La questione della laicità nella scuola pubblica

L'Opera al RossoNell’accezione generale per laicità si intende l’autonomia di una realtà, quale essa sia, dal potere religioso o da qualunque altro potere ideologico, concetto che trasferito ad una struttura politica come l’impianto di uno stato, o amministrativa, ne esprime la volontà di sostanziarsi in modo autonomo nei suoi principi e valori costituenti rispetto ad una qualsiasi autorità esterna che ne potrebbe determinare, compromettere o perlomeno influenzare l’azione.

La questione della laicità nella scuola pubblica

di Marcella Matelli

Il dibattito sul principio della laicità echeggia dal profondo delle nostre coscienze. Ci riporta alla nostra coesione nazionale, allo nostra attitudine a vivere insieme, alla nostra capacità di riunirci sull’essenziale. La laicità è inscritta nelle nostre tradizioni. È nel cuore della nostra identità repubblicana.

Oggi non si tratta né di rifondarla, né di modificarne le frontiere. Si tratta di farla vivere restando fedeli agli equilibri che noi abbiamo saputo creare e ai valori della Repubblica. Questo tema ben difficilmente lo possiamo affrontare appieno o in maniera esaustiva. La questione della laicità va intesa come principio costitutivo di uno stato democratico.

Di fatto, ci sono troppi risvolti e altrettanti chiavi di lettura sulle quali sarebbe doveroso porre l’accento, ma per ragioni oggettive ritengo opportuno focalizzare.

Ciò premesso appare comunque indispensabile indugiare su alcuni cenni storici e giuridici che attengono alle sorti del nostro paese.

In questo non intendo in alcun modo porre in discussione il diritto ad esistere di qualunque chiesa ivi incluso quello della promozione ad ogni livello dell’azione di propaganda delle proprie credenze, riti, atti di culto. Vedrò dunque di fissare alcuni punti di partenza per sviluppare il tema.

Nell’accezione generale per laicità si intende l’autonomia di una realtà, quale essa sia, dal potere religioso o da qualunque altro potere ideologico, concetto che trasferito ad una struttura politica come l’impianto di uno stato, o amministrativa, ne esprime la volontà di sostanziarsi in modo autonomo nei suoi principi e valori costituenti rispetto ad una qualsiasi autorità esterna che ne potrebbe determinare, compromettere o perlomeno influenzare l’azione.

Visti questi presupposti uno stato laico si configura anche come assenza di un’ideologia dominante in tutta l’opera di governo.

La maggiore o minore laicità di uno Stato si rende agevolmente valutabile se teniamo conto di alcuni criteri:

la legittimità di uno Stato laico non è subalterna rispetto ad altri poteri, come istituzioni religiose o partiti politici; ad esempio, “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” si legge nell’art. 7 della Costituzione.

uno Stato laico rifugge da qualsiasi mitologia ufficiale, ideologia o religione di Stato;

uno Stato laico è imparziale rispetto alle differenti religioni e ideologie presenti al suo interno, e garantisce l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, senza discriminarli sulla base delle loro convinzioni e fedi;

uno Stato laico riconosce e tutela i diritti di libertà di tutti i suoi cittadini: libertà di pensiero, di parola, di riunione, di associazione, di culto, ecc., compatibilmente con le proprie leggi e ordinamenti;

le leggi di uno Stato laico non devono essere ispirate a dogmi o altre pretese ideologiche di alcune correnti di pensiero, ma devono essere mosse dal fine di mantenere la giustizia, la sicurezza e la coesione sociale dei suoi cittadini.

Questi criteri di valutazione, rispecchiano i principi contenuti nel dettato costituzionale e ritengo sia evidente a tutti la necessità di aderirvi incondizionatamente al fine di non tradirne la natura degli enunciati.

Vedremo poi, con altrettanta evidenza, come rispetto ai postulati si sono mossi nel corso degli anni Stato e Chiesa.

Il dibattito sulla laicità, in Italia, vive corsi e ricorsi storici ma si è riacceso negli ultimi anni prevalentemente attorno alla regolamentazione di alcuni temi, tra i quali:

la presenza o meno di simboli religiosi negli edifici pubblici di proprietà statale,

la possibilità o meno di fare riferimento nelle dichiarazioni ufficiali ad alcuna fede,

la possibilità o meno dell’insegnamento di una o più religioni nelle scuole pubbliche,

la possibilità di regolamentare alcuni temi eticamente sensibili, come il divorzio, l’aborto, la fecondazione medicalmente assistita, le unioni civili per coppie eterosessuali e omosessuali, l’eutanasia, prescindendo o meno dalle convinzioni etiche più restrittive di una parte del Paese.

