Abbiamo visto come i miti forniscano diversi livelli d’interpretazione e molteplici chiavi di lettura. Naturalmente a livello strutturale i diversi livelli esegetici devono necessariamente coesistere senza rivendicare pretese egemoniche o istanze esclusivistiche: anzi, la polisemia semantica dei mitologemi, è provvidenziale in quanto permette d’interagire con i molteplici stati dell’essere della manifestazione individuale.
Il Graal richiama la reintegrazione nel Centro e la conservazione della conoscenza tradizionale [2]. Tutti questi significati sono ugualmente validi, ma soltanto l’ultimo è propriamente iniziatico e destinato a rischiarare la percezione di chi ha “occhi per vedere e orecchie per sentire”. Nell’analisi dei miti, non si tratta, dunque, di tracciare dei contenuti fissati una volta per tutte, prescindendo dalle capacità intellettuali e spirituali dell’interprete. Ma di comprendere come ognuno finisca per riconoscere nella trama semantica dei mitologemi, la propria condizione esistenziale, il proprio destino. Con la differenza fondamentale che il profano non penetrerà mai il senso esoterico del mito, che in fondo non è altro che un simbolo “in movimento”, il cui contenuto si articola in una narrazione: mentre, l’iniziato è in grado di richiamare sia il contenuto exoterico che quello propriamente esoterico. In altre parole, l’iniziato può muoversi verticalmente sull’asse spirituale e perpendicolare della croce, mentre il profano è costretto a spostarsi soltanto sulla traiettoria orizzontale e longitudinale della stessa. L’esoterista possiede il senso e la traiettoria dei due assi: dunque risiede sul Centro che orienta l’uomo spiritualmente e diacronicamente. L’exoterista, invece, padroneggia soltanto l’asse orizzontale del divenire, la storia che acquista senso nell’attesa della Parusia o del Messia. Il profano, infine, non possiede alcun senso, alcuna direzione: la sua vita è svuotata di contenuti ontologici forti, imprigionata nell’oblio dell’origine perduta e strutturalmente ipnotizzata nell’allucinazione collettiva del “produci-consuma-muori”. Si dovrebbe, ancora, rilevare come la nostra civiltà moderna, ormai non possa essere considerata nemmeno come materialistica o integralmente secolarizzata, perché il tempo presente e quello che verrà, presentano i prodromi di uno “pseudo-spiritualismo” di stampo stregonesco, neopagano ed eclettico-solitario. Ritornando alla mitoanalisi, possiamo introdurre un’interessante distinzione antropologica proposta da Pierre Riffard. Secondo questo autore, si può parlare di «mitologismo» per designare la tendenza a riconoscere negli avvenimenti o nelle figure della contemporaneità i mitologemi. In altre parole, a ripensare gli eventi storici secondo le categorie del pensiero mitico [3], intravedendo nei mitologemi finalità metafisiche. Per esempio, per E. Senart la via del Buddha è riconducibile all’archetipo dell’Uomo Universale il «Mahâ Purusha». Ed al contempo è una personificazione del simbolismo solare proprio di Visnù (non a caso sono proprio i brahmani a ritenere il Buddha una rinascita di Visnù, disceso per sconfiggere gli Asura). Anche per Coomaraswamy il Buddha è una divinità solare che discende dal cielo per salvare gli uomini e gli dei dalla mortalità e dall’illusione sottesa al Samsara. Occorre, tuttavia, richiamare un importante aspetto sotteso alla contemplazione dei miti, per prevenire certe conseguenze nefaste che possono colpire l’equilibrio psichico individuale, portando al contempo a compimento l’infiltrazione di residui psichici inferiori nel presente ciclo di manifestazione terrestre. Esistono delle differenze fondamentali nelle finalità sottese alla mitoanalisi; se è senz’altro vero quello che scrive Jung sull’acquisizione di caratteri malefici per i mitologemi rimossi dall’Inconscio Collettivo (la trasformazione di Hermes o Dioniso in Satana), dall’altro lato non per questo si deve avallare quest’inquietante (ma non casuale) renaissance del neopaganesimo su basi post-gardneriane. La riscoperta della Dea e la conseguente rivalutazione del lato femminile, lunare, materno e terribile del macrocosmo, non autorizzano a giocare indiscriminatamente con rituali improvvisati e simboli abborracciati, mettendo in gioco forze e influenze inferiori di cui non si comprende appieno la portata. Il mito, in quanto simbolismo narrato, deve essere interpretato come una categoria trascendente che riconduce il significato immediato al senso invisibile intuito dall’intelletto noetico sovrarazionale. La logica dei miti e dei simboli non è razionale: l’intelligenza può soltanto sforzarsi di cogliere con le categorie dello spirito ciò che oltrepassa la mera dimensione individuale, ossia antropocentrica. Ma utilizzare gli archetipi per caricare magneticamente i residui psichici latenti, alla maniera delle pratiche eclettico-solitarie propalate dalla diffusione e dalla popolarità della cosiddetta “neostregoneria”, può essere molto pericoloso. Nella Germania prenazista si era costituito un movimento politico-culturale, i Wandervögel; gli «uccelli vagabondi» che vagavano nei boschi, abbracciando alberi ed invocando Wotan. Se da un lato poteva essere utile, ai fini dell’esplorazione psicoanalitica, riattualizzare l’archetipo del re degli Asi, dall’altro l’eccessiva focalizzazione – fomentata da tecniche meditative e magiche, dell’attenzione collettiva su questo simbolo – doveva necessariamente condurre all’ingresso di forze distruttive camuffate, “sotto la pelle di pecora”, nel particolare clima culturale della Germania prenazista. Oggi sappiamo com’è andata a finire… __________ Note1. C. G. Jung, L’homme et ses symboles, Parigi 1964 (torna al testo) 2. R. Guénon, Il Re del mondo, Adelphi, Milano 1994. (torna al testo) 3. Pierre Riffard, Dictionnaire de l’èsotèrisme, Editions Payot & Rivage, Parigi 1993. (torna al testo) |