Ars Muratoria, Ars Regia e Ars pontificia

MassoneriaTre chiavi dell’iniziazione massonica

Il filo di una tradizione che viene da lontano – Costruire “ponti immateriali” – La “Luce” procede da Oriente, un messaggio simbolico
Appendice – Considerazioni su spiritualità e mito religioso – Mosè, profeta “salvato dalle acque” e la storia di re Sargon suo precursore – Il Faraone Akhenaton, fondatore della religione monoteistica

Costruire «ponti immateriali» è stato fin dall’antichità il fondamento della scienza misterica, che nella iero-ispirazione trovava la sua massima espressione. Da qui, il termine di Jerophante, per indicare l’iniziatore che si faceva “ponte”, trasmettendo al postulante la “conoscenza” di cui egli si è fatto «Calice».
L’ispirazione sacra, prerogativa degli Jerophanti, è l’atto di ricevere idee provenienti dal piano “divino”. Una dimensione che Platone definì iperuranio (piano delle idee archetipe).

Ars Muratoria, Ars Regia e Ars pontificia

Tre chiavi dell’iniziazione massonica

di Athos A. Altomonte

Sommario Il filo di una tradizione che viene da lontanoCostruire “ponti immateriali”La “Luce” procede da Oriente, un messaggio simbolico

Appendice Considerazioni su spiritualità e mito religiosoMosè, profeta “salvato dalle acque” e la storia di re Sargon suo precursoreIl Faraone Akhenaton, fondatore della religione monoteistica

«… trasformandosi l’iniziato costruisce il collegamento tra il cielo e la terra …».

Il filo di una tradizione che viene da lontano

Costruire «ponti immateriali» è stato fin dall’antichità il fondamento della scienza misterica, che nella iero-ispirazione trovava la sua massima espressione. Da qui, il termine di Jerophante, per indicare l’iniziatore che si faceva “ponte”, trasmettendo al postulante la “conoscenza” di cui egli si è fatto «Calice».

L’ispirazione sacra, prerogativa degli Jerophanti, è l’atto di ricevere idee provenienti dal piano “divino”. Una dimensione che Platone definì iperuranio (piano delle idee archetipe). In seguito, la ieroispirazione divenne il fulcro della Gnosi. Sarebbe sbagliato, a questo punto, considerare l’atto ispirativo un “attributo esclusivo” di mistici e profeti. L’ispirazione è una caratteristica umana, rara ma diffusa, che ognuno, nel rispetto delle proprie caratteristiche può sviluppare, come hanno fatto i grandi pensatori, filosofi, artisti, scienziati ed inventori.

Ispirazione ed illuminazione sono aspetti contigui, e sono impressi anche nella memoria della Massoneria, magari ridotta alla lampadina che viene accesa in faccia all’iniziando, per simulare la sua “illuminazione”. Fatto sta, che per molti massoni l’idea di costruire ponti di “Luce” fa parte del folclore esoterico, così, non tentano nemmeno di verificare se in quel postulato, ci sia o no del vero.

Forse per curiosità, abbiamo resistito al pregiudizio, e come è accaduto con altri “folclori”, abbiamo tentato di ritrovare il filo logico anche di questo. Senza anticipare le conclusioni, possiamo però dire che a nostro avviso, costruire ponti immateriali si riflette in quella scienza sperimentale chiamata telepatia verticale.

Costruire “ponti immateriali”

I “ponti immateriali” sono collegamenti che attraversano la coscienza in ogni direzione. Ciò che li rende preziosi è che sono i mediatori del processo di trasmutazione che modifica la sostanza fisica del microcosmo Uomo, aiutandolo a reintegrasi nella dimensione di macrocosmo Uomo. Questo processo di trasmutazione, chiamato anche metamorfosi interiore, è il principio attivo attorno al quale ruota ogni insegnamento misterico. Un “segreto” impresso anche nella coscienza dormiente della Massoneria sotto forma di Ars muratoria, prima chiave della Massoneria, Ars regia, seconda chiave della Massoneria e Ars pontificia, terza chiave della Massoneria.

