Massoneria e realizzazione esoterica

Massoneria“Piccoli” e “Grandi Misteri” – Riattualizzare gli Archetipi – Il significato del G.A.D.U.

Uno degli errori che più frequentemente commette il neofita, o il semplice curioso delle dottrine tradizionali, è quello di dimenticare, o ignorare completamente, la condizione di “malattia” spirituale in cui si trova l’era moderna. Si tende ad obliterare, tout court, che cosa siano i cicli cosmici, e come inevitabilmente comportino delle limitazioni e delle restrizioni sulle possibilità individuali. Si decontestualizzano così le forme tradizionali superstiti, sopravvissute al destino della tecnoscienza moderna, pretendendo che esse siano ancora prodighe d’insegnamenti segreti e di brividi esoterici da regalare ai propri affiliati.

Massoneria e realizzazione esoterica

di Antonio D’Alonzo

“Piccoli” e “Grandi Misteri”

Uno degli errori che più frequentemente commette il neofita, o il semplice curioso delle dottrine tradizionali, è quello di dimenticare, o ignorare completamente, la condizione di “malattia” spirituale in cui si trova l’era moderna. Si tende ad obliterare, tout court, che cosa siano i cicli cosmici, e come inevitabilmente comportino delle limitazioni e delle restrizioni sulle possibilità individuali. Si decontestualizzano così le forme tradizionali superstiti, sopravvissute al destino della tecnoscienza moderna, pretendendo che esse siano ancora prodighe d’insegnamenti segreti e di brividi esoterici da regalare ai propri affiliati.

L’errore alternativo a questo stesso atteggiamento, si presenta come un rifiuto della forma tradizionale “regolare”, che induce a cercare affiliazioni spirituali in conventicole che di esoterico non hanno assolutamente niente. Oltre agli indubbi pericoli di plagio e di manipolazione psichica e fisica, chi cade nella rete di questi nuovi movimenti magici o del “potenziale umano”, deve sapere che sul piano spirituale non otterrà alcunché.

Sarebbe preferibile allora limitarsi a professare la propria forma exoterica, vale a dire la religione di nascita, piuttosto che cadere nelle braccia di chi fa dello pseudo-esoterismo. Del resto nell’iniziazione non vi sono autodidatti, perché per diventare iniziati, bisogna ricevere da altri, ciò che l’individualità profana non può possedere, ossia la trasmissione di un’influenza spirituale. Ma perché vi possa essere la possibilità di farsi ricettacolo della trasmissione spirituale, deve esserci a sua volta un membro dell’organizzazione iniziatica, regolarmente autorizzato a trasmettere il rito d’iniziazione. Ma è palese che l’influenza spirituale risiede nel rito e non nell’officiante, che è solo un anello della catena iniziatica, più o meno cosciente o preparato. Sono cose che dovrebbero ormai essere chiare a tutti quelli che s’interessano al mondo della “Tradizione”: Guénon le ha ripetute ad iosa. Ma evidentemente continuano ancora ad essere oscure alla maggior parte dei critici moderni delle forme tradizionali occidentali. O meglio, dell’unica forma rimasta superstite nell’Occidente contemporaneo: la Massoneria.

Dal punto di vista esoterico-iniziatico, è il rito che trasmette l’influenza spirituale, non colui che officia, sia quest’ultimo cosciente o no, di quello che sta trasmettendo. È l’influsso non-umano che si serve come di un medium, di colui che ha le qualificazioni per trasmettere l’iniziazione. Chi officia un rito tradizionale è solo un trasmettitore, che come ricorda Guénon, non può non effondere l’influenza spirituale che si serve di lui come di un anello passivo. Nel caso contrario, la perfetta erudizione su di un rito basterebbe ad assicurarne la legittimità: è un paradosso evidente, perché se così fosse allora basterebbe un qualsiasi egittologo per iniziare dei profani, per esempio, al culto di Iside.