Va da sé, e chiunque lo può verificare tutti i giorni, come la Chiesa Cattolica apostolica romana, diversamente da altre confessioni occidentali, sia impegnata a diffondere i propri dictat su ciascuno di questi temi per bocca di rappresentanti autorevoli, di varie Eminenze in primis, di impeccabili teologi, di teocon, teodem, di convertiti e conversi dell’ultima ora che folgorati sulla via di Damasco come Saulo, si affannano nella rincorsa ad assicurarsi i favori del Sacro soglio inchinandosi a baciare l’anello, col capo cosparso di cenere.

Una lunga teoria di professi che affollano trasmissioni radio televisive sgomitando nei dibattiti per collocarsi in linea con l’ultimo proclama papalino.

Quello che, a mio avviso, appare palese è l’intendimento da parte della chiesa cattolica a condizionare la vita culturale, politica sociale di uno stato che mostra tutte le fragilità di una decadenza di valori civici, e un intelletto collettivo affetto da deprivazione nei confronti della credibilità delle istituzioni.

Ogni giorno aumenta in quantità, ma non in qualità, l’impudicizia di chi pontifica, ritenendosi nel pieno diritto di farlo, su ciò che è bene o male, sulle leggi da emanare, sui diritti da riconoscere o meno a seconda dei destinatari e soprattutto della professione di fede, ovviamente cattolica, che hanno pronunciato a suo tempo richiamandoli all’osservanza dei dogmi.

Duemila e passa anni di acquisizione di potere mediatico e strategia massmediologica su diversi gradini della scala sociale consentono a questi signori della verità rivelata di ritenersi i depositari di un diritto universale all’ingerenza.

Il loro mercato di anime inizia sin dalla nascita del singolo individuo tanto che non conosco molti genitori che non abbiano assicurato al nascituro almeno il battesimo.

E da lì in poi il business è assicurato…: catechismo, comunione, ri-catechismo e cresima, oratori vari, corsi di preparazione al matrimonio, matrimonio eventualmente anche un successivo percorso all’interno della “mitica e imperitura” Sacra Rota in caso di separazione e di nuovo battesimo, se va tutto bene etc. etc., sino alla straordinaria ultima fase di accompagnamento che non termina con la cerimonia funebre perché dal trigesimo in poi ci sono le messe in suffragio ad libitum.

Certo, ad libitum, come succede per certi refrain musicali che ci spingono verso un’insopportabile coazione a ripetere sullo stesso stile delle litanie tanto care al clero.

Smantellato, grazie ai bersaglieri, il potere temporale della Roma papalina, il Papa è ritornato ad essere Re della borsa saccheggiando a piene mani i portafogli dei cittadini.

Per meglio dire quando c’era ancora lo stato della chiesa, venivano esatte tasse, prebende e decime solo dai sudditi, si vendevano indulgenze ai fedeli, si faceva mercimonio di improbabili reliquie, oggi tutti noi paghiamo, a prescindere dall’essere o meno sudditi e cattolici, direttamente tramite prelievo fiscale.

8 per 1000 per il sostentamento del clero, esenzione dell’Ici dai patrimoni ecclesiastici, finanziamenti alle loro scuole, retribuzione ai loro insegnanti nelle scuole private e statali, detassazione per le loro associazioni, sostegno alle loro iniziative, contribuzioni alle famiglie che scelgono i loro istituti, per gli ospedali, e mille altri piccoli e grandi privilegi che sembrano crescere di giorno in giorno, senza riuscire a colmare i santi appetiti di una Chiesa arrogante e prepotente, che ha costruito il suo potere sociale ed economico sull’ignoranza modificando gradualmente la prima ratio della sua esistenza, l’essenza stessa del significato di ecclesia.

Ad ogni refolo di libertà, per ogni afflato di modernità ecco pronta la risposta di restrizione, di divieto, che agisce e colpisce la cosiddetta coscienza sociale ormai avvezza a questo girone infernale di mala-informazione massmediatica portata avanti talora da un mite francescano, piuttosto che da un filiforme cardinale in su di età, e nel frattempo tutto si gioca tra quei proclami e moniti di dannazione cui accennavo prima, col placet dei nostri parlamentari.

