Armonistica – parte 4

Scienza del SuonoL’armonistica applicata

La convinzione dell’esistenza di una stretta complementarità fra le leggi cosmiche e quelle musicali, che si esprime nel modo più significativo nella predisposizione fisica e psichica del nostro udito, ha portato tutti i popoli che hanno nutrito questa convinzione, ed in particolare i greci, a trasferire le leggi armonistiche naturali ad ambiti di esclusiva pertinenza umana. Quest’opera di trasferimento può essere definita a pieno titolo “armonistica applicata” ed ha coinvolto principalmente la sfera delle arti.

Armonistica – parte 4

di Roberto Fondi

saggio tratto dal sito www.estovest.net previa autorizzazione dell’autore alla pubblicazione

Sommario: Introduzione – L’antica scuola pitagorica e le esperienze con il monocordo – Risultati delle ricerche moderne sulla fisiologia dell’udito – Johannes Kepler e l’armonistica dell’universo – Albert von Thimus e la riscoperta del “lambdoma” neopitagorico – Hans Kayser e l’armonistica dei regni naturali – L’armonistica applicata – Analogie tra il lambdoma dei pitagorici, l’antico sistema oracolare cinese e il codice ereditario dei sistemi viventi – Implicazioni dell’armonistica sulla visione del mondo

L’armonistica applicata

La convinzione dell’esistenza di una stretta complementarità fra le leggi cosmiche e quelle musicali, che si esprime nel modo più significativo nella predisposizione fisica e psichica del nostro udito, ha portato tutti i popoli che hanno nutrito questa convinzione, ed in particolare i greci, a trasferire le leggi armonistiche naturali ad ambiti di esclusiva pertinenza umana. Quest’opera di trasferimento può essere definita a pieno titolo “armonistica applicata” ed ha coinvolto principalmente la sfera delle arti.

Ovviamente, più di ogni altra arte ne ha tratto profitto la musica : tant’è che risulta fin troppo facile far risalire direttamente alle antiche esperienze pitagoriche la decisione di assumere i rapporti proporzionali tra gli accordi e gli intervalli musicali quali basi fondamentali di questa disciplina.

Tra il 1911 e il 1920 il compositore viennese Arnold Schönberg (che fra l’altro fu uno dei maestri di Kayser) credette che la capacità tutta particolare della musica di suscitare emozioni risiedesse in niente più che in un fatto di abitudine o di condizionamento; per cui decise di continuare a comporre non più in base a criteri che puntassero a produrre effetti gradevoli all’orecchio, e perciò gravitanti attorno ai classici accordi armonici, bensì trattando le 12 note della scala cromatica come se avessero tutte la medesima importanza. Egli però si sbagliava, perché la musica non è arbitrarietà. Qualsiasi pitagorico gli avrebbe detto che la sua teoria si basava su un ragionamento errato, sull’incapacità di capire che proprio una ragione matematica nascosta spiega perché solo determinate sovrapposizioni di suoni, e non qualsiasi sovrapposizione arbitrariamente scelta, risultino “in sintonia” con l’anima di tutti gli uomini. È perciò significativo che, a circa un secolo di distanza, le opere di Schönberg e quelle della sua scuola continuino a sembrare strane e dissonanti, malgrado esprimano con indubbia efficacia le lacerazioni, le nevrosi, le tensioni e le inquietudini del nostro tempo. Ancora oggi la presenza di questo tipo di musica nel programma di un concerto è sufficiente per garantire una riduzione delle vendite dei biglietti. “L’osservatore rimane stupito dall’abisso che continua a regnare fra la cosiddetta arte moderna e il pubblico”, scrive Kurt Pahlen. “La voce di popolo è voce di Dio? Ha forse ragione Hans Sachs lasciando giudice il popolo almeno una volta all’anno, perché i custodi dell’arte non si perdano nelle astrazioni? Il pubblico contemporaneo ha emesso un giudizio molto chiaro contro l’arte moderna. Fiero del XX secolo, esso si sente però irresistibilmente attratto dal romanticismo sognante, dal limpido classicismo, dall’entusiasmo rinascimentale, dal misticismo gotico. In arte gli uomini non vogliono comprendere, vogliono sentire. E soprattutto la musica, la più sensuale delle arti, può cercare le proprie radici ovunque, ma non certo là dove il nostro secolo tenta di farla allignare: nella ragion pura. I repertori dei nostri teatri e dei nostri concerti comprendono, per il novanta per cento, musica del passato; assetate di arte come mai prima d’ora, le masse si rifugiano nel passato perché il presente non le soddisfa. E si rifugiano nel cinematografo, che dà loro ciò che l’arte moderna nega: l’illusione.” [43].

