Teologia, Metafisica ed Esoterismo in Dante /2

L'Opera al RossoDante – La Città Di Dante – La cultura fiorentina ai tempi di Dante – Metafisica ed Eresia a Firenze ai tempi di Dante – Testimonianze di metafisica ed esoterismo – I concetti basilari della dottrina dantesca – I Fedeli d’Amore

L’immensa cultura di Dante da dove era stata tratta? Qual era la sua ideale biblioteca? Quali furono i suoi maestri e dove trasse la sua dottrina? Le scuole erano del tutto private, ma in una società di mercanti, già nel ‘200 si sapeva che un minimo di istruzione era necessario a tutti.
A Firenze, già nel duecento, ai bambini era insegnato a leggere e a scrivere. Dalle famiglie di medio ceto fino alle famiglie più ricche l’insegnamento elementare era impartito anche alle bambine.

Teologia, Metafisica ed Esoterismo in Dante /2

di Vittorio Vanni

Sommario: Dante – La Città Di Dante – La cultura fiorentina ai tempi di DanteMetafisica ed Eresia a Firenze ai tempi di DanteTestimonianze di metafisica ed esoterismoI concetti basilari della dottrina dantescaI Fedeli d’Amore

La cultura fiorentina ai tempi di Dante

L’immensa cultura di Dante da dove era stata tratta? Qual era la sua ideale biblioteca? Quali furono i suoi maestri e dove trasse la sua dottrina? Le scuole erano del tutto private, ma in una società di mercanti, già nel ‘200 si sapeva che un minimo di istruzione era necessario a tutti.

A Firenze, già nel duecento, ai bambini era insegnato a leggere e a scrivere. Dalle famiglie di medio ceto fino alle famiglie più ricche l’insegnamento elementare era impartito anche alle bambine.

A chi aveva speranza di raggiungere un Maestrato artigiano, era insegnato l’abbaco, l’algoritmo, la matematica, ed elementi di francese. A coloro che aspiravano ad un Maestrato professionale il latino, la grammatica, la logica e rudimenti di filosofia.

Lo studio più approfondito si svolgeva nello Studio Generale di Santa Croce dove Dante apprese la massima parte della cultura dell’epoca, ma l’incontro fondamentale di Dante fu quello con Brunetto Latini, che ritornato dall’esilio prese particolarmente a benvolere, fino a vaticinarne il futuro genio, il giovane Dante che lo ricorda nei suoi famosissimi versi:

“ Che n’ la mente m’è fitta ed or m’accora,
la cara e buona immagine paterna,
di voi, quando nel mondo ad ora ad ora,
M’insegnavate come l’uom s’etterna .”

Brunetto Latini

Sarebbe molto utile, per la comprensione del nostro argomento, esaminare le fonti bibliografiche delle opere dantesche. Uno dei più grandi eruditi del Rinascimento, Don Vincenzo Borghini, affermava che i suoi Maestri erano i libri e dalla ricostruzione di un’ideale biblioteca dantesca potremmo trovare le origini del suo stesso pensiero.

Dante stesso ci parla delle sue cognizioni letterarie, scientifiche e filosofiche, nel IV canto dell’Inferno:

“E vidi Elettra con molti compagni,
Tra’ qui conobbi Ettore ed Enea
Vidi Camilla e la Pantasilea

Dall’altra parte, e vidi ‘l re Latino
Che con Lavinia sua figlia sedea:
Vidi quel Bruto, che cacciò Tarquinio:

Lucrezia, Julia, Marzia e Corniglia;
E solo, in parte, vidi il Saladino:
Poi ch’innanzi un poco più le ciglia,

Vidi l’maestro di color che sanno
Seder fra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor gli fanno:

Quivi vid’io Socrate e Platone.
Che n’anzi agli altri più presso gli stanno;
Democrito che l’mondo a caso pone,

Diogenes, Anassagora e Tale,
Empedocles, Eraclito e Zenone:
E vidi il buon accoglitor del quale

Dioscoride dico; e vidi Orfeo
Tullio e Lino e Seneca morale;
Euclide geometra e Tolomeo

Ippocràte, Avicenna e Galieno;
Averroé che il gran comento feo.”

Metafisica ed Eresia a Firenze ai tempi di Dante

Possiamo trovare un inquadramento storico di questo tema nelle domande che gli Inquisitori rivolgevano ai sospetti:

•  L’aver posseduto o solo visti libri eretici.