Per arrivare ai reali significati dell’Iniziazione massonica è indispensabile aprire le tre Arti magistrali, superando i precetti morali, per seguire il percorso simbolico che conduce all’idea sottile velata nell’Ars pontificia (vedi I due volti della Massoneria).

La Massoneria è un contenitore inerte di saggezze sopravvissute all’eclissi degli antichi Misteri. Le “perle di saggezza” che fanno capolino tra i catechismi rituali possono essere ravvivate dalla “luce” di chi sa come utilizzarle. Altrimenti restano rappresentazioni spente, mute e misteriose.

Di perle ne restano a sufficienza per ritrovare il bandolo degli “antichi misteri”, anche se nel loro rivestimento simbolico, pittorico e metaforico (vedi Uso dei linguaggi), restano impercettibili a chi non ne conosca il “linguaggio”. La loro inafferrabilità ha fatto nascere parecchi equivoci. Se da una parte la cripticità del linguaggio simbolico ha dato la stura alle ipotesi, proliferando “nell’epopea dei segreti”, dall’altra, ha generato lo scetticismo che ha ridicolizzato il senso misterico. E questo ha permesso a studiosi del calibro di J. Gottlieb Fichte di affermare pubblicamente che «… il maggior segreto dei Liberi muratori è che non ne hanno nessuno…» (Filosofia della massoneria. Un testo fondamentale sul pensiero massonico, Bastogi Editrice Italiana 1986).

In realtà il segreto esiste, nell’eclettismo della mente e nell’immisurabile estensione della coscienza umana. Ha ragione Guenon perciò, a scrivere che «il segreto iniziatico è un segreto che non può cessare di essere tale, dato che sussiste esclusivamente nell’inesprimibile, ed è quindi necessariamente anche incomunicabile».

Astraendosi dalla dimensione della mente animale, infatti, l’uomo raggiunge una condizione inesprimibile. Va anche aggiunto che se quella condizione è incomunicabile, il metodo per raggiungerla è sempre stato descritto, attraverso insegnamenti orali e scritti. E tanto ci basta per rassicurarci sul nostro percorso.

La “Luce” procede da Oriente, un messaggio simbolico

La cultura arcaica pre-vedica (orale) e poi vedica e braminica (scritta) è stata la culla di percezioni spirituali particolarmente raffinate, tanto che la loro primogenitura è stata riconosciuta nel motto «la Luce avanza da Oriente».

Tanta raffinatezza ha sviluppato metodi altrettanto sottili. Tra cui, creare un piano mentale intermedio (manas) da inframmezzare dimensioni diverse, come la coscienza inferiore dell’uomo (kama manas), la superiore (buddhi) e dell’anima (atmà), affinché, collegandosi, s’interrompesse l’isolamento che dimezza le facoltà dell’uomo.

Per ovviare a questa separazione, fu pensato un collegamento mentale che potesse unire dimensioni, altrimenti, separate dai sensi fisici. Comincia qui la storia dei costruttori di “ponti interiori”. La cultura braminica distingue due ponti, indipendenti. Il principale è il Sutratma (ponte d’oro, solare e mascolino) in cui dal piano più alto discende lo spirito divino. L’altro è l’ Antahkarana (ponte d’argento, lunare e femminino) attraverso cui la coscienza fisica dell’uomo materiale ascende verso il piano spirituale (in occidente, per tornare al la Casa del Padre).

È significativo come questo concetto abbia resistito millenni, trasmettendosi da un popolo all’altro, fino alle Scuole misteriche mediterranee, diventando il caposaldo della Gnosi; che non è arte della memoria ma sapere per contatto, ovvero, ieroispirazione.

Da un Commentario gnostico «…l’intelletto non è saggezza. La conoscenza diretta, si. L’intelletto è raziocinio. La saggezza decide, perché la scelta è già matura. L’intelletto è la soglia della saggezza, e quando è acuto penetra nella sfera della sintesi. La ragione e una mente specializzata sono gli angoli della casa futura. L’uomo che ha una mente siffatta si prepara un brillante avvenire, ma tornerà a ripetersi finché non avrà perso la rigidezza».