A questo proposito, del resto, non è priva di significato la traiettoria compiuta dal tedesco Paul Hindemith, contemporaneo del creatore della musica atonale, o pantonale, o dodecafonica. Vero e proprio enfant terrible tra i musicisti del suo tempo, Hindemith si fece conoscere ed apprezzare per le sue composizioni ribollenti, inquiete, piene di fantasia, iconoclaste ed aperte ad ogni novità: composizioni che, in netto contrasto sia con quelle tardo-romantiche che con quelle del suo contemporaneo Stravinsky, corrispondevano ad una sorta di neoclassicismo personalissimo, denso e sanguigno, “motoristico”, spesso atonale, con un contrappunto caratteristicamente vigoroso ed intricato ma sempre plastico ed espressivo. Poco dopo il 1930, comunque, Hindemith (il quale ebbe una lunga relazione epistolare con Kayser e manifestò addirittura l’intenzione fondare con lui una scuola di musica) ebbe un ripensamento radicale di tutta la sua posizione di musicista, che lo portò ad opporsi polemicamente alla dodecafonia. Da allora, Hindemith scriverà soltanto opere pacate, liricamente distese e solidamente appoggiate ad una severa disciplina tonale, basata sul diatonismo ed esposta nel 1937-39 nell’ampia opera teorica Unterweisung im Tonsatz (“Introduzione alla composizione tonale”).

Il fatto che nell’ultimo romanzo di Hermann Hesse, Das Glasperlenspiel (“Il gioco delle perle di vetro”), vi sia notevole ricchezza di influenze armonicali [44], può servire da spunto efficace per comprendere come le leggi dell’armonistica siano suscettibili di essere trasferite anche all’arte letteraria e, più in particolare, alla poesia . È infatti ben noto come esistano vari tipi di tecnica metrica per la composizione di versi, in ragione della natura di ciascuna lingua e delle convenzioni estetiche seguite. Esiste infatti una metrica quantitativa , essenzialmente rivolta alla durata dei suoni ed alla cura dell’alternanza delle sillabe lunghe e brevi, ed una metrica ritmica per la quale l’elemento basilare cade sull’accento, sul numero e sull’alternanza delle sillabe toniche ed atone.

Nella metrica classica, con la lirica greca in primo luogo, era fondamentale il concetto di quantità, cioè di durata di un suono vocalico o consonantico, di un dittongo o di una sillaba. Venivano pertanto considerate brevi ( ) le sillabe aperte con vocale breve e lunghe ( ) tutte le altre. Per ottenere una loro alternanza regolare, cioè ritmica, le sillabe venivano poi riunite in gruppi chiamati piedi o metri, nei quali era percepibile un movimento di ascesa, o arsi, che cadeva sulla sillaba lunga ed uno di riposo, o tesi, che cadeva sulla sillaba breve. L’inizio di ogni nuova arsi era segnato da un colpo di mano o di piede. Assunta come unità di tempo la durata di una sillaba breve, la sillaba lunga veniva ad avere durata doppia, per cui si otteneva l’equivalenza e quindi la possibilità di sostituzione di due brevi con una lunga e viceversa. I tipi fondamentali di piedi erano il giambo ( ), il trocheo ( ), l’ anapesto ( ) e il dattilo ( ). Applicando la norma dell’equivalenza di una sillaba lunga con due brevi, dagli schemi precedenti se ne potevano ricavare altri come il tribraco ( ) e lo spondeo ( ): metri che, formati unicamente da sillabe lunghe o da sillabe brevi, non avevano un ritmo ben determinato. Pur non allontanandosi mai dal suo ambito squisitamente musicale, dunque, la metrica greca era tutt’altro che rigida, ed i latini vi attinsero gradualmente fino a farla loro, con quella originalità legata ai loro maggiori poeti. D’altra parte, dall’antichità ad oggi, le proporzioni ed i ritmi musicali sono stati impiegati nella poesia in svariati modi. È stato detto, ad esempio, che nelle Laudi di Gabriele d’Annunzio la purezza e la musicalità dei versi riescono perfino a far dimenticare le singole parole, tutto traducendosi in suoni ed in concerti di sensazioni che non hanno bisogno di comunicare alcun messaggio particolare in quanto non si rivolgono ad interlocutori: è soltanto il poeta a parlare con se stesso, inventando nomi e memorie, evocando luoghi e tempi in una favola sinfonica che in realtà non ha né nomi né memorie né tempi né luoghi.