•  Se si conoscesse persone i cui usi si distaccassero dal normale o che non frequentassero delle chiese e se erano in grado di denunciarli.

•  Se avessero adorato idoli o se avessero fatto delle magie con gli specchi, spade, bastoni d’ebano ed avorio, o un globo celeste e terrestre, se avessero usato per le loro arti magiche un teschio, se facessero fondere piombo fuso per interrogare il futuro.

•  Se usassero i giorni “fausti” ed “infausti” egiziani.

•  Se avessero indotto uomini o donne all’amore o l’odio.

•  Se si credesse negli influssi del sole e della luna, nei segni zodiacali, dei sogni ecc.

•  Se si credesse che non era peccato lo stare ignudi con donne ignude ecc.

Vi sono in queste domande una implicita testimonianza della presenza di eretici e settari come i Fratelli del Libero Spirito, gli Adamiti, i Frati Apostolici, i Dolciniani ecc. Non dimentichiamo che un importante personaggio dell’eresia eretica fiorentina fu Margherita da Firenze, compagna di Fra Dolcino. Di lui si diceva, con religioso orrore, (…ha predicato lo spirito di libertà!!!).

Alvaro Pelayo, vescovo di Syles, nella sua opera Sulla tristezza della Chiesa, racconta nel 1304 quando si trovava ad Assisi, vi era un frate minore, chiamato Giovanni l’apostolo, cui prestava rispetto ed ammirazione per la sua saggezza e perfezione di vita. A lui aveva confidato le sue problematiche giovanili, essendo tormentato dal desiderio sessuale. Il frate gli aveva risposto sorridendo che non soffriva di simili tormenti.

Alvaro pensò allora che fosse un uomo miracoloso, ma quando l’apostolo fu arrestato assieme a molti altri frati minori e laici, fu riconosciuto come il capo di una comunità dei Fratelli del Libero spirito, che praticavano il libero amore con dame e damigelle.

Vi era quindi un senso recondito nella risposta. Il Frate era poi morto nelle carceri dell’inquisizione fiorentina.

Un ambito di possibile tendenza all’eresia ed alla metafisica si può trovare nell’apparente ortodossia delle Confraternite di Laudesi, la cui relativa libertà di riunione riservata era un privilegio di pochi.

In Firenze alla fine del XIV secolo, vi fu una decadenza del culto cristiano ed una rinascita dell’esoterismo.

Nell’ambito eterodosso permanevano o si innovavano pratiche superstiziose o si inserivano tematiche ambigue:

•  Venerdì Santo (crocifisso su un tappeto nero all’altar maggiore del duomo) spegnimento dei fuochi.

•  Sabato Santo: accensione del fuoco benedetto a S Maria sopra Porta, per recarlo poi in duomo. L’accensione era un privilegio della famiglia dei Pazzi (fine XIV), che si diceva avesse portato il fuoco sacro da Gerusalemme.

•  Era diffusa la predica pauperista ed escatologica di Ubertino da Casale, che con il suo De Arbore de viatae crucifixae fu sempre al limite fra tolleranza ecclesiastica e l’accusa di eresia.

•  Dal Corbaccio di Boccaccio si evince che dal pulpito si parlava anche di metempsicosi e storia delle religioni.

•  Federico da Pisa: paragoni astronomici ed astrologici con citazioni di Aristotele e Platone.

•  Frà Uberto Guidi confutava tenacemente “ le storie dei pagani e le favole dei loro poeti ”. Evidentemente la mitologia era conosciuta e radicata.

•  Remigio Girolami (ultimo trentennio del ‘300) Professore dello Studio dell’Ordine, come Priore di S. Maria Novella, allievo ed amico di Tomaso d’Aquino, insegnava non solo teologia, e materie giuridiche, letterarie e politiche ma anche astrologia, alchimia e persino magia.

•  Fra Giordano da Rivalta successore di Fra Remigio: insegnava antichità classiche ed era un ammiratore d’Aristotele. Aveva studiato a Bologna ed a Parigi ed aveva una straordinaria memoria. Predicava contro Pitagora e la sua numerologia. Quindi, anche il Pitagorismo era diffuso. Parlava anche due ore di seguito e uno dei suoi fedeli lo confortava poi con un “fiaschettuzzo”.