Colui che effettua un rito, purché regolarmente investito della sua funzione, può non capire nulla di quello che sta facendo, ed il rito sarà comunque legittimamente trasmesso. È necessario farsene una ragione: finché vi saranno dei riti ed il simbolismo tradizionale, la Massoneria Speculativa Moderna, continuerà ad essere un’Organizzazione Iniziatica. L’ultima dell’Occidente.

Perciò, l’iniziazione virtuale è il seme gettato nel terreno dell’individualità. Se questa feconderà in un albero, allora il lavoro interiore del neofita avrà realizzato un’iniziazione effettiva. Se così non avverrà, l’individualità si fermerà allo stato dell’iniziazione virtuale, pur mantenendo però, la possibilità di trasmettere lo stesso seme o germe ad altre individualità. Proprio perché fecondato dal seme iniziatico, l’iniziato virtuale, che non ha potuto o saputo realizzare i “Piccoli Misteri”, può trasmettere l’inseminazione o la germinazione ad un terzo.

Abbiamo visto che la trasmissione dell’influenza spirituale è assicurata dalla continuità ortodossa dei riti tradizionali, a prescindere dal valore e dalle capacità intellettuali dell’officiante, ma non dalle sue qualificazioni particolari ad eseguire i riti. Lo Spirito non sempre richiede autocoscienza, soprattutto a livelli elementari: si pensi ad esempio, a tutti quei visionari “produttori” di fenomeni, che non sanno spiegarne le dinamiche sottese all’apparire. Ciò nonostante, chi recalcitrerà ad effettuare il lavoro interiore successivo all’iniziazione virtuale, non potrà aspirare a nulla di più che a ricoprire un ruolo di mero trasmettitore dell’influenza spirituale, ad essere semplicemente l’anello inconsapevole di una catena.

La crescita iniziatica è nelle mani del singolo. L’influenza spirituale una volta ricevuta va vivificata, altrimenti lo stato sottile dell’iniziato rimane semplicemente un terreno arido e incolto, un terreno che non ha fruttificato. La responsabilità è allora individuale, la via è solitaria. Ovviamente come ricordavamo all’inizio, non si può ignorare quali siano le condizioni spirituali in cui versa l’era moderna, che limitano oltremodo gli aneliti individuali. Secondo la cosmologia indù, ci troviamo ancora nel Kali-yuga, nell’Era Oscura, dove si assiste ad una degenerazione collettiva di tutte le forme tradizionali (si pensi ad esempio, all’integralismo islamico). Oltretutto, per le tradizioni artigianali o di mestiere le possibilità sono in partenza assai limitate, perché rimangono circoscritte al conseguimento dei “Piccoli Misteri”. Anche se proprio nello Scozzesismo si dovrebbe presentare, alla fine del cammino di reintegrazione nello “Stato dell’Uomo Primordiale”, un “gradino” iniziatico che permetta di passare ai “Grandi Misteri”.

L’essere che attualmente è un uomo può, in certe condizioni, raggiungere fin da questa vita lo stato spirituale che diverse tradizioni designano come lo “stato primordiale” o lo “stato edenico”(“Piccoli Misteri”), poi elevarsi agli stati superiori dell’essere e infine ottenere ciò che si può chiamare indifferentemente la “Liberazione” o lo stato di “Identità Suprema” (“Grandi Misteri”). La prima delle condizioni necessarie perché ciò avvenga – ammesso che l’uomo abbia in lui stesso le qualificazioni richieste – è l’iniziazione, cioè la trasmissione, per mezzo di riti appropriati, di un’influenza spirituale [1].