Loro per primi, non avendo evidentemente argomenti validi su cui spendersi o caratterizzare una proposta politica, si tuffano in questo acquario di pesci porporati.

Spesso dialetticamente incontenibili, sguazzando nella risacca dell’attribuzione del torto o della ragione verso questa o quella presa di posizione.

Tutto lo spazio lasciato dalla loro ignavia, da carestia di idealità civili, viene colmato da un clero rampante e muscolare che negli ultimi venti anni è riuscito a riempire le piazze, i programmi radio-televisivi, i giornali, e contemporaneamente a svuotare le chiese facendo un operazione di marketing o di “restiling” invidiabile, con una volontà irriducibile di riportare tutte le pecorelle all’ovile teocratico.

Sembrano essere passati indenni scandali di dimensioni inconfutabili, dallo Ior di Marcinkus, alla partecipazione, con quota azionaria, a fabbriche di armamenti, dallo scandalo, non solo americano dei preti pedofili, al collaborazionismo storico con i regimi totalitari del novecento rossi o neri che fossero.

Ritornando ai temi, e a ciò che a mio parere sembra essere la sfera di ingerenza prediletta, non va sottovalutata l’operazione subdola e indecente perpetrata ai danni della scuola pubblica di ogni ordine e grado per soddisfare i santi appetiti del Vaticano.

In un paese serio la scuola è il primo gradino di formazione del cittadino, il luogo dove si forma il carattere e la coscienza nazionale.

Cito a questo proposito una frase di Gustavo Raffi:

‘‘Solo la scuola, quella pubblica in particolare, può garantire percorsi di coesistenza tra realtà familiari, culturali e religiose diverse. È il laboratorio per acquisire l’importanza del dialogo”.

Sentendo un’affermazione di questa portata, durante le celebrazioni del XX settembre, mi è apparsa chiara la necessità di riflettere sulla situazione della scuola oggi nei confronti della sua condizione di istituzione laica e di porre in essere una battaglia culturale in difesa del diritto di tutti e ciascuno a ricevere un’educazione e un’istruzione libere da gravami religiosi o dogmatici di qualunque specie in un contesto come quello scolastico esplicitamente destinati alla formazione delle generazioni future.

Facendo un doveroso passo indietro ho ripercorso il processo dell’affermarsi graduale dell’istruzione come pietra fondante uno stato democratico.

 

Remo Bodei in un articolo su Mazzini ricordava come la costruzione di una democrazia poggi oggi come ieri sul “problema educativo”, sulla necessità di eliminare nella società – e soprattutto tra i giovani – lo spreco di intelligenza e di energie morali.

Dunque lo Stato dovrebbe avere tra i suoi obiettivi principali quello di riuscire a connotarsi come comunità educante visto che non c’è democrazia nell’ignoranza.

Dunque come potremmo oggi coniugare il concetto di laicità a quello di scuola pubblica?

Come applicare concretamente il sommo principio che ci vuole cittadini di uno Stato laico, fruitori tutelati di articoli come il 33 e 34 della Costituzione Italiana?

È una domanda tra le tante che mi pongo da tempo e che penso di condividere con una lunga teoria di laici, credenti e non, che esprimono seri interrogativi sulla condizione che sta vivendo la pubblica istruzione, in un momento storico che sembra soggetto da un assedio oscurantista.

Facendo un rapido excursus sulla nascita della scuola “cosiddetta” pubblica che un giorno o l’altro vorrei poter sentire definire Scuola di Stato, si possono ripercorrere le diverse strade intraprese dall’istruzione.

Partirei da una data che probabilmente sancisce una sorta di volontà di assicurare a molti se non a tutti l’istruzione primaria

E questa è legata a due leggi che datano oltre 150 anni fa (1854/1857) del Regno di Sardegna a firma Cibrario – Lanza che afferma il principio di obbligatorietà e gratuità della scuola elementare.

Tra i principi di cui si enunciava nella stesura non c’era ancora un concreto riferimento a specifici programmi che parlassero di insegnamento religioso o della religione cattolica in specie, ma si sa che in un contesto storico dove l’analfabetismo toccava punte altissime gli unici in grado di assicurare una qualche istruzione, benché ridotta ai requisiti minimi di abilità di letto scrittura erano ovviamente i chierici, che dispensavano sin dal medioevo, l’istruzione alle classi nobili e in qualche caso mercantili.