Le proporzioni sono state utilizzate in modo particolarmente esteso ed approfondito nelle arti figurative, con in primo piano l’architettura. Già nel De architectura di Vitruvio Pollione, opera in 10 libri scritta durante il I secolo a.C., si afferma che i greci costruivano in base a leggi musicali. Del resto, è stato lo stesso Kayser, con il suo studio armonistico dei templi di Paestum, a confermarci che le misure di questi ultimi potevano essere interpretate come proporzioni di intervalli musicali e quindi convertite in note da trascrivere sul pentagramma; e poiché Paestum è una località non molto lontana da Crotone, dove Pitagora svolse gran parte della sua attività, non è gratuito ipotizzare che proprio là le leggi armonicali venissero applicate nel modo più puro.

Nel Medioevo l’intera architettura gotica venne basata sul rispetto delle proporzioni corrispondenti agli accordi musicali [45]. Nella cattedrale di Chartres, ad esempio, tali proporzioni rifletterebbero addirittura la gamma musicale basata sulla nota Re del primo modo gregoriano [46]. D’altra parte, i canoni costruttivi che allora venivano impiegati – ad uno dei quali, dovuto a Villard de Honnecourts, Kayser dedicò uno studio speciale – ponevano in relazione quegli stessi accordi con le diverse parti del corpo umano.

Fig. 7 – Geometrie di ispirazione vitruviana, analogicamente associate alle proporzioni armoniche del corpo umano: a) secondo Leonardo; b) secondo Agrippa; c) secondo Fludd; d) secondo Villard de Honnecurts, rielaborato da Kayser nel suo Lehrbuch der Harmonik.

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Nel Rinascimento, poi, gli scritti di Vitruvio produssero nell’architettura una vera e propria rivitalizzazione dell’armonistica applicata; tant’è che tutti i grandi teorici ed architetti che crearono la nuova età artistica – da Leon Battista Alberti a Francesco di Giorgio Martini, da Luca Pacioli ad Andrea Palladio – riconobbero appunto in Vitruvio il loro principale maestro ed ispiratore. Così il De Divina Proportione di Pacioli discusse appunto in termini vitruviani le proporzioni di origine divina, argomento centrale del pensiero rinascimentale [47].

La geometria vitruviana del cerchio e del quadrato, analogicamente associati alle misure proporzionali del corpo umano (Fig. 7), fu ben nota a pittori come Piero della Francesca, Albrecht Dürer e Leonardo da Vinci [48], e divenne il principio-guida soprattutto per la costruzione delle chiese a pianta rotonda quali il tempietto romano di S. Pietro in Montorio di Donato Bramante. Enrico Cornelio Agrippa adattò a tale geometria perfino i segni astrologici, ponendo così l’anima e gli effetti della musica in relazione armonica con l’intero universo. Questo tipo di matematica simbolica traspare anche dall’opera di Juan Herrera, l’architetto che disegnò il palazzo dell’Escorial per il re Filippo II di Spagna e che con quest’ultimo condivise un profondo interesse per le opere di Ermete Trismegisto e di Raimondo Lullo.

Il dr. John Dee, il famoso mago elisabettiano che per primo introdusse e fece conoscere in Inghilterra le idee di Vitruvio e che nella sua biblioteca aveva il libro di Pacioli, curò una nuova edizione dell’opera di Euclide, aggiungendovi una lunga prefazione che illustrava il concetto rinascimentale di architetto, con lunghe citazioni da Vitruvio e dall’Alberti. La prefazione iniziava con una discussione generale a carattere pitagorico-platonico sul numero, continuando con una elencazione delle scienze – l’aritmetica, l’algebra e la geometria – aventi a che fare con i numeri. Secondo Dee, discipline che utilizzavano argomenti vitruviani e che perciò, in un certo senso, potevano essere considerate come ancelle dell’architettura, erano il calcolo, la musica, la misura di terreni, la pittura e il disegno proporzionali e prospettici, l’arte militare, la macchinistica mobile, la misura del tempo, la cosmografia, la geografia e l’astrologia. Dee trattava anche della progettazione dei templi, nei quali, secondo quanto aveva scritto Vitruvio, dovevano essere riprodotte le simmetria e le proporzioni fra le parti riscontrabili nel corpo umano. E ancora nel XVII secolo il dr. Robert Fludd [49], dell’Università di Oxford, e Sir Christopher Wren, il costruttore della cattedrale londinese di San Paolo, continuavano a mantenersi fedeli ai principii del grande architetto romano dell’età augustea (Fig. 8).