•  Ducento anni prima di Pico, leggeva il Vecchio testamento in greco e si mise ad imparare da un ebreo il “giudesco”. Nelle sue allocuzioni era violentemente antisemitico, fino al punto di lodare un progrom cui aveva assistito in Germania, ed in cui erano stati sterminati 24.000 ebrei. Giordano affermava che la terra si librava nello spazio infinito come una palla, più piccola d’ogni altra stella, ma nel contempo predicava che l’uomo non debba saper nulla di più che gli è giovevole alla salvezza dell’anima, e che si dovesse prestar fede a ciò che insegnava la Chiesa senza domandarsi altro. Le prediche di Fra Giordano, che ci sono rimaste, sono un infinito pozzo da cui attingere notizie ed umori sul XIV secolo a Firenze.

•  I battuti, i pellegrinaggi (proibizione dei viaggi in Terrasanta: 1216 Capitolo generale di Vallombrosa). La Chiesa a volte ingiungeva come penitenza il pellegrinaggio, ma solo perché ne poteva commutare l’imposizione in elargizione di contanti.

•  Guido Cavalcanti fu il miglio amico di Dante. Gli aneddoti della sua vita fiorentina ci confermano che un nobile e un potente come Guido poteva mostrarsi miscredente e libero pensatore. Fu comunque obbligato ad un pellegrinaggio a Sant’Jago di Compostella: la sua vita spendereccia ed una bella dama di Tolosa lo fermarono.

•  Confraternita dei Pellegrini d’oltre mare. Chi assumeva la croce, l’impegno di partecipare ad una futura crociata era esentato dalle tasse e dai debiti.

Comunque la fede si accompagnava al disprezzo contro gli ecclesiastici. Le beffe erano continue. Il Fiore, di messer Durante (forse Dante stesso) era il manuale dell’anticlericale.

Gli eretici fiorentini, massacrati nel 1200, vivevano nascosti nel 1300.

Testimonianze di metafisica ed esoterismo:

•  L’Astrologia di Cecco d’Ascoli (rogo) e Pietro d’Abano (morto nel carcere dell’Inquisizione a Padova).

•  Il Villani e Marte.

•  Secondo Antonio Pucci, trombetto (banditore) del Comune e gran pettegolo, Dante, che aveva dannato all’inferno gli astrologi, era un “eccelso astrologo” e “mago”.

•  Jacopo Passavanti nello Specchio della vera penitenza, parla diffusamente di magia.

•  Dino Compagni nella sua Intelligenza dei poteri magici delle erbe e delle pietre, segue i testi di Cecco D’Ascoli.

•  Nel 1294 fu vietato ai Domenicani di recarsi nelle case per motivi di magie e profezia.

•  Nello Studio Generale fiorentino era insegnata l’astrologia.

•  Mastro Boncompagno afferma che ai primi del 200 tutti si interessavano d’alchimia.

•  Nel 1300 ai Dominicani fu proibito di interessarsi d’alchimia.

•  Magia, astrologia e alchimia per quanto sconsigliate dalla Chiesa, furono pur tuttavia tollerate.

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I concetti basilari della dottrina dantesca

Nel Paradiso ci avviciniamo sempre più alla luce. Il primo canto, secondo l’uso classico, invoca l’ispirazione lirica. Ma qual’era la luce a cui aspirava Dante? E qual erano le sue radici?

Plotino chiamò il principio dell’armonia naturale “Intelligenza”, (il nous), mettendo sopra di esso l’Uno Assoluto, sotto di esso la psiche. Al culmine della vita spirituale Plotino vede l’estasi. Nel grande vuoto dell’anima che si priva di ogni pensare, desiderare, aspirare, si compie l’ingresso della grande quiete, della pienezza della felicità. Questa illuminazione è prodotta, per Plotino, da Eros. L’eros è l’aspirazione al mondo superiore, al superamento del condizionamento materiale.

Dante dice “Al cor gentile ripara sempre Amore”. Il neoplatonismo agisce nel pensiero cristiano attraverso Riccardo di San Vittore, Agostino, Boezio e Scoto Eriugena.

Rientra poi in Occidente attraverso i contatti con l’Islam. Gli ultimi filosofi della scuola neoplatonica di Atene, chiusa da Giustiniano, emigrarono in Persia e lì i loro successori vennero in contatto con l’Islam, dando origine alla sua corrente mistica, il sufismo.