Si assisterà alla nascita di un vero progetto strutturale, dunque di un sistema organizzato di scuola solo con Gabrio Casati che da ministro del Regno di Sardegna estese la legge al nascente Regno dell’Italia unita nel 1861.

In questo sistema, che permea ancora l’attuale suddivisione in ordini e gradi di scuola, era previsto l’insegnamento della religione cattolica tra le altre discipline e veniva impartita a seconda del grado, dal maestro nelle elementari, supervisionato o meglio sotto il controllo del parroco, nei licei e tecnici da un direttore spirituale e poi, per coloro che frequentavano le cosiddette scuole normali che preparavano i maestri, da un titolare di cattedra, da un professore quindi, divenendo oggetto di esame finale.

Unica scappatoia era la richiesta di esonero che potevano avanzare i genitori, un po’ come si fa adesso.

Una piccola, ma significativa, presa di posizione, devo dire fortemente legata al periodo storico in cui veniva promulgata, si ebbe con tal Cesare Correnti, Ministro della pubblica istruzione, dai più ahimè dimenticato, e aggiungerei cassato da molti annali, visto che nonostante conosca bene i testi di storia della scuola da qualche anno, l’ho trovato citato solo un paio di volte.

Il Correnti, il 29 settembre 1870, sanciva con una circolare ministeriale che l’insegnamento della religione cattolica veniva impartito solo a quegli alunni i cui genitori avessero fatto esplicita richiesta.

Questo zefiro settembrino ebbe vita media, ma sufficiente per arrivare ad abolire la figura del “direttore spirituale” nelle scuole superiori e a far si che il successore ministro Michele Coppino ribadisca, nel 1878, che l’insegnamento della religione è facoltativo, così che la materia sparisce anche dal quadro delle discipline e viene sostituita con una sorta di educazione civica che titola: “prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino” di chiara impronta mazziniana.

Anche i maestri elementari dal 1880 vengono liberati dallo studio della religione.

E per circa un quarantennio questa sana distinzione tra ciò che va assicurato ad un popolo sul piano del diritto all’istruzione e alla formazione e ciò che si intende per allevamento ad un credo religioso viene in qualche modo, pur con alti e bassi, garantito.

Ho sempre considerato gli insegnanti una categoria con responsabilità spesse volte superiori al loro grado di formazione e di cultura. Non c’è categoria professionale come quella degli insegnanti, dai maestri elementari ai docenti universitari, che si presti a farsi devoto strumento dell’ideologia o della propaganda.

Il clima muta con il mutare degli avvenimenti politici e nel 1929 Mussolini affida il Ministero della Pubblica istruzione a Giovanni Gentile esponente dell’idealismo, che vede nella religione una fase necessaria e preparatoria allo studio della filosofia: “un inizio di sapienza” come viene definito dallo stesso Gentile capace di dare unicità e organicità al sapere.

Mussolini era un maestro di scuola e nella scuola vide il naturale luogo di indottrinamento e di manipolazione.

Come non leggere tutto questo come una dovuta servitù di passo, volta a rivestire il regime fascista di una qualche accettabile idealità culturale?

Ed ecco la prima delle legittimazioni necessarie al Duce per sdoganare la mancanza di un retaggio culturale effettivo interno al totalitarismo.

Come non pensare poi ad un sordido, sottile, premeditato progetto di addestramento ed indottrinamento teso a emarginare il libero pensiero e il pensiero critico in ogni ambito della società e dell’individuo nella sua quotidianità non ultimo quello della pratica della fede?

La fascistizzazione dell’Italia passava anche da un’azione tesa ad occultare la realtà, il sapere, la scienza, per andare verso la rappresentazione di un immaginario collettivo, verso la costruzione del mito, che abbisogna di un imprimatur divino e che rende i cittadini ancor più indifesi di fronte agli inganni della propaganda e soggetti a più facile controllo.

Pio XI non si tirò indietro, e con lui tutte, o quasi, le gerarchie ecclesiastiche che non aspettavano altro che di potersi riappropriare della formazione, secondo parametri precisi che vadano a scardinare la naturale inclinazione dell’uomo all’a-dogmatismo.

“Se i piace ei lice”, avrebbe ribadito Giordano Bruno, ma ciò contrasta totalmente con la concezione che vede appunto nel controllo delle masse una somma e funzionale strategia di potere.

