In qualunque sistema mistico, lo studente non avrà un vero senso della verità fino a che non vivrà l’esperienza dell’Essere. Anche per la cabala ciò è molto importante. Se lo studente si limita alla sola speculazione attraverso la mente ragionatrice e razionale, non arriverà mai all’esperienza dell’Essere e non sperimenterà mai quella realtà.
L’esperienza dell’EssereIn qualunque sistema mistico, lo studente non avrà un vero senso della verità fino a che non vivrà l’esperienza dell’Essere. Anche per la cabala ciò è molto importante. Se lo studente si limita alla sola speculazione attraverso la mente ragionatrice e razionale, non arriverà mai all’esperienza dell’Essere e non sperimenterà mai quella realtà. Non gli viene richiesto né fede cieca né di credere in cose che non sperimenti. L’unica fede che bisognerebbe avere è quella di avviarsi verso la ricerca, cioè, fede per cercare, fede per continuare a studiare, ma non fede per credere in questo o quello. Lo possiamo notare anche nell’ubriachezza che produce l’uso della speculazione senza meditazione, ed ovviamente, delle illusioni che la propria mente può creare. Colui che riesce a sperimentare l’Essere si troverà in una situazione che gli altri non potranno comprendere. Da una parte si renderà conto che nella sua mente ragionatrice non ci sono né Dio né anima, né altre verità di questo tipo. Tuttavia, ricordando l’esperienza, giunge alla vera fede o fiducia che lo rende riverente e rispettoso di tutte le cose spirituali. Egli, si sorprenderà annullando idee di apparire agli altri come di non credere in niente, ma allo stesso tempo, con senso d’introspezione e con atteggiamento riverente vivrà saldo nel suo cuore e con fiducia nei poteri dell’anima. Quanto detto alla ragione può apparire una contraddizione, per chi non abbia avuto questa esperienza. Per il mistico, ogni livello di coscienza vive la propria realtà, e quella di un livello non ha niente a che vedere con quella di un altro livello. La realtà dell’Essere non può essere compresa dalla ragione. Lì non esistono i concetti che manifestiamo nella coscienza oggettiva e soggettiva. L’Essere sembra opporsi alla nostra realtà del tempo e dello spazio. Il nostro linguaggio, tanto utile nel livello dell’intelletto, non serve a niente in quell’elevato livello di coscienza. La coscienza duale, caratterizzante il piano inferiore e vissuta come “reale”, pare non esistere al di fuori di quel piano; è ciò che dal punto di vista della consapevolezza profonda fa definire quello come il piano dell’illusione. Ecco perché si dice nella cabala che le colonne di opposizione debbono essere unite per creare una terza forza. L’idea di tesi, antitesi e sintesi si deve creare nella coscienza. Le prime due possono apprezzarsi, vivificarsi in un livello inferiore. Ma la congiunzione degli opposti, si può solo realizzare in un livello di coscienza che corrisponde all’esperienza dell’Essere. Il Sepher Yetzirah dice con altre parole: sali sulle sephirot e scrutale! Solo elevando la coscienza si potranno vedere le cose così come sono. Molti cabalisti parlano del viaggio dalla terra al cielo. Alcuni intendono questo viaggio come lo studio dell’albero dal basso verso l’alto. È vasta la letteratura che spiega le sephirot come livelli di coscienza. Tante speculazioni e fin troppe pagine spiegano quello che ognuna di esse rappresenta; ognuno ne parla dal proprio punto d’osservazione. Pochi di questi autori si riferiscono all’esperienza dell’Essere. I più sono interessati a spiegare il significato dei simboli come una propria necessità psicologica, attraverso la quale ottenere la vera esperienza. Molti però non sanno che cosa sia l’esperienza dell’Essere. Potreste