nozze Chimiche . È il matrimonio dell’agnello. È l’unione della terra e del cielo o di Dio e della Shej’inah. Questa unione è rappresentata nel giudaismo dalla sua festività più importante che celebra 52 volte l’anno: lo Shabat, e che ancora oggi, i cabalisti di Safed (Siria) cantano mettendosi sotto il sole del venerdì dicendo: “Vieni mio caro, all’incontro con la fidanzata, riceviamo la faccia del sabato.” San Giovanni della croce nell’opera citata riferisce che detta fiamma d’amore viva è il fuoco di Dio o Spirito che vive nell’anima dell’uomo ed accende il suo desiderio di unione. Questa anima purificata riceve il calore (gli embates) del fuoco come una carezza amorosa, o come dice l’autore: “Oh fiamma d’amore viva che teneramente ferisci! “. Che questo fuoco di Dio, questa shin (Sh) che tutti portiamo sulla fronte, sia ogni giorno attiva nei nostri pensieri. Ma il tempio è stato profanato, la città si è prostituita. Ha rotto l’alleanza. Non ti sei ricordata della tua gioventù, dice Ezechiele a Gerusalemme, ma io ristabilirò in te un’alleanza eterna. Questo pare si debba leggere come se lo Spirito fosse afflitto dall’anima dell’uomo che si allontana, e contemporaneamente, gli permette di stabilire con lui un nodo eterno. Anche questa idea la riporta Ezechiele (Ez.XVII) nell’allegoria dell’aquila, ma nel suo senso inverso: “L’aquila venne nel Libano e tagliò la cima del cedro, strappò la punta più alta dei suoi rami e la portò ad un paese di mercanti”. I cedri del Libano che la Bibbia cita spesso, secondo lo Zohar (Libro dello Splendore) non sono alberi di legno. Altri autori dicono che cedro in ebraico è “heretz” che vuole dire terra. Questa allegoria sembra descrivere il momento in cui l’anima divina entra nell’uomo mortale, cioè, quando l’anima si differenzia dalla carne, per cui, dice Geremia (XXIII, 22), berremo il calice amaro. Nel cristianesimo il calice è il calice dell’alleanza, grazie all’azione di Gesù, il Cristo o Messia. Mentre nei racconti di cavalleria è il Sacro Graal, una via che si percorre all’inverso, cioè, viaggiando dalla Gerusalemme terrestre fino alla Gerusalemme celeste. L’incenso e l’UnitàNegli scalini della Chiesa di Quetzaltenango, in Guatemala, si può osservare come oggi i discendenti dei maya mescolano i loro riti ancestrali con quelli cattolici che hanno poi acquisito. In lingua quiché continuano a recitare una serie di discorsi alla porta della chiesa mentre agitano alcuni rudimentali bracieri coi quali improvvisano enormi incensieri. Siccome sono vari indios quelli che partecipano allo stesso rito, la fumata che si forma è impressionante. Il fumo bianco che si alza si confonde con lo spettacolo delle tende che riparano i negozi artigianali che ogni giovedì e domenica allestiscono un curioso mercato indigeno. Più a nord, nella selva di Petén, dove Guatemala e Messico si confondono, si alzano gli osservatori dei templi di Tikal, città guatemalteca, che insieme a Santa Rosa di Copán in Honduras e Chichén Itza in Messico, costituisce il triangolo maya più importante conosciuto. I maya di Tikal usavano il lattice del sapone come resina che garantiva la produzione del fuoco rituale per tutto l’anno. Questa resina brucia molto bene, ed aggiungendo dei profumi, si ottiene l’effetto incenso che conosciamo. La nostra tradizione occidentale racconta che i Re Magi portarono a Gesù oro, incenso e mirra. Anche nei templi orientali si brucia incenso. Si brucia incenso davanti a Vishnú, davanti a Buddha, davanti alla Vergine, etc. perché si brucia incenso nelle chiese, nelle pagode, nei templi ed oratori privati? Nella tradizione ebraica, il profumo svolge un ruolo molto importante. Tanto nel Cantico dei Cantici come nei Proverbi di Salomone, come in innumerevoli Salmi, troviamo copiosi riferimenti ad odori, unguenti, balsami ed incenso come se il profumo rappresentasse un’importante attestato nella vita dell’Israele. Misticamente il profumo dell’incenso è un agente unificatore. Man mano che il corpo dell’incenso si brucia vediamo la trasformazione della materia. Vediamo come un grano di incenso si trasforma in fumo che ascende lasciando solamente il suo profumo. Una volta consumato il granello e scomparso il fumo, l’unica cosa che rimane è un gradevole aroma. Questo aroma è l’agente unificatore perché man mano che l’incenso si consuma, si tramuta anche la nostra coscienza. Se riusciamo a trasferire la coscienza su un piano mentale più profondo, l’idea di unità non solo sarà comunicata intellettualmente, ma sarà sperimentata. Pertanto, il profumo può essere un buon simbolo dell’idea di