Il 1929 segnò, con la firma dei Patti Lateranensi la riscossa o per meglio dire la rincorsa alla reintegrazione piena dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica e cito dalla circolare ministeriale n° 77 già redatta da Gentile nel 1924:

“A fondamento e coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”.

Questo enunciato si ritrova puntualmente nell’art. 36 del Concordato del 1929.

Di fatti il Papa, ebbe a dire, dopo aver invitato i cattolici a votare alle elezioni di marzo il listone fascista:

“Siamo stati nobilmente assecondati. E forse ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”.

Nel dopoguerra i ministri della Pubblica Istruzione erano democristiani, secondo un preciso patto di divisione dei ruoli e dei poteri; nell’Ottocento l’istruzione era nelle mani dei gesuiti e molti di questi ministri sembrano essere stati allevati alla loro scuola.

Non pochi Ministri hanno ricevuto tale formazione, e chissà se urbi et orbi abbiano ricevuto dalle gerarchie vaticane una tale espressione di gratitudine, visto che hanno incentrato l’impianto delle varie riforme su un’azione di revisionismo di stampo gentiliano che ha toccato punte di negazionismo storico inaudite.

Vedi ad esempio la questione dell’oscuramento della teoria darwinista nei libri di storia, come l’esasperazione della parità tra scuole pubbliche e private, che ha richiesto un largo impiego di finanziamenti, in piena sintonia con quanto esplicitato dal Cardinal Scola, che chiede a gran voce di restituire l’istruzione alla società civile in un fantasmagorico processo di depotenziamento della scuola di Stato.

Non vorrei trascurare in questo breve pamphlet il post fascismo e la rincorsa ulteriore ad occupare quanti più spazi possibili nei programmi scolastici da parte dell’insegnamento della religione, con il lasciapassare di qualunque ministro abbia avuto in carico la pubblica istruzione.

È pur vero che Viale Trastevere, sede ufficiale del dicastero, non ha avuto l’opportunità di conoscere reggenti laici, salvo brevi permanenze, negli ultimi 60 anni.

Pare che dal 1848, quando lo Statuto Albertino riconosceva alla cattolica il ruolo di sola religione di Stato, e dalla Riforma Gentile che ne colloca il suo insegnamento all’interno della scuola laica in virtù del suo intrinseco valore culturale e civile, le cose non siano certo andate in meglio.

Lento pede , ma con inossidabile determinazione ci siamo visti sottrarre – spesso aggirando il dettato costituzionale – pezzi di laicità per ripristinare ai vertici dell’intero comparto dell’istruzione e dell’educazione una nomenclatura di chiara area cattolica.

Sarebbe dunque divertente elencare i diversi ministri che si sono succeduti, sottolineando gli atti da loro intrapresi durante le diverse legislature per riportare il mondo della conoscenza in mani targate esclusivamente cattoliche.

Così è, perché è fuori da ogni dubbio che le altre confessioni in Italia non godono di alcuna considerazione.

Siccome non bastavano i Lateranensi lo Stato italiano ha ravvisato la necessità nel 1984 di apportare modifiche al Concordato e l’azione di revisione, se mai ce ne fosse stato di bisogno, ha gettato sale sulla ferita aperta, poiché la Chiesa ha centrato l’obiettivo sia con l’articolo 9 comma 2, sia nel protocollo addizionale che ha aperto definitivamente il varco di una breccia in senso opposto.

In questo teatrino, dove uno staterello teocratico, pensa di dettare i parametri che attengono all’azione pedagogico/educativa di uno Stato laico e sovrano, si dimenano in molti come marionette animate da fili teo-con nylon, teo senza nylon assimilabili metaforicamente a servi sciocchi di due padroni: quello da cui ricevono oneri e onori di rappresentanza e quello, oltre Tevere, che pontifica, priva, minaccia, garantisce il possibile favore dei cattolici.

Questo atteggiamento accondiscendente ha fatto si che negli ultimi tre anni siano stati immessi nei ruoli dello stato, 20.000, più o meno docenti di religione cattolica previo corso abilitante, pescati dalle graduatorie compilate dalle diocesi e i cui candidati permangono comunque in questo ruolo, se ritenuti di volta in volta idonei dal vescovo della diocesi di appartenenza.

Diversamente si possono riconvertire in quelle graduatorie dove abbiano titolo abilitante.