essere uno di loro, se vi dedicate solo alla speculazione cabalistica senza praticare la meditazione. La meditazione giornaliera, può fare di voi un mistico, cioè, uno che sperimenta la conoscenza. Il sapere corrisponde all’intelletto, mentre conoscere corrisponde all’esperienza. Si può sapere di una città senza esserci mai stati. Si possono avere dati sul numero di abitanti, la loro distribuzione, sapere che c’è un parco importante, le sue costruzioni, ubicazione, etc. Ma se non avete passeggiato per le sue strade, sentito il suo odore, parlato con la sua gente, se non abbiamo stancato i nostri piedi camminando per le sue strade, non conosciamo detta città. Di essa sappiamo molto, ma non la conosciamo. Con la metafisica succede la stessa cosa, si possono avere molti dati, sapere la spiegazione di molte cose, sapere che cosa rappresentano i simboli, avere letto tutti i libri ed assistere a corsi e conferenze, ma se non si pratica, se non si sperimenta, non si otterrà mai la conoscenza. Una definizione moderna del termine “mistica” indica “la conoscenza con l’esperienza”. Chi non ha mai realizzato un’esperienza mistica, difende il tema dicendo che ci sono molte forme di meditazione. Affermando ciò manifestano di aver solo usato l’intelletto. Un mistico sa perché conosce. Il sapere è in relazione con la nostra coscienza soggettiva, sono i dati che maneggiamo intellettualmente. Quando si sperimenta l’Essere, ci troviamo in un altro livello di coscienza nella quale l’idea che abbiamo dell’io circostanziale che crediamo essere, o come disse qualcuno, l’io della carta d’identità, sparisce, mentre percepiamo un’altro io senza tempo né distanza, né dualità. In tutti i livelli dell’io c’è coscienza, per questo motivo quando un mistico racconta l’esperienza di un’estasi, può farlo perché anche in quello stato egli è cosciente. La coscienza è come l’elettricità, può cambiare frequenza benché continui ad essere la stessa corrente. Anche la coscienza cambia scenario, ovvero il piano di focalizzazione, ma continua ad essere la stessa coscienza. È possibile vivere l’esperienza dell’Essere mediante la sacra astrazione, la meditazione, o attraverso una proiezione psichica o sdoppiamento della coscienza. Il problema sta nel comunicare un’esperienza mistica che si è avuti, poiché il linguaggio è costruito su parametri mentali di un piano distinto. “Quello che sta sopra è come quello che sta sotto”. Questo lo si può intendere come due livelli o parti separate. Per un mistico significa che quello che la nostra mente interpreta come sopra e sotto, è una sola cosa. Quando sperimentiamo l’Essere diciamo “sopra”, “supercoscienza”, “subcoscenza”, “profondo”, etc.; questi, però, sono termini che non hanno niente a che vedere con l’Essere. Ciò che si percepisce “Sopra” non si può raccontare con il linguaggio di “sotto”. Analogamente, quando sonnecchiamo e sogniamo, possiamo constatare che magari abbiamo dormito solo due minuti, ma raccontare il contenuto del sogno ci occupa circa quindici o venti minuti. Le spiegazioni contenute nella presente opera contengono anche degli errori o limitazioni proprie dovute dal livello di coscienza in cui ci esprimiamo. Con le nostre spiegazioni vogliamo solo aiutare a comprendere alcuni temi oscuri della cabala. Per questo motivo abbiamo incluso più di una volta l’orientamento verso la meditazione, perché in fin dei conti, ognuno per sé stesso, può raggiungere la vera esperienza. Ci sono cose in cui non è possibile fornire aiuto. Non possiamo spiegare cosa sentiamo annusando una rosa, o il sapore di una fragola o com’è il colore verde. Sono cose che bisogna sperimentare. Allo stesso modo non è possibile raccontare la realtà dei vari