La Duplice via del Fuoco* è il “ponte” che dal piano Divino scende, immedesimandosi nel piano della più densa materia al fine di sacralizzarlo. Questo “matrimonio” è una idea antica, ripresa dalla mistica ebraica ed elaborata in quel grande schema ch’è l’Albero Sephirotico.

L’Albero Sephirotico, o Albero della Vita, è la metafora della duplice via che collega il macrocosmo (l’impercettibile piano Divino) al microcosmo (il piano sensibile dell’uomo). Trapassando le sue undici tappe, o prove (le 11 sephirot), la coscienza, perfezionandosi, può riportare l’uomo alla condizione originaria. Questa visione è un’altra elaborazione del culto solare. Mosè, l’egiziano “salvato dalle acque”, la trasfuse nella coscienza del popolo ebraico con la metafora di un arbusto che brucia di fuoco perpetuo.

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* «La Via del Fuoco secondo la Qabbàlàh»; «La Triplice Via del Fuoco (Vedanta, Alchimia, Qabbàlàh) – Raphael, Ed. Asram Vidya

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Appendice

Considerazioni su spiritualità e mito religioso

Ovunque l’immaginario ha prodotto figure potenti, sorgenti di quella magia di cui si nutrono le culture popolari. Difficilmente, però, quei personaggi escono indenni da osservazioni che non siano accondiscendenti. Ciò non toglie che ogni metafora detiene un valore intrinseco, che vale la pena scoprire. E spesso accade che un’indagine concreta, porti ad esiti più avvincenti dei significati favolosi.

Sul viaggio nelle Tre Arti, giganteggiano due figure, il profeta Mosè ed il Maestro Hiram. Di entrambi cercheremo i risvolti nascosti.

Cominceremo da Mosè. Una figura di primo piano di un Libro che, salvo eccezioni, è sulle Are dei Templi massonici. Per la Massoneria la Bibbia non è un arredo. Sulle sue pagine si aprono e si chiudono i Lavori delle sue Officine. Sulle sue pagine si stendono le mani dei massoni durante i giuramenti di ogni grado, officio e dignità. Sulle sue narrazioni si basano gran parte dei suoi simbolismi. E questo, in una certa misura rende doveroso affrontarne i contenuti.

I profeti ci riportano alla ieroispirazione anche se, in realtà i veri ispirati sono stati una esigua minoranza. Mentre gran parte di profeti e veggenti producevano prodigi per ingraziarsi i favori dei potenti, e chi non arrivava ai loro palazzi cercava notorietà tra le masse. Ma le masse sono animali volubili, che una volta possono adorare il proprio idolo, e la volta successiva possono mandarlo a morte.

Il punto però non sono gl’idoli delle folle, ma la qualità dei pochi, veri, messaggeri spirituali. La spiritualità andrebbe saputa distinguere dal sentimento religioso, che accompagna l’uomo da quando ha cominciato a sviluppare un primitivo linguaggio simbolico. Una panacea che consola nei momenti di dolore, utile per attenuare la paura della morte e per giustificare fenomeni altrimenti incomprensibili. Nati per influenzare il destino, o per mitigare il corso di fenomeni oscuri, i culti religiosi hanno regolato l’ordine sociale, influenzando le culture ed i costumi d’ogni nazione. Non hanno mai risolto nessun problema dell’uomo, ma in compenso hanno fatto grondare di sangue la sua storia.

Presto ci si accorse che esorcizzare la paura ed il dolore poteva diventare un potente strumento di potere. Ma affinché i culti corporei potessero costituirsi in ordine, servivano strutture e regole. Che però hanno sempre patito l’imperfezione dei propri artefici. Si cercò di nascondere l’imperfezione ergendo totem viventi, personaggi che riflettessero la Divinità. Ma le idee dell’uomo, nonché diverse, non hanno mai dato frutti troppo dissimili. Le dissomiglianze sono sempre state l’assillo dei capipopolo, a cui interessa dimostrare alle masse di essere assieme a loro, gli unici ed ineguagliabili interlocutori dell’unico Dio, scelti sopra ogni altro quali depositari dei suoi pensieri e campioni delle sue regole.