La realizzazione dello stato spirituale inerente ai Piccoli Misteri, nell’esoterismo massonico è assicurato dall’archetipo del Costruttore raffigurato dal mito di Hiram. L o stato dei Piccoli Misteri è la reintegrazione archetipica con l’Uomo Universale; nella fattispecie una tradizione come quella muratoria, nata nel solco delle antiche Corporazioni di Mestiere, non può che essere la realizzazione nell’individuo dell’archetipo del Costruttore del Tempio Interiore. Trasformazione introspettiva, volta a superare i limiti strettamente individuali dell’iniziato, come fenomenologia della Lavorazione della Pietra Grezza; simbolismo alchemico del passaggio dall’Opera al Nero al Rubedo (passando attraverso la “fase Bianca”). Egoismo, ambizione sfrenata, concupiscenza, ecc, sono i limiti che l’iniziato deve superare per poter ambire alla realizzazione spirituale, non soltanto occidentale. Nella tradizione indù, Purusha (il Sé trascendente) è paragonato ad uno smeraldo grezzo o ad uno specchio impolverato. La polvere deve essere spazzata via per poter realizzare la reminiscenza, la reintegratio nell’essenza. Per poter scoprire il vero volto dietro le maschere sociali, la natura della Tigre assopita nel cucciolo che si credeva una Capra, ed invece era una Tigre. Anche nel Buddhismo Hinayana, in quello Mahayana, come nel Vajrayana, per realizzare la conoscenza della “Vacuità” (Sunyata) si deve prima oltrepassare la nuvola offuscante del mondo fenomenico [2].

In molte di queste tradizioni, c’è l’idea dunque del V.I.T.R.I.O.L., del Lavoro interiore per riscoprire il Sé. Credo che l’archetipo del Costruttore, simboleggiato dal mito di Hiram, rappresenti proprio questo: il ritorno dell’essere al nucleo più intimo della persona umana, la restitutio ad integrum.

Riattualizzare gli Archetipi

Secondo Jung, non può esserci vero oblio collettivo degli archetipi. Qualora, la polisemia dei significati mitici fosse espunta dalla memoria storica, gli archetipi continuerebbero, comunque, a produrre energia nell’Immaginario come significanti negativi o demoniaci. Nella Germania prenazista, gruppi di giovani, denominati Wandervögel, praticavano la vita nei boschi e il nudismo, esaltavano la danza, amavano la bellezza, rifiutavano la civiltà industriale, riattualizzando l’archetipo di Wotan, re degli dei del pantheon nordico. Wotan o Odino, sconfitto dalla cristianizzazione delle popolazioni germaniche, poteva essere riattualizzato nell’Immaginario soltanto assumendo una valenza negativa, esclusivamente nelle sue vesti di dio della guerra e non della saggezza. Ecco perché il nazionalsocialismo si riappropriò, mediante il wagnerismo, delle arcaiche strutture della tradizione nordica, utilizzando la macchina mitologica per la folle propaganda sulla razza e sulla sottomissione dei popoli non germanici.

Come ricordava Mircea Eliade, il mito, dunque l’archetipo, è trascendente rispetto alla storia, perché quest’ultima, aggiungendo significati ulteriori al simbolismo originario, non può annientarne del tutto la struttura primitiva. L’uomo moderno, consapevolmente o meno, prova un senso di espansione psicologica, quando, in qualunque momento della sua vita, incarna un archetipo: la “madre”, la “moglie”, il “padre”, il “giudice”, il “sapiente” che insegna, ecc. Alla radice del significato tradizionale del termine sanscrito varna, tradotto malamente con “casta”, troviamo proprio quest’idea: in ogni stadio dell’esistenza, all’individuo viene sempre chiesto di identificarsi con uno dei vari ruoli eterni che costituiscono le strutture ed il tessuto della società. I tratti della personalità permangono, ma sono sempre subordinati alle esigenze del ruolo. Siamo comunque destinati ad incarnare archetipi. Si tratta, dunque, di selezionare dei modelli di riferimento e scegliere – seppure a livello inconscio – se vogliamo incarnare i degenerati idealtipi della società telecratica – il “costantinismo” ed il “velinismo” – oppure, se vogliamo recitare ruoli più elevati, perlomeno sotto il profilo spirituale.

L’edificazione del Tempio Interiore – simboleggiata dalla reintegrazione nell’archetipo del Costruttore Hiram – conduce alla rivelazione che la verità non è qualcosa che si acquisisce esteriormente, ma qualcosa d’intrinseco all’individuo, consequenziale al modus operandi soggettivo. Come nel Buddhismo Mahayana, la verità nascosta si consegue esercitando la perfezione individuale. Nescienza e conoscenza sono aspetti intellettuali dei cambiamenti prodotti in noi dal nostro modo di vivere: si viene trasformati dalle proprie azioni, in meglio o in peggio.