La venerazione araba per l’Intellectus Activus plotiniano trovò poi la via per l’Europa attraverso la corte imperiale di Federico II a Palermo, la Spagna ed i Cavalieri Templari. Qui converge l’esaltazione dell’Eros plotiniano, della venerazione dell’Amore.

Amore che non nasce dalla sola vista, ma dal vedere e ripensare costante. Questo travaglio intellettuale del ripensare costante è sottolineato in modo continuativo dai Fedeli d’Amore.

Nel Templarismo spirituale questa abitudine alla riflessione profonda diventa caratteristica essenziale, soltanto nel suo ambito può formarsi quella elite spirituale a cui si aspirava come germe del rinnovamento di chiesa ed impero.

I Templari, acerrimi nemici della Ecclesia Carnalis, scaturita dalla donazione costantiniana, si consideravano come silenziosi portatori di questo germe della nuova chiesa, in piena concordia con le tesi di Dante.

Una catena iniziatica ininterrotta passa da Ermete Trismegisto per Pitagora, Platone, Seneca, Plotino e Giamblico fino ai Fedeli d’Amore ed ai poeti ghibellini siciliani, ed attraverso i Templari fino all’Accademia Platonica di Firenze.

Anche se Plotino ricusava la gnosi, i fondamenti del loro pensiero e delle loro aspirazioni filosofiche ultime erano simili e si fusero, irradiandosi nella morente religione greco-romana come nei tre monoteismi di origine medio-orientale.

I Templari, come i poeti d’amore dell’alto medioevo s’inseriscono a pieno titolo nella tradizione ermetico-gnostica-neoplatonica. Dante nella sua lenta e faticosa ascesa dal buio delle umane nefandezze verso la luce di Dio, si rivela gnostico, esprimendo le grandi verità in modo appena velato per tenerle a disposizione di chi ha orecchie per sentire.

L’accenno di Beatrice (Purg. XXXI, 51) alle sue “membra in terra sparse” suona simile ad un passo nel Vangelo di Eva, gnostico: “Io sono tu e tu sei io, e dove tu sei là sono io, e in tutti io sono sparsa”, analoghi passi possono essere trovati nel vangelo di Filippo.

Del resto come la gnosi templare recepì il sufismo islamico, così nello stesso periodo fu scritto nella Spagna musulmana lo Zohar, massimo libro della gnosi ebraica. La raffigurazione di Dio come punto Luminoso (Par. XXVIII,16) è una immagine tipica della Cabala.

La gnosi templare accoglie la ricerca della progressiva smaterializzazione dell’uomo interiore, fino alla spiritualizzazione suprema. L’amore descritto è l’eros neoplatonico, la causa della mors philosophorum, della distillazione ultima della componente divina dell’uomo. Nel Convivio Dante dice:

“Quella fine e preziosissima parte dell’anima che è la deitade” (Convivio III,2).

In questo contesto la conquista della visione di Beatrice, che poi si fa tramite della visione di Dio, è un’elegante esposizione della dottrina gnostica templare della beatitudine.

Beatrice fa parte di quella schiera di donne allegoriche care ai poeti del Dolce Stil Novo e come tali continuazione della tradizionale raffigurazione della sapienza come femminile (sophia, shekinah).

Il culto della donna allegorica proveniva dalla Persia. Lì nacquero tutti i grandi luminari dell’Islam, e lì si formò la scuola mistica dei sufi. Molte poesie sufiche esprimono un netto indifferentismo religioso, attaccato di panteismo da fonte cristiana, ma mai apertamente sconfessato dalla gerarchia ortodossa islamica, come lo furono invece analoghi movimenti gnostici cristiani influenzati da tale pensiero.

I manichei per esempio professavano uno gnosticismo dualista secondo influenze dello zoroastrismo persiano. Nel loro linguaggio segreto usavano chiamarsi i “Figli della Vedova”, forse per influenza egiziana del culto d’Iside.

I trovatori del sud della Francia, spesso in opposizione a Roma, furono fonte di trasmissione del sapere della cultura araba consolidatasi in Spagna. Gli albigesi ripresero alcune teorie, singolare è l’importanza data al vangelo di Giovanni, letto come “Consolamentum” all’imminenza della morte naturale. Affiora in essi la dottrina della purificazione delle anime tramite la trasmigrazione, concetto di origine indoeuropea, giunto in provenza attraverso la Persia ed i mistici arabi della Spagna.