L’Uomo non è davvero il centro dell’universo, ma lo è certamente del proprio. Per cui ogni popolo, cultura ed epoca, ha trovato immagini carnali che giustificassero il proprio desiderio di centralità.

Accanto a chi rafforzava il proprio desiderio di primato, glorificando i potenti oppure esaltando le masse, ci sono uomini d’altro stampo, che si sono distinti per non aver mai coltivato il culto del potere, né mai cercato le simpatie delle masse da cui, anzi, si sono sempre discostati. I primi sono un po’ tutti frutto dei propri tempi. Gli altri invece, sono ricordati per la diversità di cui erano portatori.

Mosè, profeta “salvato dalle acque” e la storia di re Sargon suo precursore

L’unica cosa certa di Mosè è che della sua esistenza non vi è certezza. È indiscutibilmente una immagine forte della cultura occidentale, ma la veridicità della sua storia è alquanto discutibile.

Non è un mistero, ad esempio, che le Leggi che Mosè incise sulla pietra, durante i quaranta giorni in cui si ritirò sulla montagna, siano un estratto del più antico codice Hammurabi*.

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* Il Codice di Hammurabi è una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell’umanità. Venne stilato durante il regno del re babilonese Hammurabi (o Hammü-Rabi), nel 1792 al 1750 a.C.. Fu tradotto grazie al ritrovamento della Stele di Rosetta (1822 ad opera di Jean-François Champollion). Una pietra in granito di 114 x 72 cm che riporta un’iscrizione con tre differenti grafie: geroglifico, egiziano demotico e greco (dall’alto in basso). Poiché il greco era conosciuto, la stele offriva una chiave decisiva per poter procedere alla comprensione dei geroglifici.

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Per molti studiosi, “salvato dalle acque” non va letto in modo letterale. Come per altre figure, essere stato salvato dalle acque, è la metafora della salvezza che seguiva l’iniziazione di Misteri provenienti dall’epoca antidiluviana (la mitica Atlantide), ovverosia, i principi sapienziale scampati al diluvio universale (v. noachiti).

La lettera «M» è la sua iniziale, e viene da Meborach che in ebraico è il nome sacro di Dio e significa il Santo; Mbul in ebraico è il nome delle Acque del Diluvio.

Per molti cronachisti, Mosè era sacerdote di Osiride presso la città di Jeropoli, e sovrintendente degli edifici reali. Doveva la sua sapienza a Thermuthis, madre della principessa egiziana che lo aveva adottato e a Batria, moglie del Faraone, (madre del suo fratellastro – altro primogenito di schiatta reale che si preferiva a Mosè come capo dell’esercito – anch’essa iniziata, che lo fece ammettere ai “Misteri solari” cui solo un egizio poteva essere accettato, per diventare sacerdote di Osiride).

Secondo questa versione gli Ebrei devono a Thermuthis che il bizzoso profeta del collerico “Dio della Montagna” fosse «versato in tutta la sapienza degli Egiziani e potente in parole e in fatti» (Atti degli Apostoli,VII,22). Accanto alla figura di Mosè c’è Jethro, sacerdote del “Dio della Montagna” e suo iniziatore, che abitava nel deserto di Madia, dove il futuro profeta si rifugiò per aver ucciso un ufficiale della guardia reale. Molti hanno scritto che Jethro fosse suo “suocero”, perché sposò Sfora, una delle sue sette figlie, da cui nacque loro figlio Gherson. Ma la “figlia” di Jethro è l’allegoria della Zipporah (la “Splendente”), una delle sette Scienze trasmessgli da Reuel-Jethro, iniziatore midiano. Ed il “pozzo” su cui Mosè si sedette è il “Pozzo del Sapere”, rappresentato dal “serpente di bronzo” di cui egli si fregiava, che divenne poi il Caduceo di Mercurio e di Asclepio, figlio del dio solare Apollo.