Ricapitolando, l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo, almeno sin qui lo Stato è riuscito a porre un paletto e garantire chi non intende avvalersi di questa disciplina, benché sia lasciata alle famiglia e agli alunni poca scelta per la fruizione delle attività alternative, ma i docenti di religione hanno tutti una cattedra assicurata.

Fanno parte a pieno titolo dei consigli di classe, danno voti in pagella o su scheda allegata, non hanno fatto un concorso ordinario o riservato di tipo abilitante per i diversi gradi del sistema scolastico né hanno fatto regolare tirocinio.

Di graduatorie, precariato, supplenze annuali e quant’altro caratterizzi il percorso di un insegnante non c’è traccia.

Mi pare che lo staterello di cui sopra oltre alla beffa procuri il danno, anche economico.

Cosa resta in fondo del concetto di laicità della scuola pubblica?

Metaforicamente ho la sensazione di vivere in un fortino circondato dalla tribù dei Canonici regolari nota per assedi di lunga durata, che se non fanno capitolare la città con la forza la prendono con la fame.

Nel catechismo della chiesa cattolica – vedi i testi promulgati da Wojtyla al canone 1793 e 2229 – si fa esplicito riferimento all’educazione della coscienza, e al fatto che i genitori hanno il dovere di esigere per i propri figli scuole che garantiscano il rafforzamento della loro istruzione cristiana, tanto che i pubblici poteri hanno il dovere di assicurarlo.

Se inoltre ci vogliamo addentrare nelle indicazioni contenute nel codice di diritto canonico, dal canone 794 sino all’813 ci troviamo di fronte a dictat espliciti come:

“a titolo speciale il dovere e il diritto di educare spetta alla chiesa”.

E ancora: …è fatta chiara richiesta affinché i fedeli pretendano leggi che garantiscano ai giovani la loro educazione religiosa e morale nelle scuole.

Si potrebbe andare ancora avanti con altre citazioni che evidenziano come la Chiesa in poche, ma scandite parole in molteplici e concreti atti, si arroga il diritto di intervenire nell’istruzione statale attraverso contenuti e metodi.

Pare che il buon Cavour, col suo libera chiesa in libero stato, sia passato inutilmente.

Per cui niente di nuovo, rispetto al Medio Evo, ed eccezion fatta per un periodo relativamente felice, niente di nuovo all’ombra del Cupolone.

Di quale scuola pubblica e laica dunque potremmo parlare?

Quale laboratorio del dialogo se la scena è occupata da un monologo?

Quali le pluralità che si confrontano sulla base di un insegnamento unico?

A quale pensiero critico possiamo formare i nostri giovani se per costruire non hanno che una parte degli strumenti?

Credo opportuno non dare soluzioni, e non fare proposte, non perché non ci siano, più semplicemente perché sarebbe sin troppo facile elencarle poiché sono già state tutte sviscerate e sostengono la finalità di un educazione alla civile convivenza, all’etica sociale, può essere lo studio della Costituzione, piuttosto che la storia delle religioni.

Forse un novello Socrate che con grande umiltà potesse testimoniare col suo percorso umano e intellettuale il difficile cammino che conduce al Libero Pensiero e talvolta al pensiero originale riberrebbe con rinnovata convinzione la cicuta pur di tenere alta la bandiera della laicità.

Se sarà poi necessario sacrificare un galletto ad Esculapio, ci troveremo, probabilmente in sintonia con i fautori, benché agnostici, del riconoscimento alla tolleranza.

In ultima analisi e per concludere questa forse pretenziosa “minima moralia” sul necessario ritorno ad un impianto laico nella pubblica istruzione, vorrei dire che se veramente la scuola si configurasse quale luogo di scambio, come un ambito relazionale specifico dove si possono affrontare tematiche importanti, dove cercare risposte a domande derivanti da comuni perplessità esistenziali, dove un gruppo di pari deve avere l’opportunità di acquisire conoscenze, abilità e competenze in un contesto spazio temporale determinato e determinante, dove infine si possano generare agevolmente momenti in cui l’educazione alla civile convivenza, tanto da assumerla a disciplina, allora la riflessione sul carattere laico della scuola di Stato non avrebbe motivo d’essere.

Se così non è, allora continueremo a parlare e a difendere il diritto dovere di un popolo e di uno stato sovrano alla propria libertà di scegliere un’istruzione scevra dai fumi pregnanti del dogmatismo.

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