livelli di coscienza evoluta, la sua trasmissione non aiuta nessuno. Si può solo indicare la strada, dopo ognuno deve percorrerla. L’Essere è sempre esistito, esiste ed esisterà. Non è stato creato da qualcosa, non ha principio né fine. Esisteva già prima delle emanazioni, nell’Atziluth ed in tutti i piani seguenti che la nostra mente possa concepire. Egli è la causa di tutta la creazione, o detto altrimenti, tutto il creato sono i suoi effetti. Tutto quello che esiste, visibile ed invisibile, energia e materia, anima e corpo, sono le espressioni dell’Essere nei distinti piani. Il suo movimento e progresso espansivo sono la Saggezza Infinita o Ain Soph. La luce, è il suo attributo. Dall’Essere emanano le forme. Si manifesta anche in Briah, Yetzirah ed Assiah. La sua espansione, il suo eterno movimento, continua a condensare al suo passaggio infinite variazioni vibratorie, le cui combinazioni danno il via ai distinti elementi dei regni animale, vegetale e minerale. L’uomo è l’Essere, nella sua più alta manifestazione. Tutti i livelli dell’uomo: Adamo, Geber, Enosh ed Ish, non sono altra cosa che i movimenti dell’essere. Tutti gli attributi dell’anima o materia prima: Neshamah, Ruach e Nephesh, non sono altro che la concezione umana di distinti livelli dell’Essere. Quando l’Essere si esprime in forme multiple ed in distinte nature apparenti ma derivate della stessa essenza, diciamo che c’è densità, manifestando il caldo della luce. L’Essere è luce rinchiusa, luce pristina senza caldo e luce che si manifesta in calore. Tutto indica un eterno movimento e progresso. L’Essere nell’uomo non sentiva né rifletteva luce, fino a che progressivamente si proiettò a sé stesso. Allora l’uomo diventò sensitivo, ebbe sensazioni e sentì il caldo della luce. Allo stesso tempo apparivano le forme come una proiezione dell’uomo. L’uomo di oggi continua ad essere l’Essere, e la sua sperimentazione non è qualcosa che debba cercare al di fuori di sé stesso. La ragione o mente soggettiva è una manifestazione dell’Essere, ma commettiamo un errore di auto-identificazione proiettando un «io» circostanziale e credendo che quello sia il vero «io». Perciò, da questa via non raggiungiamo l’esperienza. Bisogna zittire la mente soggettiva, tranquillizzare il corpo, eliminare l’erronea auto-identificazione, e come conseguenza, apparirà l’Essere di cui vivremo l’esperienza. Quando mischiamo del giallo e dell’azzurro otteniamo una macchia di colore verde. Se diciamo che tutto è vibrazione e che ci fu una Prima vibrazione, possiamo intendere ch’Essa si distinse creando due aspetti di sé stessa. Ognuno di questi due aspetti si differenziò ulteriormente creando la molteplicità. Da qui, le molte ed infinite combinazioni longitudinali di onde distinte, che provengono tutte da una Prima Vibrazione, così si stabiliscono le differenziazioni: chi la chiama rosso, chi giallo ed un altro azzurro. O, perché no, Alef, Mem e Shin, o testa, petto ed addome nell’uomo. In un livello più basso, cioè, in una situazione più avanzata di questo sviluppo vibratorio o in un livello di maggior biforcazione moltiplicatrice, troviamo che la longitudine di un’onda tende ad unirsi ad un’altra longitudine di onda distinta ma complementare. Così abbiamo la combinazione dei colori, cioè, dalla mescolanza della vibrazione chiamata giallo, con quella che chiamiamo azzurro, nasce una longitudine di onda o “terza vibrazione”, la quale benché nasca dalle prime due, non è uguale a nessuna di loro, il verde. Dalle tre lettere madri si formano le sette lettere doppie e le dodici lettere elementari. Come dai tre colori basilari nasce tutta la loro gamma. In musica è uguale, partendo dalle tre note basilari derivano