Il racconto dell’Esodo (II): «E quando ella (la madre di Mosè) non poté più continuare a nasconderlo, fece per lui un’arca di giunchi; e la intonacò con limo e pece, e vi pose il bambino, e la mise nella giunca sulla riva del fiume», ricorda in modo straordinario la storia di un antesignano di Mosè; Sargon “salvato dalle acque”. Sargon era un re molto potente e la sua fama giunse in Egitto, così è probabile che la sua storia abbia ispirato l’evento riportato nell’Esodo.

Nelle tavolette assire di Kouyunjik è narrata la storia di Sargon I, monarca babilonese che regnò sulla città di Akkad nel 1600 a.C. (G. Smith Chaldean Account ).

Il nome di re Sargon significa il giusto, vero, o legittimo regnante. Ecco quanto riportano i frammenti, antecedenti l’epoca di Mosè.

«Sargon, il potente re, re di Akkad, sono io»

«Mia madre era una principessa, non ho conosciuto mio padre, un fratello di mio padre governava il paese»

«Nella città di Azupirana, che si trova sulle rive dell’Eufrate»

«Mia madre, la principessa, mi concepì; con difficoltà mi partorì»

«Mi mise in un’arca di giunchi, con bitume la sigillò»

«Mi spinse nel fiume, che non mi annegò»

«Il fiume mi portò da Akki, l’acquaiolo»

«Akki, l’acquaiolo, per tenerezza delle sue viscere, mi prese»

Il Faraone Akhenaton, fondatore della religione monoteistica

La storia di Mosè contiene altre analogie straordinarie, ed i più attenti possono raffrontare il suo intento politico con quello del Faraone Akhenaton, sposo di Nefertiti, e fondatore del Culto di Aton (Dio solare), che trasferì la sede della nuova religione a Tebe, così da liberarsi dello strapotere economico dei sacerdoti che dominavano la capitale del regno. Ma ci sono anche altre valutazioni da fare.

L’Esodo racconta della liberazione degli ebrei dopo 400 anni di permanenza in Egitto e 200 di schiavitù, e del girotondo succedutosi per 40 anni in territorio egiziano. Ebbene, in quel territorio non sono state mai trovate tracce d’insediamenti (le oasi dove trovare acqua sono in posizioni esatte) né tombe, o un qualunque reperto che provi il loro passaggio in quei luoghi. Insomma, possono essersi disperse intere generazioni senza lasciare traccia?

«L’Esodo celebra il momento della nascita del popolo ebraico, ma gli archeologi non hanno mai trovato prove che confermassero la storia raccontata dalla Bibbia.

Il giornalista Michael Slackman ha intervistato il dott Zahi Hawass, massima autorità archeologica egiziana, se i reperti trovati a Qantara East (a nord del Sinai, due ore di macchina dal Cairo) potessero avallare il racconto della fuga biblica degli ebrei, che per 40 anni circumnavigarono quel tratto di deserto alla ricerca della Terra Promessa.

La storia dell’Esodo, in realtà è un mito”, ha risposto Hawass. “L’Egitto è uno dei principali magazzini della storia antica. Ma è anche un centro spirituale, dove per secoli gli uomini sono andati alla ricerca del significato della vita. Talvolta le due cose coincidono, e accade che le testimonianze archeologiche confermino la storia dei credenti. Spesso però, questo non succede, ma non è un mio problema se ciò disturba qualcuno. Io sono un archeologo, e il mio lavoro è dire la verità. Non è un mio problema, se le persone ne sono contrariate. Qualche volta noi archeologi dobbiamo dire che qualche cosa non è mai avvenuta, perché non ci sono prove a sostenerlo.

Per 10 anni gli archeologi hanno rimosso la terra, aiutati da operai che arrivano quotidianamente dalle città vicine, per dissotterrare pezzi di storia. Sono stati scoperti due scheletri umani, le ossa erano posizionate vicino a vasellame e scarabei egiziani. Ma non è stato trovato niente che provi la storia del Vecchio Testamento di Mosè, degli ebrei che fuggono dall’Egitto”.