È singolare comunque che la lotta dei poeti amorosi provenzali, così vicini alla eresia albigese, contro la curia romana conosce una eccezione: i Templari.

Mai un trovatore ha cantato una satira contro questo Ordine. Una comune origine gnostica accomuna albigesi, Templari e sufi, in contatto tra loro ed espressione della gnosi nelle loro rispettive religioni.

La mistica in Persia diventa la maschera del libero pensiero ed in modo similare lo intendono i Templari. La setta degli ismailiti, che conosceva sette gradi di perfezione era l’espressione estrema, con la sua autonomia ed opposizione all’autorità dogmatica, di tale pensiero. I sodalizi Templari, impegnati dalla gnosi della Gaia Scienza d’Amore, adottarono in tutto il suo rigore la segretezza dei misteri antichi e svilupparono tecniche iniziatiche.

Le prime donne allegoriche cristiane erano nate a Palermo, alla corte di Federico II, ed il loro nome era sempre Rosa. L’amore cantato alla corte di Palermo, si applica chiaramente alla spiritualità templare, che del resto era in sintonia con la corte ghibellina.

Nata a Palermo, la poesia d’amore come forma di gnosi si estese in Toscana e al resto d’Italia. Le donne allegoriche iniziarono a fregiarsi di nomi sempre diversi, realistici e di migliore copertura pubblica. Del resto questi poeti non operavano più con il consenso e sotto la protezione dell’illuminato imperatore Federico II alla corte di Palermo, ma in condizioni varie, spesso in ambienti guelfi legati al papato, ed una maggiore segretezza era d’obbligo.

Dino Compagni chiama “Donna Intelligenza” la sua donna, vestendola dei colori verde rosso e bianco, visti anche in Beatrice. Come in Guido Cavalcanti troviamo analogie di pensiero con il sufismo di Ibn Bagga, in Dante riecheggia lo spagnolo Abu Arabi.

Vediamo intensamente influenzate dalla poesia e dal pensiero islamico la poesia provenzale, e forse ancor più quella siciliana e la toscana. In questo si vede una fusione di neoplatonismo ed aristotelismo. Plotino vide l’anima come un pezzo d’oro insudiciato ed infangato, al quale si ponevano due alternative, quella dell’ascesa e della liberazione, e quella dell’affondare nella semplice materialità del corpo.

La via verso l’alto, verso gli dei, verso l’intima natura dell’Io, era anche quella che tentavano di dischiudere gli antichi misteri. Beatrice, la Donna del suo spirito, nel Paradiso terrestre, sito in cima al monte del purgatorio, e da lì Beatrice lo eleva al Paradiso celeste.

Al centro del manto terrestre che copre l’imbuto infernale, sta Gerusalemme. L’idea del purgatorio come monte e del paradiso come sua cima è del resto tipico dell’Islam. Il Paradiso, posto agli esatti antipodi, come immagine speculare, della città di Gerusalemme è un tipico pensiero templare. Dante nel suo viaggio intende se stesso come la rappresentazione allegorica dell’Umanità che si eleva verso la perfezione.

Sulla soglia del Paradiso, Virgilio gli conferisce tiara e corona imperiale come simbolo dei due poteri che solo uniti possono aprirne la porta.

Per Dante il Paradiso terrestre è il sito simbolico del tempio. In esso egli incontra Matelda che raccoglie fiori gialli e rossi, i colori dello stemma di Gerusalemme. Procedendo incontra i fiumi Lete ed Eunoè, che delimitano l’angolo Nord-Est, posizione in cui si pone la prima Pietra della costruzione del Tempio, angolo in cui incontrerà Beatrice.

Come antipodo esatto di Gerusalemme, questo angolo Nord-Est corrisponde all’angolo della città ove si trovano i resti del tempio di Salomone. Il punto in cui incontrerà il carro trionfale di Beatrice corrisponde al sito della chiesa ottagonale dei Templari, ed aveva il nome di Templum Salomonis.

Salomone nel Paradiso saluta Beatrice, donna allegorica, con il canto “Vieni sposa dal Libano”, (dal Cantico dei cantici) che nel medioevo indicava la Chiesa Spirituale.