Il Bodhisattva del Mahayana è quella figura straordinaria che rinuncia ad entrare nel Nirvana per aiutare tutti gli esseri a conseguire la buddhità. Il significato della costruzione del Tempio Interiore, rimanda allo stesso atteggiamento pratico che informa l’agire individuale. Non si tratta più di limitarsi a riscoprire un Sé nascosto sul fondo dell’essere, offuscato dall’illusione sottesa al mondo fenomenico, come una gemma sotterrata o uno specchio impolverato da lucidare (dove la gemma e lo specchio simboleggiano il Sé; la terra e la polvere, il velo dell’ignoranza fenomenica).

A differenza di quanto insegnato da diverse correnti esoteriche occidentali e da molte scuole speculative indiane (in particolare dal Giainismo, dallo Yoga, dal Sankhya, dall’Advaita Vedanta), il mondo – quantunque illusorio – non è asceticamente rifiutato o disprezzato: il Bodhisattva ed il Costruttore Interiore, agiscono in esso. Compiendo azioni virtuose ed evitando azioni improbe. Giungiamo così ad un altro caposaldo speculativo condiviso tanto dalle tradizioni mistiche ed esoteriche occidentali, quanto dalle dottrine indiane, tibetane e cinesi: la vera conoscenza non è il frutto di un’evoluzione, di una crescita spirituale o di un progresso, ma di un ricordo, di una reintegrazione di sé. Platonicamente, i principi sono celati nella nostra mente, occorre soltanto rimuovere l’oblio che offusca la pietra preziosa. Il Costruttore Interiore ed il Bodhisattva producono la reminiscenza impegnandosi nella sfera della praxis.

L’iniziato che s’identifica con Hiram, deve morire a se stesso, per poter rinascere come Maestro Costruttore. Troviamo in questo riconoscimento simbolico uno schema ricorrente nelle Religioni dei Misteri: il fedele, l’adepto, che partecipa alla sofferenza del dio e ne incarna la dimensione emozionale, sarà liberato dal dolore. Nei Misteri Eleusini, ed in quelli Dionisiaci, l’iniziato partecipa emotivamente al dolore del dio sofferente (nel caso dei Misteri Eleusini, la travagliata ricerca della figlia Kore, o Persefone, da parte di Demetra; nel caso di Dioniso, lo smembramento ad opera dei Titani), certo che il sentimento d’unione con il Nume, condurrà alla liberazione della sofferenza stessa, al momento della rinascita divina (quando Kore tornerà dall’Oltretomba durante l’equinozio primaverile, o quando Dioniso rinascerà).

Identificandosi con il dio morto o sofferente, l’iniziato partecipa al momento del dolore ed a quello della riscossa: la liberazione dagli affanni, addirittura la resurrezione stessa. Nel caso del mito di Hiram, il Massone, identificandosi con il Maestro ucciso, diventa a sua volta Maestro, assumendone le qualità spirituali: il Sapere, la Tolleranza, il Distacco e la Generosità [3]. Il culto dei Misteri conduce, dunque, sul piano esoterico-iniziatico all’identificazione tra l’adepto ed il dio o il personaggio mitico; mentre su quello propriamente religioso alla fondazione del ciclo delle stagioni e dell’agricoltura, perché un dio o un personaggio mitico che muore e rinasce, ricorda bene l’idea della vegetazione che rifiorisce, o fruttifica, a Primavera.

Il significato del G.A.D.U.

Nell’esoterismo massonico è essenziale la ricerca della “Parola Perduta”, ossia del vero nome del “Grande Architetto dell’Universo”. Si tratta di una tradizione di chiara derivazione cabalistica: nella Qabbalah, le frasi e le lettere del testo biblico costituiscono le scintille della sapienza divina. In particolare nell’insegnamento di Abulafia, mediante tecniche combinatorie (chokhmath ha- zerûph) delle lettere dei testi sacri ebraici, si inducono stati estatici di coscienza nell’iniziato, che può arrivare fino a contemplare il vero nome di Dio.