Il dott. Mohamed Abdel-Maqsoud, responsabile degli scavi, è consapevole che questa conclusione potrebbe deludere qualcuno. “Un faraone affogò con un intero esercito” dice, riferendosi alla parte della storia che sostiene che Dio abbia separato le acque del mar Rosso, per permettere agli ebrei di fuggire, richiudendosi poi sull’esercito che li inseguiva “questo è un episodio negativo per gli egiziani, ma gli egiziani non hanno mai documentato questa crisi” (copyright The New York Times, 10 Aprile 2007).

Il prof. Albert Schweitzer (premio per la Pace 1951, Nobel per la Pace 1952; Ordine della Pace Pour le Mèrite 1954), rivedendo l’antico testo aramaico, scoprì che la traduzione precedente conteneva un errore piuttosto grossolano: i pesanti carri da combattimento degli inseguitori egiziani non erano affondati nel mare, bensì in un mare di canne.

Abbiamo già citato il Faraone Akhenaton, che con sua moglie, la regina Nefertiti, nel 1344 a.c. diede inizio alla più grande riforma religiosa della storia, abbandonando le poliformi divinità per fondare il culto monoteistico del Dio unico.

Sigmund Freud, padre della psicanalisi, si convinse che in realtà, Mosè e Akhenaton fossero la stessa persona.

Strabone racconta di Mosè come di un faraone che i sacerdoti egizi descrivono con le fattezze di Akhenaton. Solo nel 1990, con l’episodio di Amarna, Ahmed Osman portò in Europa la tesi che Akhenaton e Mosè fossero la stessa persona.

La figura che diede al popolo ebraico le leggi che servirono a fondare lo stato d’Israele, visse tra il 1400 e il 1200 a.C. e la sua storia fu tenuta segreta, perché, secondo la tradizione giudaica, la sua vera identità non può essere rivelata né al popolo né al genere umano. Di fatto, sia Akhenaton che Mosè, svanirono senza lasciare traccia. Akhenaton scomparve dai ricordi degli egiziani lasciando il suo sarcofago vuoto; Mosè lascia il suo popolo facendo in modo che non possa usare la sua memoria né il suo corpo.

Manetone, storico egiziano, racconta che il capo dei ministri di Akhenaton si chiamava Aper-El, ossia “servitore del Dio El”, in seguito uno dei nomi del Dio di Israele.

Mosè è un appellativo egizio che significa “figlio”, oppure “nato” che in ebraico si scrive Moshe, e in greco Mosis. Gli egizi usavano porre davanti al nome quello di un Dio. Ad esempio, Thotmose significa nato dal Dio Tot, ovvero, figlio di Thot. Così come Ramoses significa figlio di Ra e così via.

Quando Akhenaton scomparve gli scribi tolsero il nome del Dio dal suo nome lasciando Mosè, che significa figlio di

Secondo Manetone, Akhenaton era figlio della tribù di Levi. Educato a Heliopoli (città del sole) sotto il regno di Amenotep, utilizzò la scienza e la filosofia appresa dalla Fratellanza dell’alto prelato per essere riconosciuto dagli Ebrei come loro capo. Sono stati i sacerdoti egizi a riferire allo storico Strabone che Mosè era un sacerdote di Osiride incaricato di amministrare una zona a sud del paese. Venuto in contrasto con il culto ufficiale, Akhenaton-Mosè lasciò la Congregazione, seguito da un gruppo di uomini convinti che il simbolismo religioso confondeva il popolo conducendolo in errore. Il Dio era unico, e doveva essere venerato in un santuario eretto in un territorio consacrato, senza immagini, segni o figure che lo rappresentassero. Molti lo seguirono alla ricerca della località sacra dove avrebbe eretto il Nuovo Tempio.

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Nel prossimo capitolo cominceremo a tracciare il simbolismo dell’Ars Muratoria in tutta la sua estensione.

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