unità che possiamo esprimere su tre livelli: È sinonimico di unione fraterna, cioè, il profumo è un ponte di unione tra distinte persone riunite per un fine comune. È anche simbolo di unione tra la parte esterna e la parte interna. L’unione della coscienza attraverso l’interiorizzazione. Il terzo aspetto è quello che riguarda l’unione fra l’anima dell’uomo e l’Anima Universale o Dio, il cui ideale desidera raggiungere. Nella tradizione ebraica, questa unione mistica è rappresentata dall’unione della shej’inah con il cielo, mentre San Giovanni della Croce dice la stessa cosa con l’unione dello sposo e della sposa. Il Cantico dei Cantici lo indica come l’unione del fidanzato e della fidanzata. Estraiamo i seguenti paragrafi da questo ultimo libro: 4-6: “Prima che soffi la brezza del giorno, e fuggano le ombre, andrò al monte della mirra, alla collina dell’incenso.” 4-10 “che belli i tuoi amori, gemella mia, fidanzata! Come sono saporiti i tuoi amori! Più che il vino! E le fragranze dei tuoi profumi, più che tutti i balsami!”. 4-12: “Orto sei chiuso gemella mia, fidanzata, orto chiuso, fronte segnata.” 4:13: “i tuoi germogli un paradiso di melograni con frutti squisiti. Tuberosa e zafferano, canna aromatica e cannella, con tutti i tuoi alberi di incenso, mirra ed aloe, coi migliori balsami”. (4-14) 4-15: “Fonte degli orti, pozzo di acque vive, correnti che fluiscono” del Libano. Possiamo dire che l’incenso è il profumo di Dio. Il profumo ci ricorda il momento nel quale ci insufflò nel naso e ci fece un’anima vivente. Possiamo come mortali avere un simbolo migliore del profumo che ci ricorda il nostro stato di unità facendo sparire la nostra coscienza dall’esilio? L’amore divino del quale abbiamo parlato nei paragrafi precedenti, Salomone ci parla dell’unione della parte di Dio in esilio. Le allusioni a sorella, fidanzata, bella, etc., non dovrebbero interpretarsi come una relazione mondana. La poesia del libro contiene un eccelso senso mistico. Salomone è famoso per la sua saggezza, tale saggio dovrebbe sapere che gli alberi ai quali ci si riferisce nei passaggi precedenti, 4-13 e 4-14, tali come melograni, tuberose, zafferano, canna aromatica, cannella, mirra ed aloe, non crescono insieme in Palestina né si danno insieme. Pertanto, l’unione di questi vegetali aromatici l’autore li utilizza come ricorso letterario per esprimere un simbolo che ci dà l’idea di quello che ci vuole veramente dire. È la stessa idea che troviamo in Proverbi ai versetti: 8-17 e 18 “Ho cosparso con mirra il mio letto, con aloe e cinnamomo. Ci siamo ubriacati d’amore fino al mattino, siamo stati solo noi due con le nostre carezze.” Tutto sembra indicare che l’unione mistica è preceduta dal propagarsi di profumi. Alcune persone hanno riferito che prima della presenza psichica di qualche maestro, si percepisce un determinato profumo che non è uguale a nessun altro già conosciuto. Sappiamo per esperimenti realizzati che le vibrazioni psichiche sono captate a volte come profumi. Vuol dire che quando si realizza l’unione di due menti pensanti può captarsi un aroma. Nel Cantico dei Cantici c’è qualcosa in relazione col luogo dell’incontro o dell’unione tra l’anima dell’uomo e l’Anima Universale: “Mentre il re si trova seduto sul suo divano, la mia tuberosa esala la sua fragranza. Un sacchetto di mirra, oh mio amato, è il mio dono per te… Che riposi sul mio seno: nella vigna di Engadí oh mio amato, c’è un grappolo d’uva per me” (1.12). Engadí è un’oasi dove crescono il balsamo e le palme. Nell’oasi o luogo di riposo in mezzo al deserto (indica la corrispondenza con le nostre faccende giornaliere in esilio) ed al nostro desiderio di riposo eterno, l’oasi. Questo posto è quello che i mistici ebrei chiamano shabbat (sabato). Nello shabbat, il non tempo o eternità vi è il luogo dell’unione. La mentalità ebraica non è spaziale bensì temporanea, in modo che il luogo vuol dire il momento. Dal nostro posto durante il tragitto delle nostre vite guardiamo lontano questa oasi e fino a che il nostro desiderio di trovarla non sia vivo nelle nostre menti e cuori, non arriverà il momento dell’unione. Nel frattempo bruciamo incenso ed aspiriamo il suo profumo come simbolo del desiderio sincero di raggiungere il momento dell’unione perfetta e sublime, mentre ci domandiamo dal nostro posto nella vita, man mano che il fumo ascende, come nel versetto 3.6 del Cantico dei Cantici “Che cosa è ciò che sale dal deserto come una colonna di fumo di mirra e di incenso” che contempliamo in silenzio, sommessamente, sentendo nei nostri cuori che questo è il profumo di Dio. |