le 7 note “bianche” e le 5 seminote “nere” che formano i dodici suoni di un’ottava. Possiamo dire che ogni suono è differente da un altro nella sua longitudine di onda, cioè, è una vibrazione di maggiore o minore frequenza, questo ci fa distinguere la differenza di suono. Ma tutti i suoni, note e seminote sono parte di una stessa ottava. Ma come in una tastiera di un piano troviamo varie ottave, nella “Tastiera “Cosmica”, potremmo pensare che esistono infinite ottave piene di infinite vibrazioni che, nonostante la loro molteplicità, nascono da una Prima Vibrazione: Il Berechit . Tutte le note sono parte di un’ottava, tutte le ottave sono parte della tastiera. In apparenza tutte le cose dell’universo, nonostante appaiano differenti sono uguali nella loro essenza. La materia, con le sue multiple manifestazioni soggiace alla stessa energia. L’energia, pertanto, preme per trasformarsi in qualcosa di differenziato. Un atomo di ferro è in tensione per esserlo. Esso non è un atomo di piombo, né questo è quello; ma elettroni, protoni e neutroni che formano ambedue sono uguali in essenza. Una cellula nervosa vive la tensione di esserlo. Si tratta di un’operazione di forza (mentre la differenziazione è un atto naturale dell’Essere.) Una cellula del sangue non è uguale a quella nervosa, né essa è uguale ad una cellula muscolare, od ossea, etc. Tutte stanno tentando di essere sé stesse, portatrici di una implicita determinata funzione. Tuttavia, possiamo dire essenzialmente che sono vibrazioni di longitudine di onda differente che nascono da una stessa Prima Vibrazione. Quindi possiamo raggruppare le vibrazioni per qualità e diciamo allora che c’è un regno minerale, uno vegetale ed un altro animale. Come umani apparteniamo a quest’ultimo. Tuttavia, l’auto-pensiero, ci colloca di fronte alla creazione. Tutte le variazioni di ogni regno sono in essenza la stessa cosa. Riflettendo sull’idea dell’acqua, la identifichiamo come massa in uno stagno, in un lago o nel mare. Fisicamente diciamo che sono una grande quantità di molecole regolate dalle leggi di adesione e coesione che fanno sì che siano unite. Se separiamo una molecola e l’analizziamo, troviamo che è formata da atomi di distinti tipi. Uno lo chiamiamo ossigeno e l’altro idrogeno. Tanto che questi elementi, o vibrazioni della natura, potremmo chiamarli la materia prima dell’acqua, o acqua in un altro livello di creazione; ricordate i quattro livelli: Atziluth, Briah, Yetzirah ed Assiah. Se analizziamo una materia formata da vari atomi della stessa classe, troveremo che qualcosa li mantiene uniti, è la forza di coesione. Se invece analizziamo le sostanze che compongono ogni atomo, come nel caso dell’idrogeno o dell’ossigeno, vedremo che sono formati da particelle subatomiche chiamate elettroni, protoni, neutroni, ed altri elementi scoperti dalla scienza più recentemente. Analizzando gli elettroni dell’idrogeno e quelli dell’ossigeno, come quelli di qualunque altro atomo, come il piombo, il ferro, l’oro, o quelli che compongono un corpo vegetale o animale, troviamo che non c’è nessuna differenza, in quanto a qualità materiali, l’unica differenza la costituisce il livello vibratorio della propria particella: La “Saggezza Infinita”. Tutte le variazioni vibratorie sono in un movimento costante, tutto vibra, compreso ciò che chiamiamo “natura morta”. Dal punto di vista della fisica moderna, non c’è natura morta dunque. L’elettrone che fa parte di un atomo di ossigeno o di idrogeno, potremmo chiamarlo l’archetipo dell’acqua o acqua in un altro livello di creazione, compresa la vibrazione che forma l’elettrone presente nell’atomo di ossigeno o di idrogeno, che in un dato momento sarà acqua. Pertanto, possiamo