Dante segue poi il carro trionfale verso Oriente per tre tiri di freccia, circa 210-240 metri, raggiungendo l’albero del bene e del male, luogo ove Satana fu vittorioso sulla coppia umana. Agli antipodi, sul piazzale del tempio, dopo un analogo tragitto, si raggiunge l’angolo sud-est, detto pinnacolo del tempio, ove secondo la tradizione avvenne la tentazione di Cristo da parte del maligno.

Il 33° canto del purgatorio inizia con le parole del salmo 79: “Deus, venerunt gentes”, che prosegue poi con “polluerunt templum sacrum tuum”. L’allusione alle “genti che hanno invaso e profanato il tempio del signore” è ovvia.

Beatrice risponde con le parole del Vangelo di Giovanni (16,16):

“Ancora un poco, e non mi vedrete più, e un altro poco e mi vedrete di nuovo”,

alludendo alla speranza nella resurrezione dell’Ordine.

Beatrice, parafrasando le parole dell’Apocalisse (17,8) dice “Sappi che ‘l vaso che il serpente ruppe fu e non è” (Purg. XXX, 34), negando con tale espressione la legittimità del Concilio di Vienne.

Come salvatore viene indicato il DVX inviato da Dio (Purg. XXX,43). Con questo non può essere inteso altri che il ricostruttore del Tempio, ricostruzione auspicata da Beatrice, allegoria della gnosi templare, e da Dante, in quanto adepto.

La ricostruzione del tempio di Salomone, distrutto nell’anno 588 a.c. da Nabucodonosor II, avvenne da parte di Zorobabel nel 515 a.c. come generalmente accettato nella storiografia ebraica (Herzfeld, Dressaire). Il DXV-515 sta per l’annuncio di una seconda ricostruzione, di un secondo Zorobabele, e come tale dell’imperatore gioachimita.

E con la ricostruzione del tempio si combina la purificazione della chiesa operata dal Papa Angelicus, l’annunciato Veltro di Virgilio, con la ricostruzione della unità di Croce ed Aquila, una volta considerata essenziale per la salvezza umana.

Dante denuncia come “compagnia malvagia e scempia” la sua parte politica e ben pochi scampano alla sue irose raffigurazioni poetiche: ma vi sono delle rare eccezioni, e sono per coloro che furono suoi amici e fratelli.

Parole d’affetto, compassione, amore Dante le riserva a coloro che sono in “piccioletta barca” (Parad.Canto II)

“O voi che siete in piccioletta barca
Desiderosi d’ascoltar, sèguiti
Dietro al mio legno che cantando varca.

Non vi mettete in pelago; ché forse
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L’acqua ch’io prendo, giammai non si corse:

Minerva spira e conducemi Apollo
E nove Muse mi dimostran l’Orse.
Voi pochi altri che drizzaste il collo

Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non sen vien satollo.
Metter potete ben per l’alto sale

Vostro naviglio, servando mio solco
Dinanzi all’acqua che ritorna equale.”

Solo per quei pochi ebbe amore e rispetto, soprattutto per quel grande personaggio che fu Guido Cavalcanti e a Lapo Gianni, la triade fiorentina degli anni migliori e della più perfetta affinità spirituale.

Ricordate il sonetto?

“Guid’io vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel cad’ogni vento
al voler vostro andasse e al mio.
E Monna Vanna e Monna Lagia e poi,
con quella ch’è sul numer delle 30….”

Quella ch’è sul “numer delle trenta” è Beatrice. Molto spesso Beatrice ha rapporti con il 9 nella divina Commedia, e il nove è l’ultimo dei numeri dispari, divini secondo Pitagora. Ma 30 è formato da 3 x 9 + 3 ed il numero dei cori angelici che sono più prossimi a Dio. Un antico testo ermetico afferma che, giunto al 9, il saggio si tacque.

Ed in questa terna di perfezione che consiste la crittografia dei Fedeli d’Amore, il mistero profondo della Sophia, la Sapienza santa.

Beatrice, Giovanna, Selvaggia, sono le “Dominae” le Signore, le terribili entità feminine che formano l’entità animica dei loro Fedeli.