La “domanda”, ossia la “parola sostituita” è espressa in ebraico con la locuzione Mi ha-Boneh ed in arabo con Mâ al-Bannâ . La parola araba bannâ, può essere tradotta come “Artigiano”, ma anche come “Ordinatore”. Dunque, l’Architetto è al contempo artigiano e colui che ordina. L’Architetto è un artigiano-che-ordina una materia preesistente, dunque non un Creatore ex-nihilo, ma una sorta di Demiurgo platonico che plasma una matrice primordiale. Si deve innanzitutto distinguere tra l’archetipo del “Creatore” e dell’“Essere Supremo”. Entrambi – secondo le scienze storico-religiose – rientrano nella categoria degli “Esseri Extraumani”, ma vi sono delle differenze sostanziali. Secondo R. Pettazzoni, il “Creatore” crea, effettivamente, il cosmo; ma in seguito ad un evento provocato dalle creature (per esempio, la trasgressione delle norme), si ritira offeso e non interviene più. Al contrario, l’Essere Supremo è dotato d’onniscienza, ma non sempre crea dal nulla l’universo; solitamente, l’Essere Supremo si limita ad ordinare, a forgiare, ciò che già esiste. Mentre il Creatore è un “dio ozioso”, che si limita a creare senza più intervenire, l’Essere Supremo – infinitamente meno potente del primo – è continuamente attivo, invia punizioni meteoriche, ed è localizzato nel Cielo. L’Architetto dell’Universo, artigiano ed ordinatore, Demiurgo che non crea ex-nihilo, è più simile ad un Essere Supremo, che ad un vero e proprio Creatore.

Ma se il G.A.D.U. è un Demiurgo e non il Creatore biblico, varia anche la posizione dell’uomo nell’Universo. L’idea di “creazione”, infatti, è sempre stata di ostacolo al pensiero speculativo, tesa a circoscrivere, inevitabilmente, la Natura entro dei rapporti gerarchici, dove la creatura è sottomessa all’Ente Supremo. Se l’uomo è – in quanto creato – creaturalità, si produce un’originaria separazione e frattura ontologica dall’Ordine dell’Universo.

Dio pensato come Creatore, assume inequivocabilmente dei caratteri antropomorfici, al quale l’uomo, in quanto creatura, deve sottomettersi. Ricordiamo, ad esempio, che il termine Islam, in arabo significa appunto “sottomissione”. Non è un caso che in ambito islamico si sia spesso prodotta una netta frattura tra ortodossia e mistica: parole come quelle di Ibn Mansûr al-Hallāg, tese a esprimere l’estasi dell’unione spirituale con Dio, cozzano con l’idea dell’assoluta alterità del Creatore. Per lungo tempo, l’autorità musulmana considerò i sufi come dei bestemmiatori. Se Dio è il barthiano Totalmente Altro, l’Assoluta Trascendenza priva d’immanenza, nessuna Unitas Spiritus tra uomo e Dio è possibile, nessuna reminiscenza micromacrocosmica.

Soltanto prescindendo dall’idea creazionista si può teorizzare il radicamento spirituale in un Principio Primo, che è al contempo immanenza e trascendenza: immanenza della Necessità e trascendenza del Bene. Necessità come Amor Fati nella sofferenza e nella gioia, nella nascita e nella distruzione. Trascendenza del Bene, perché tutto quello che accade – per quanto devastante ed incomprensibile – risponde ad un Ordine Universale, ad un disegno onnicomprensivo. Per questo la mistica renano-fiamminga ha sempre cercato di alleggerire, in modo velato, il lascito Testamentario sulla Creazione:

Prego Dio che mi liberi da Dio, perché il mio essere essenziale è al di sopra di Dio, in quanto noi concepiamo Dio come origine delle creature [4] .