chiamarlo anche acqua di un altro livello di creazione. Da ciò s’intuisce la limitazione del linguaggio, che è il nostro problema. Chiamiamo creazione tutti i livelli. La cabala ebraica usa quattro nomi per creazione, uno per ogni livello. Che cosa ha a che vedere questo con l’Essere? Tutto. L’Essere esiste prima del Berechit . L’Essere è l’Essere, non ha principio né fine. Ma il suo eterno moto si trasforma in Berechit e la Sua Saggezza Infinita impregna tutta la materia, tutta la natura ed ovviamente l’uomo. Il suo movimento o vibrazione progredisce fino alla molteplicità delle forme. Ora tutto ci sembra distinto e separato. Ma questa è un’illusione della nostra mente. È parte del problema dell’errore di identificazione, perché nonostante derivi tutto dall’Essere, tutte le cose conosciute ed il non conosciuto, continuano ad essere l’Essere. I cambiamenti dell’Essere sono una costante nell’universo. Dal punto di vista umano la sola cosa stabile e permanente nell’universo è il cambiamento. Perciò possiamo dire che la creazione è perenne. Dio non fece il mondo in sei giorni e nel settimo riposò. Questo è un problema di traduzione. Dio fa il mondo in sei giorni e nel settimo riposa. Crea nuovamente in sei giorni ed uno riposa, così eternamente. Nonostante i cambiamenti dell’eterno moto dell’Essere, Egli continua ad essere lo stesso. Per sperimentare questo Essere in essenza immutabile, dobbiamo correggere in noi il nostro problema di auto-identificazione, focalizzandoci nella nostra coscienza interiore, perché con l’ausilio dei nostri sensi fisici o della nostra ragione non siamo in grado di raggiungere questa esperienza. La capacità introspettiva sviluppata con la meditazione, è la via per accedere ad altri livelli di coscienza. Una volta raggiunto un livello di coscienza più profondo anche l’auto-identificazione cambierà riferimento. Apprezzeremo che tra un essere umano ed un altro non c’è un spazio che separa, bensì una sostanza che unisce. Comprenderemo che tutte le personalità sono differenziazioni dell’autocoscienza di ognuno di noi, ma che l’anima è una sola, un solo Essere o Sue espressioni. La separazione è un’illusione. Continuiamo a fare parte del tutto. Il lavoro consiste nel trasformare la coscienza separata con la coscienza di gruppo. “Ogni granello di sabbia è la spiaggia stessa” ricorda Plotino. Questo è il grado di coscienza da recuperare. La luce pristina bianca (l’essenza energetica che ci fa ad immagine e somiglianza) che tocca ogni uomo colorandosi del tono (verde, rosso, blu), che caratterizza quella incarnazione, da l’illusione della separatività. Fino a quando nasce e si sviluppa la consapevolezza che tale differenziazione è necessaria a portare nel piano fisico la qualità (la nota spirituale) di quel tono come emanazione di una stessa essenza. Per questo motivo diciamo che osserviamo l’Essere in molte forme o colori, ma l’Essere è l’Essere e non smette di esserLo, pertanto, non è verde, né rosso, né blu. Nella cabala, Dio, Uomo e Natura sono sinonimi. Tutto è l’Essere nelle sue multiple espressioni. Ma l’Essere continua ad essere l’Essere. Qualcosa che è non può essere contemporaneamente. Magari tutti possiamo sperimentare l’Essere, anche se solo per pochi secondi della nostra vita. Il metodo cabalistico è una via, non l’unica che può portarci a farne esperienza. La cabala non è per sé stessa un fine, ma un mezzo nel quale il segreto non sta nel trovare, bensì nell’azione di cercare. Il misticismo basilare della cabala e la sua funzione simbolica devono utilizzare ed ottenere l’unione mistica, quella che tanto accuratamente trasmette San Giovanni della Croce nella sua “Fiamma” d’amore viva, quando paragona