Vi è uno splendido monologo biblico della Sapienza:

“L’Altissimo mi ebbe con se all’inizio delle sue imprese, prima di compiere qualsiasi atto, da principio. Ab Aeternum sono stata costituita, anteriormente alla formazione della terra. Io ero già generata e gli abissi non esistevano e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti ancora sorgevano con la loro grave mole; prima ancora dei colli fui generata; non aveva ancora creato la terra, né i fiumi né i cardini del mondo. Quando disponeva i cieli fui presente, quando accerchiava gli abissi nel giro regolare dei loro confini, quando fissava in alto le atmosfere e sospendeva le fonti delle acque, quando segnava intorno al mare il suo confine e poneva un limite alle acque affinché non oltrepassassero le sponde, quando gettava i fondamenti della terra, assieme a lui disponevo di tutte le cose e mi deliziavo in tutti quei giorni, trastullandomi di fronte a lui continuamente, trastullandomi nel cerchio della terra e la mia delizia era vivere con i figli degli uomini”.

Dalla Bibbia: I Proverbi

I Fedeli d’Amore

La Donna dei Fedeli d’Amore era speculare alla loro interiorità, era la loro stessa anima. Ma quest’entità femminea aveva una parte oscura e terribile, la Nostra Signora delle Tenebre.

Nell’albero Sephirotico della cabala la colonna del Rigore è Hocmah, la Madre. Ma è una madre tellurica, non celeste; ctonica, non cillenia.

È Iside, Astarte, Cibele, Durga Kalì. Quest’entità si esprime nella materia come Venere Pandemia, l’Eros volgare della massa, che deve diventare Venere Urania, la Virgo, che è sublimazione della madre e del femminile. Quest’antichissimo concetto è stato ridiffuso da Carl Gustav Jung.

Le concezioni psicoanalitiche di Jung sono spesso desunte dalla filosofia esoterica. La sua formazione massonica, presso la Loggia Modestia cum Libertate all’Oriente di Zurigo – la stessa loggia di Kereny, il grande mitologo dell’antica Grecia – gli consentì una preparazione iniziatica, che Jung stesso definì come gnostica.

Jung portò nel campo della psicologia l’Animus e l’Anima. L’Animus era l’archetipo dell’anima insito nella donna, l’Anima era la versione maschile di questo simbolo arcano.

L’Anima, la Sophia dei Fedeli d’Amore doveva congiungersi ermeticamente con lo spirito, l’Intelletto, per poter esulare dalla dualità di Rigore e Misericordia, nella colonna sephirotica dell’Equilibrio.

Così l’amore terreno era soltanto l’allegoria e l’anagogia dell’amore celeste. La veste materica della donna era il paradigma della Nostra Donna Interiore, la Pietra grezza e negra che doveva trasmutarsi in pietra cubica.

E la Domina, nel contempo era anche il nome del segreto Ordine cui forse appartenne Dante, un Ordine metafisico a cui corrispondeva un Ordine fisico, rappresentato da quell’Aquila che era il simbolo dell’Impero e l’Imperatore.

La sconfitta politica del ghibellinismo fece sì che i grandi signori cui Dante richiese pane ed asilo non fossero poi così ospitali. Dante grande vate dell’Idea Imperiale era ormai un testimone scomodo nei nuovi tempi borghesi e il poeta dovette adattarsi a guadagnarsi la vita “frusto a frusto” ad assaporare “come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere ed il salir le altrui scale”.

Ma la sua grandiosa visione metafisica, universalmente ed atemporalmente descritta nel Paradiso, superava gli accadimenti e le contingenze, e la sua Beatrice, con cui certamente si congiunse in un’unità spirituale si tramutò nella Virgo Celestis.

È difficile e complesso esaminare i personaggi, la storia, la crittografia dei Fedeli d’Amore, i loro scopi spirituali e quelli politici.

La collazione dei testi, la loro interpretazione, è astrusa e controversa.

Ma non era possibile iniziare un’analisi che potrebbe anche esser arida senza ridisegnare ancora la grande maschera di Dante, la sua vita difficile, la sua grande opera. Quella maschera muta, che sa ancora vibrare di “quell’amor che muove il sole e l’altre stelle” per chi sa vedere con gli occhi dello spirito la Rosa, la Croce, l’Aquila dell’Empireo.

Un amore, biblicamente più forte della morte, che vibra ancora in una Firenze che vogliamo e speriamo nascos