Non è un caso che Meister Eckhart, uno dei più grandi mistici in assoluto, preferisse richiamarsi ad un generico Gotheit (“Divinità”), «essenza divina considerata in se stessa, fuori da ogni relazione, sia che si tratti della relazione esterna che approda alla creazione, sia anche dalla relazione che approda alla Trinità» [5]. Rispetto all’archetipo del Creatore, il Demiurgo, l’Essere Supremo, è parte integrante del Cosmo (dal greco “Ordine”), sottomesso alla Legge Universale. Non più un Creatore che esige sottomissione e che si ritira sdegnato di fronte ai misfatti delle creature. Ma un Essere Supremo che, pur onnisciente, soggiace all’Ordine Cosmico, al Karma indiano, o all’Uroboros egizio, mitico serpente che si morde la coda, simbolo della rigenerazione perenne del Mondo. L’Ordine Cosmico non il Creatore è il vero Principio del Tutto: riconoscere questo, significa sentirsi parte integrante dell’Universo, armoniosamente integrati con il ciclo della Natura, aderendo “in maniera pura e totale alla bellezza”, come scriveva Simone Weil.

Concludiamo, cogliendo ancora un aspetto interessante nel simbolismo del Costruttore del Tempio: l’antropomorfismo cosmico. Il Tempio è l’immagine del Cosmo, ma anche del Corpo Umano. Il Dio antropomorfico dell’Antico Testamento, vecchio e con la barba bianca, nasconde un significato più esoterico: l’uomo immagine del Creatore è anche immagine del Cosmo. Il Cosmo è equiparabile ad un Gigante antropomorfico, quindi di conseguenza l’uomo è riflesso dell’Ordine Universale. A questo punto, chi comprende questo passaggio, entra nei Grandi Misteri. Quest’ultimo stadio deve realizzare la Liberazione (Moksha), l’Identità Suprema, ecc. Ma partendo dall’immagine dell’uomo come riflesso dell’Architetto dell’Universo, attraverso la reintegrazione nell’archetipo di Hiram, è più facile capire che non c’è distinzione tra molteplicità ed unità, tra il Tutto e l’Uno. L’iniziato si unisce al Principio e si sottrae al Samsara: ma per capirlo si è dovuto partire dalla prima reintegrazione con l’Uomo Universale, ossia da Hiram. Quest’ultimo richiama al lavoro interiore ed alla pietra grezza da smussare; ma non è un caso che anche il simbolismo del G.A.D.U. rinvii alla costruzione, all’edificazione del Mondo contingente. Lavorando su se stessi ci si trasforma. L’idea di un Architetto Universale, di un Demiurgo, non deve, dunque, diventare preponderante sul lavoro interiore, sulla sublimazione spirituale. Non si tratta di adorare fideisticamente un Ente Supremo, ma, in fondo, di diventare uomini migliori.

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Note

1. Jean Reyor, A la suite de René Guénon… sur la route des Maîtres Maçons , Editions Traditionnelles, Parigi 1989, p. 27. (torna al testo)

2. Anche se, a differenza di quanto è postulato nella tradizione brahmanica, indù e nel “Piccolo Veicolo”, nel Buddhismo Mahayana, Samsara e Nirvana, mondo fenomenico e trascendenza, non sono che due facce della stessa medaglia. Per il Traghettatore che ha attraversato il fiume, non esistono più le sponde, la barca, e nemmeno lo stesso corso d’acqua. (torna al testo)

3. Per contro gli Assassini di Hiram simboleggiano l’Ipocrisia, il Fanatismo, l’Ambizione, l’Invidia. (torna al testo)

4. Meister Eckhart, Sermoni Tedeschi. (torna al testo)

5. Louis Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Edizioni Paoline. (torna al testo)

Bibliografia Essenziale

R. Guénon, Considerazioni sulla Via Iniziatica, Luni Editrice.

R. Guénon, Studi sulla Massoneria ed il Compagnonaggio, Arktos, Oggero Editrice.

M. Introvigne, La Massoneria, Elle Di Ci.

P. Geay, Tradizione e Massoneria, Atanòr.

N. Mario Di Luca, La Massoneria, Atanòr.

S. Hutin, La Massoneria, Mondatori.

A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani.

A. G. Mackey, Encyclopaedia of Freemasonry, Lewis.

J. Boucher, La simbologia massonica, Atanòr.

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