l’anima ad un vetro completamente trasparente che essendo inondato da un forte torrente di luce, lo Spirito Santo, si fonde in una sola realtà. Non vediamo oramai il vetro, perché la sua trasparenza e la forte luce che l’invade fanno si che si veda solo questa. Questa è l’unione mistica o matrimonio dell’agnello, o le nozze chimiche chiamato anche matrimonio perfetto, l’unione del maschio e della femmina, il fidanzato e la fidanzata come Salomone dice nel Cantico dei Cantici, o il marito e la moglie come l’ha raccontata il citato monaco cristiano. Che cosa è l’Essere? Si dice che l’Essere è il tutto o che tutto è l’Essere. Per avere un’idea globale dell’Essere bisognerebbe realizzarlo nella sua totalità, se tale totalità siamo stati capaci di aver vissuto. Per lo meno, dovremmo avere la realizzazione dell’Essere senza la proiezione dell’«io» circostanziale. Guardando allo specchio fino a che questo si trasforma in una finestra verso un’altra dimensione. Anche quello che realizziamo riguarda l’esperienza dell’essere. L’Essere è l’unità di percezione cosmica, come si menziona negli archivi Rosacroce, ma noi uomini abbiamo abitualmente questo tipo di percezione? Abbiamo sensazioni che realizziamo attraverso i sensi fisici, altre che si concepiscono attraverso le facoltà del cervello o che crediamo come concetti o idealizzazioni. Abbiamo anche idea di ciò che noi stessi chiamiamo auto-coscienza. Pertanto, diciamo che abbiamo realizzazioni dall’esterno e dall’interno, ma più in profondità, ci sono altre realizzazioni che i nostri intermediari, i sensi ed il cervello, non sono capaci di fornirci. Se ragioniamo, riempiamo la nostra mente di concetti sull’Essere. Se osserviamo, facciamo la stessa cosa ma l’Essere, o Dio, non sono della ragione. Se sentiamo attraverso i sensi crediamo che quelle sensazioni sono vere e che non c’è ne sono altre. Se ci emozioniamo vediamo che secondo l’intensità delle stesse si modificano le funzioni del corpo e diciamo che anche ciò corrisponde all’essere. Siamo coscienti di varie forme di realizzazione, e questo fa sì che separiamo l’Essere in compartimenti stagni. Abbiamo strumenti sufficienti per stabilire distinti piani di coscienza nei quali si esprime l’Essere; con questi strumenti o intermediari creiamo l’illusione della dualità, la quale aggiunge distanza tra una realizzazione ed un’altra. Usiamo poco, tuttavia, il miglior attrezzo per percepire l’Essere nel suo maggiore splendore, senza gli inganni degli intermediari: la meditazione e/o l’armonia cosmica. Qualunque sia la forma in cui ammiriamo l’Essere, tutte gli corrispondono. Se tutte le percezioni possibili corrispondono all’essere dove sta l’errore? Ricordiamo l’analogia dell’elefante. A vari individui furono coperti gli occhi dopodichè gli fu fatta toccare una parte dell’elefante. Quello che prese la coda descrisse la sua esperienza dicendo che l’elefante era lungo e magro come una canna; quello che prese la zampa disse che l’elefante era forte e grosso come il tronco di un albero; e quello che prese l’orecchio disse che era ampio e flessibile come la coperta di un letto. Così potremmo continuare a descrivere varie sensazioni tutte rappresentazioni vere perché tutte parti dell’elefante, ma tutte valutazioni parziali dell’elefante tanto da non poter affermare che la coda sia un elefante, o che una zampa o un orecchio sia l’elefante Per dire che l’elefante è la coda, bisognerebbe staccarsi dalla coda e prendere la zampa, o lasciare la zampa e prendere l’orecchio, lasciare l’orecchio e prendere un’altra parte, e così via fino ad avere un’esperienza completa dell’elefante. Nel mondo delle idee, quando discutiamo su qualche tema, lo facciamo dalla nostra