Fig. 8 – Le proporzioni dell’universo, armonicamente riferite al monocordo nell’opera di Fludd Utriusque Cosmi, majoris scilicet minoris, metaphysica, physica et technica historia.

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In generale ogni sincera e non banale forma di classicismo, per il solo fatto di proporre un “ritorno allo spirito antico”, risulta potenzialmente suscettibile di riflettersi in espressioni armonicali. In ogni caso, non ci sentiamo di escludere che anche attualmente, magari sulla scia di impulsi provenienti dalla cosiddetta “New Age”, non esistano un po’ dovunque architetti che, in modo pienamente cosciente, progettano e costruiscono secondo proporzioni corrispondenti ad accordi musicali. In Svizzera, ad esempio, le opere di Andrè Studer, nella cui casa Kayser teneva lezioni per giovani architetti, sono divenute particolarmente popolari grazie anche ad un documentario televisivo che all’inizio degli anni ‘80 venne mandato in onda in tutti i Paesi di lingua tedesca.

Uscendo all’ambito delle arti e passando a quello delle scienze, sono indubbi i frutti portati dall’armonistica applicata alla matematica. Poiché la caratteristica di fondo dell’armonistica è la corrispondenza tra i principi matematico-geometrici e quelli acustici, non desta alcuna meraviglia scoprire che, ad esempio, numerose sezioni coniche sono facilmente convertibili in suoni. Anche la sezione aurea, come già si è visto accennando alla disposizione fogliare delle piante in successione di Fibonacci, può essere tradotta in forma armonicale. Inoltre, come non ricordare il ben noto “teorema di Pitagora”, la cui rispondenza armonicale diventa addirittura sbalorditiva, quando si ricordi che la sua rappresentazione più semplice – costituita, com’è noto, da un triangolo di lati 5, 4 e 3 – non fa che esprimere i suoni della triade maggiore musicale: ossia la quinta, la quarta e la terza?

Ma le basi armonicali si dimostrano suscettibili di svolgere un ruolo notevole anche nella medicina , e in particolare nella musicoterapia, che negli ultimi decenni ha conosciuto un successo e una diffusione crescenti. “Davanti a ciò che esiste”, scrive Alfred Tomatis, uno dei maggiori studiosi del suono dal punto di vista medico, “siamo come in presenza di una ‘sinfonia sonica’, un singolare insieme musicale, diverso da ciò che siamo abituati a sentire, orchestrato diversamente. E la diversità delle sue composizioni è tanto più grande in quanto la creazione non suona solo sulle undici ottave percepite dall’essere umano, ma su migliaia di ottave complementari (…) Ogni struttura dunque è una costruzione sonica, una sinfonia i cui canoni hanno composto l’insieme più armonioso che sia mai stato realizzato. Vale a dire che dall’uomo traspira una musica che corrisponde alla moltitudine delle vibrazioni interne di cui egli è la risultante. La musica è la più profonda delle sue manifestazioni corporee. È così insita in lui che non ne è cosciente. Ed è qui che comincia il dramma: quando, dimentico di questo canto melodioso che lo anima e che dovrebbe costituire la sua ragione d’essere, l’uomo è in disaccordo con se stesso, cioè in una postura sbagliata, in uno stato di malattia. Perde i ritmi che gli sono propri e vive in controtempo rispetto alle proprie regolazioni di base, quelle, ad esempio, che governano il sistema cardiovascolare e quello respiratorio. Per musicoterapia intendiamo la messa in atto di una riattivazione mirante a ristabilire l’armonia originaria” [50]. Le tecniche di Tomatis, adottate in circa 250 Centri sparsi in tutto il mondo, consistono nello stimolare opportunamente il paziente ad “accettare di ascoltare” e, successivamente, nel somministrargli i suoni e le musiche più idonee per la cura dei propri squilibri organici. Ed è oltremodo interessante, a questo proposito, ascoltare quanto ci viene detto sugli effetti prodotti dalla musica di Mozart. “Non posso negare”, scrive Tomatis, “di essere affascinato dall’opera di Mozart, ma sono anche sensibile a molte altre espressioni musicali. Tuttavia è Mozart che alla fine si è imposto come l’unico e solo compositore dei nostri approcci terapeutici. Deponevano a suo favore numerose risposte neurofisiologiche raccolte nel corso di molti decenni. I risultati ottenuti partendo dalla sua musica sono positivi e costanti, e le risposte identiche, quali che siano le etnie considerate. Quest’ultimo aspetto è uno dei più notevoli. Poiché nessun altro compositore mi aveva assicurato risposte paragonabili, sono giunto a considerare Mozart ‘unico’ fra i più grandi. È come se fosse più di un musicista. È la musica stessa, l’incarnazione dell’armonia. In origine si trattava indubbiamente di un dono innato, ma egli ha saputo organizzarlo e sfruttarlo per la maggior gloria degli uomini – ed è questo il ‘miracolo mozartiano’” [51].