prospettiva della coda o della zampa, raramente sentiamo qualcuno esprimersi per un’esperienza totale. Qui si trova il perché di tanta intolleranza, perché l’ego umano non accetta di non avere ragione e preme per volere far prevalere la sua idea, cioè, vuole obbligare gli altri ad accettare che la zampa dell’elefante sia l’elefante. Allo stesso modo, se parliamo dell’essere o di Dio, ognuno porta le sue ragioni, la sua esperienza limitata, la proiezione del suo io circostanziale, raramente sentiamo qualcuno parlare di un’esperienza ampliata. Un altro insegnamento che possiamo estrapolare dall’analogia dell’elefante è il seguente: man mano che continuiamo a percepire altri aspetti e ci abituiamo ad una realizzazione ampliata, smettiamo di vedere l’elefante per parti e lo percepiamo integralmente, per questo motivo dicevamo in relazione all’Essere, che sebbene ogni piano di realizzazione corrisponde alla sua natura, se non lo realizziamo integralmente, dovremo negare che ogni realizzazione sia il piano, o detto altrimenti, negheremo che la zampa o la coda, o l’orecchio, sia l’elefante, perché l’elefante è l’elefante e l’Essere è l’Essere. La parola ebraica di tempio è hekal che si traduce, come vedemmo, “lui in tutto” o “tutto in lui”. Il Nostro tempio può considerarsi allora come il momento dell’interiorizzazione fino ad arrivare ad essere coscienti dell’Unità. La festa del shabbat ha questo senso mistico, il devoto fervente passa i sei giorni della settimana a costruire il tempio, ma il settimo non costruisce, si trasforma invece nel tempio, cioè, tenta di acquisire la coscienza totale. Anche noi dovremmo costruire la nostra realtà in modo da sperimentare l’Essere in un modo integrale. Questo stato di coscienza è quello chiamato coscienza cosmica, perché in tale stato non si percepisce la dualità, non si proietta l’io circostanziale, non si percepisce la separazione, né i piani, ranghi o gerarchie. Neanche percepiamo causa ed effetto, né nessuna delle tante leggi che apprezziamo a livello mentale e che abbiamo istituito come verità, che sono magari certe per la nostra ragione, cioè, esistono nel livello umano o dalla prospettiva della mente-cervello, ma che non sono della natura dell’Essere che tentiamo di accennare qui con tutte le limitazioni del linguaggio. Nella realizzazione dell’Essere di percezione cosmica, tuttavia, viviamo l’auto-percezione e l’unità. È una specie di iperconscienza che alcuni mistici si sono sforzati di mostrarci. Dire che ogni granello di sabbia è la spiaggia stessa, vuole dire che in tale stato di coscienza mistica, la percezione non registra gerarchie. Non si apprezza ogni granello di sabbia come qualcosa di individuale e separato dal resto della sabbia della spiaggia, ma ogni grano è tutta la spiaggia. In un stato profondo di coscienza, non ci sono neanche percezioni di qualità morali, potremmo dire che lì tutto è buono poiché non esiste differenziazione fra bene e male, lì non c’è dualità. Neanche esistono differenti dèi né differenti religioni, né altro che la mente umana stabilisce come elemento separativo. La coscienza dell’essere non percepisce particolarità o valori, non c’è niente da paragonare, ma non è un vuoto; al contrario, è la cosa più piena che esiste, la più grande pienezza. Non c’è grande e piccolo, né ricchi né poveri, né bianchi né neri, né sinistra né destra, né passato o futuro, né donne né uomini, bensì un presente continuo, un qui ed ora. Una monografia di studio dell’Antico e Mistico Ordine della Rosa Croce dice a questo riguardo: “L’esperienza dell’Essere è una sensazione di unità che non separa o qualifica niente. Questa momentanea ispirazione è stata chiamata coscienza cosmica.” |