Come si può vedere, quindi, l’armonistica applicata rappresenta un vastissimo campo di ricerche, che però rimane a tutt’oggi ben lontano dall’essere stato adeguatamente esplorato. In pratica, siamo ancora di fronte ad una città della quale sono state gettate soltanto le planimetrie ed un certo numero di fondamenta, sebbene consolidate da una notevole quantità di esempi. Spetta perciò unicamente agli studiosi delle più svariate discipline inoltrarsi in questo campo per cominciare ad innalzarvi nuove ed affascinanti costruzioni.

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43 Kurt Pahlen, Musikgeschichte der Welt (tr. it. di Giuseppe Bianchetti: Storia della musica , Martello, Milano 1971, pp. 463-464). (torna al testo)

44 Si veda, a questo proposito, l’esauriente studio di Maria Franca Frola, Hermann Hesse fra armonica e teosofia , Editrice Tipografia Moderna, Nizza Monferrato (Asti) 1990. (torna al testo)

45 Jean Gimpel, Les batisseurs de cathedrales , Editions de Seuil, Paris 1961 (tr. it. di Giulia Veronesi: I costruttori di cattedrali , Mondadori, Milano 1961). Si vedano soprattutto, di Marius Schneider, il saggio tradotto da Augusto Menduni, Pietre che cantano. Studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico (Archè, Milano 1976) e El origen musical de los animales-símbolos en la mitología y la escultura antigua (tr. it. di Gaetano Chiappini: Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986). (torna al testo)

46 Cfr.: Louis Charpentier, Les mystères de la cathédrale de Chartres, Laffont, Paris 1966 (tr. it. di Adriana Raspino: I misteri della cattedrale di Chartres, Arcana Editrice, Torino 1972); John James, Chartres. The Masons who built a Legend, Routledge & Kegan, London 1982. (torna al testo)

47 Secondo Kayser, tuttavia, l’architettura di Vitruvio e quella romana in genere avrebbe rispettato unicamente il lato esteriore dei canoni greci, indirizzandosi essenzialmente ad obiettivi pratico-funzionali a tutto detrimento di quelli musicali. Quanto all’architettura del Rinascimento, essa avrebbe ulteriormente irrigidito, razionalizzandoli all’estremo, i canoni romani. Per Kayser, invece, la vera armonistica applicata all’architettura si troverebbe nel romanico e nel gotico medioevali. (torna al testo)

48 Di recente, il medico Renzo Mantero ha fatto notare come nell’affresco dell’ Ultima cena di Leonardo le posizioni relative delle mani di Gesù e degli apostoli corrispondano a trascrizioni su pentagramma di altrettante note di un canto gregoriano. Su ciò, vedi l’articolo di Giulia Gambino, Le mani della Cena, un canto sublime, in “ll Giornale” dell’8.6.1997. (torna al testo)

49 Di Fludd abbiamo riportato la famosa illustrazione del “monocordo cosmico” (fig. 7) solo perché ci sembrava particolarmente suggestiva; ma un parallelo tra le posizioni del medico rosacroce inglese e quelle di Kepler è senz’altro improponibile, in quanto Fludd, a differenza del secondo, era un pensatore fondamentalmente teorico, cioè scarsamente interessato alla ricerca sul piano empirico. Cfr. A.C. Crombie, Augustine to Galileo, Heinemann, London 1957 (tr. it. di Vittorio Di Giuro: Da S. Agostino a Galileo, Feltrinelli, Milano 1970). (torna al testo)

50 Alfred Tomatis, Ecouter l’univers, Laffont, Paris 1995 (tr. it. di Laura Merletti: Ascoltare l’universo. Dal Big Bang a Mozart , Baldini & Castoldi, Milano 1998, pp. 162-163). (torna al testo)

51 Alfred Tomatis, Op. cit., p. 168. (torna al testo)

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